Edilizia

Mutamento di destinazione d’uso: quando occorre il permesso a costruire

Il Consiglio di Stato torna ad esprimersi sul mutamento della destinazione d'uso: al posto delle serre l'imprenditore florovivaistico aveva realizzato spazi di vendita
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Mutamento di destinazione d’uso: quando occorre il permesso a costruire
Il mutamento della destinazione da agricola a commerciale, anche senza opere, comporta la necessità del permesso a costruire. Lo ha stabilito in una recente sentenza (Cons. ST. 5593/2022) il Consiglio di Stato, nel caso di un’azienda agricola che aveva chiesto la sanatoria di alcuni spazi per destinarli a serre, e poi vi aveva messo in vendita prodotti per la casa e per la cura della persona.

Il caso

Una società agricola, in assenza di titolo e con variazioni essenziali al permesso di costruire in sanatoria, aveva realizzato alcune opere fra cui:
  • un impianto di illuminazione per le aree esterne
  • una recinzione con pannelli in rete metallica e paletti in ferro
  • l’apposizione di ghiaia nei vialetti interni invece della realizzazione di impianto arboreo e prato come era stato autorizzato con la sanatoria,
  • spazi di esposizione e vendita di articoli per la casa e per il giardino invece delle serre di produzione e della infrastruttura produttiva florovivaistica descritta negli elaborati grafici allegati alla sanatoria.
Gli interventi edilizi, a detta del Comune, avevano determinato la trasformazione d’uso dell’immobile da agricolo a commerciale, in quanto l’organismo edilizio avrebbe avuto un utilizzo in prevalenza differente da quello agricolo autorizzato. In considerazione della variazione essenziale rispetto ai titoli abilitativi rilasciati, l’Ente ordinava alla società la demolizione o la rimozione delle opere e la rimessa in pristino dello stato autorizzato e della destinazione agricola. La società agricola proponeva ricorso al TAR contro il provvedimento comunale, contestando il mutamento di destinazione d’uso, e sostenendo che:
  • l’attività di un’impresa agricola e la conseguente destinazione di terreni e fabbricati non potrebbe essere limitata alla mera attività di coltivazione;
  • il Dlgs 228/01 consentirebbe all’imprenditorie agricolo di svolgere sulla stessa aera dove esercita la coltivazione anche un’attività complementare di vendita di prodotti agricoli e di ulteriori prodotti purché non in maniera prevalente.
  • nel caso in esame i prodotti in vendita sarebbero stati connessi e complementari alla valorizzazione del ciclo produttivo agricolo ed alla vendita diretta, senza intralcio all’attività agricola aziendale
A seguito del rigetto del ricorso da parte del TAR, il caso finiva all’esame del Consiglio di Stato.

Definizione di destinazione d’uso

Secondo il Supremo Collegio, la “destinazione d’uso è un elemento che qualifica la connotazione del bene immobile e risponde a precisi scopi di interesse pubblico, di pianificazione o di attuazione della pianificazione. Essa individua il bene sotto l’aspetto funzionale, specificando le destinazioni di zona fissate dagli strumenti urbanistici in considerazione della differenziazione infrastrutturale del territorio prevista e disciplinata dalla normativa sugli standard, diversi per qualità e quantità proprio a seconda della diversa destinazione di zona.” La destinazione d’uso è un istituto che ha una duplice natura, urbanistica ed edilizia:
  • destinazione d’uso urbanistica: si riferisce alle categorie specificate dalla legge e dal D.M. 1444/1968
  • destinazione d’suo edilizia: riguarda il singolo edificio e le sue capacità funzionali
In particolare, l’istituto ha natura urbanistica in quanto:
  • consente la puntuale zonizzazione funzionale del territorio
  • determina il calcolo degli oneri di urbanizzazione (art. 16 comma 4 TUE)
  • fissa i contenuti degli standard urbanistici (D.M. 1444/1968)
  • è parametro di calcolo della valutazione del carico urbanistico di un intervento

Tipologie di mutamento di destinazione

Il Consiglio di Stato enumera poi le più comuni distinzioni tra le diverse tipologie di mutamento di destinazione, ed in particolare:
  • destinazione d’uso all’interno della stessa categoria funzionale e destinazione d’uso che comporta il passaggio ad una diversa categoria
  • mutamenti strutturali (cambio destinazione d’uso con realizzazione di opere) e mutamenti funzionali (senza realizzazione di opere)
  • mutamenti urbanisticamente rilevanti ed urbanisticamente non rilevanti
L’ultima distinzione è stata recentemente introdotta (D.l. 133/2014) al nuovo articolo 23 ter del TUE e “canonizza” le precedenti due distinzioni.

Mutamento destinazione d’uso urbanisticamente rilevante

Ai sensi del nuovo art. 23 ter TUE, costituisce mutamento rilevante della destinazione d’uso:
  • ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare, diversa da quella originaria
  • anche se non accompagnata dal compimento di opere edilizie
  • purché comporti il passaggio ad una diversa categoria funzionale tra quelle elencate (residenziale, turistico recettiva, produttiva e direzionale, commerciale, rurale)
Il comma 3 ultimo periodo del medesimo articolo 23 ter aggiunge che il mutamento di destinazione d’uso all’interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito. Il cambio di destinazione d’uso che comporta il passaggio da una categoria funzionale all’altra, anche in mancanza di opere (cambio funzionale/cambio strutturale) va ricondotto nella categoria degli interventi di nuova costruzione (art. 3 lett. e) TUE) assoggettati quindi alla richiesta di permesso a costruire (art. 10 comma 1 lett. a) TUE).

Mutamento urbanisticamente rilevante senza permesso a costruire

Alla luce del quadro giuridico illustrato, il Consiglio di Stato richiama il principio di diritto affermato nel proprio costante orientamento, in base al quale: “il mutamento della destinazione d’uso tra categorie funzionali ontologicamente diverse, anche senza opere edilizie, ove realizzato senza permesso di costruire, è sanzionabile con la misura ripristinatoria”. Infine il Consiglio di Stato aggiunge anche che le disposizioni dell’art. 23 ter TUE sono vincolanti per le Regioni, e che le disposizioni che definiscono le categorie di interventi rientrano a detta della stessa Corte Costituzionale tra i principi fondamentali riservati alla competenza legislativa statale (C. Cost. 309/2011). Le regioni dunque possono al più “esemplificare gli interventi edilizi che rientrano nelle definizioni statali” ma non possono mutare le definizioni di interventi contenute nel TUE (C. Cost. 68/2018).

La decisione del caso

Dopo l’inquadramento giuridico, il Consiglio di Stato tira le fila sulla vicenda dell’azienda agricola per concludere che nel caso di specie erano stati posti in vendita in maniera significativa prodotti che non avevano nulla a che fare con l’attività dell’imprenditore agricolo. La vendita di quei prodotti aveva dunque radicalmente mutato nei fatti la destinazione d’uso dell’area e le violazioni, valutate nel loro insieme, avevano dato luogo ad un uso diverso da quello originariamente assentito. Dunque era da ritenersi legittimo e proporzionato, nonché atto dovuto e vincolato, il provvedimento del Comune di demolizione e rimessa in pristino dello stato dei luoghi. La sentenza 5593/2022 del Consiglio di Stato è disponibile qui di seguito in free download.
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