Nature Restoration Law: quali tempistiche per gli obiettivi di ripristino?

“È necessario stabilire a livello dell’Unione norme sul ripristino degli ecosistemi al fine di garantire il recupero di una natura ricca di biodiversità e resilienza in tutto il territorio dell’Unione. Il ripristino degli ecosistemi contribuisce inoltre agli obiettivi dell’Unione in materia di mitigazione dei cambiamenti climatici e di adattamento ai medesimi”. Meglio di così non potevano iniziare i “considerando” del nuovo regolamento sul ripristino della natura (verrebbe da dire “ope legis”…), che proseguono con un’ampia rassegna degli atti (e delle parole dette) che hanno condotto alla “Nature Restoration Law”, sottolineando l’importanza di aver definito (non: adottato) una “tabella di marcia ambiziosa per trasformare l’Unione in una società equa e prospera, dotata di un’economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva, volta a proteggere, conservare e migliorare il capitale naturale dell’Unione e a proteggere la salute e il benessere dei cittadini dai rischi e dagli impatti ambientali”.
Il ripristino degli ecosistemi per il recupero di una «Natura ricca»
L’«obiettivo sicuro»
«Istituzioni di Nature Restoration Law»
Gli obiettivi e gli obblighi di ripristino
Nature Restoration Law: i piani nazionali di ripristino
Dal monitoraggio e dalla comunicazione agli atti delegati e di esecuzione
La perifrasi (un fantasy) della Nature Restoration Law
Il ripristino degli ecosistemi per il recupero di una «Natura ricca»
Parole idilliache, non c’è che dire, accomunate:
- dalla (ferma, immagino) volontà di trasformare (verbo ripetuto più e più volte nelle premesse) “profondamente e progressivamente la struttura socio-economica dell’Unione e dei suoi Stati membri”, per “creare posti di lavoro di elevata qualità e una crescita sostenibile”,
- ma anche (basta scorrere il testo del documento) dall’utilizzo di un “linguaggio permissivo”, infarcito di “verbi ipotetici” che mal si conciliano con la (ferma!) volontà, cui si è appena fatto riferimento.
Gli Stati membri, di volta in volta (fra parentesi, il numero delle volte che ogni verbo è presente nel regolamento), e solo per fare qualche esempio:
– “possono” (14), – “dovrebbero” (33, a fronte di soli 6 “devono”); – è importante che (8) “elaborino”, o “mettano in atto”, o “cerchino di adoperarsi”; – è opportuno che (5) “coordino”, o “mantengano la possibilità di mettere in atto”. Senza dimenticare che gli stessi Stati membri sono incoraggiati (2) o sostenuti (3); che agli stessi può essere concesso (1), e che, “dulcis in fundo”, esiste anche la categoria degli “Stati interessati” (che implica, “a contrario”, il fatto che ce ne possano essere di non interessati). |
L’«obiettivo sicuro»
Il linguaggio permissivo, tuttavia, si alterna ad affermazioni che sembrano non lasciare spazio a dubbi sulla volontà europea di raggiungere obiettivi precisi; il regolamento, infatti, “stabilisce norme destinate a contribuire” (id est: è sicuro che questo avverrà):
- al recupero a lungo termine e duraturo della biodiversità e della resilienza degli ecosistemi in tutte le zone terrestri e marine degli Stati membri attraverso il ripristino degli ecosistemi degradati;
- al conseguimento degli obiettivi generali dell’Unione in materia di mitigazione dei cambiamenti climatici, adattamento ai medesimi e neutralità in termini di degrado del suolo;
- a una maggiore sicurezza alimentare;
- all’adempimento degli impegni internazionali dell’Unione.
E non dimentichiamoci che “il presente regolamento istituisce un quadro nel cui ambito gli Stati membri attuano misure di ripristino efficaci basate sulla superficie allo scopo di coprire congiuntamente, in quanto obiettivo dell’Unione, nell’insieme delle zone e degli ecosistemi che …”.
Che… che dire?
«Istituzioni di Nature Restoration Law»
Ne primi commenti che si sono susseguiti, nel web, “per stare sul pezzo” (per arrivare a dare la notizia prima di tutti gli altri, o meglio, essere primi nella “Serp di Google”) si sono letti articoli più meno fotocopia, nei quali in realtà il regolamento rappresentava soltanto lo spunto per le tesi di volta in volta da sostenere.
Del resto, questa sembra essere la moda della comunicazione degli ultimi anni: non spiegare, indagare, approfondire, ma veicolare un messaggio, quello più confacente alla propria visione del mondo.
Non che in questa sede si pretenda di poter essere esaustivi: commentare 243 pagine non è un lavoro che si adatta alle esigenze di rapidità, “tipiche” del web, ma insomma, l’intenzione è quella di individuare un metodo (una struttura, un pensiero logico), e almeno un po’ di merito (il contenuto del testo, infarcito, come s’è fatto cenno, di verbi ipotetici, di un linguaggio permissivo ma a volte anche perentorio, quel tanto che serve per far passare un messaggio di risolutezza).
Quali sono, dunque – e con questo veniamo al metodo – gli aspetti salienti, le “nozioni e i concetti fondamentali” (le “istituzioni”) della “Nature Restoration Law”?
Oltre all’«obiettivo sicuro», di cui abbiamo già detto (capo I, artt. 1-3), i 28 articoli del regolamento sono suddivisi in altri cinque “capi”:
- obiettivi e obblighi di ripristino;
- piani nazionali di ripristino;
- monitoraggio e comunicazione;
- atti delegati e atti di esecuzione;
- disposizioni finali.
Gli obiettivi e gli obblighi di ripristino
“Gli Stati membri mettono in atto [come?] le misure di ripristino necessarie per riportare in buono stato le zone dei tipi di habitat di cui all’allegato I che non lo sono”.
Tali misure di ripristino sono attuate secondo specifiche “timelines”, e con precise percentuali, in funzione degli habitat presi di volta in volta in considerazione, con una lunga serie di deroghe, “debitamente giustificate”, che sembrano scoraggiare i più volenterosi, e quasi incoraggiarli a trovare scappatoie per rientrare nella vasta pletora degli escludendi…
Il ripristino è definito come quel “processo volto ad aiutare, attivamente o passivamente, il ripristino di un ecosistema al fine di migliorarne la struttura e le funzioni, con lo scopo di conservare o rafforzare la biodiversità e la resilienza degli ecosistemi, migliorando una superficie di un tipo di habitat fino a portarla a un buono stato, ristabilendo la superficie di riferimento favorevole e migliorando l’habitat di una specie fino a portarlo a una qualità e quantità sufficienti conformemente agli articoli [….] nonché conseguendo gli obiettivi e adempiendo gli obblighi di cui agli articoli […] e anche raggiungendo livelli soddisfacenti per gli indicatori di cui agli articoli […]” |
E così, il regolamento stabilisce, con il “piglio ipotetico” tanto caro al politico-burocratese di Bruxelles, tempi e modi per:
- il ripristino degli ecosistemi marini;
- gestire (con tanto di deroghe) “la pianificazione, la costruzione e l’esercizio degli IAFR (Impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili), loro connessione alla rete, la rete stessa e gli impianti di stoccaggio”, che sono (solo, e/o in modo differenziato nei tempi e nei modi) “presunti di interesse pubblico prevalente”;
- derogare in caso di esigenze di “difesa nazionale”, termine (volutamente?) non definito che lascia, “tuttavia”, impregiudicata la necessità di mettere “in atto misure, per quanto ragionevole e fattibile, volte a mitigare l’impatto di tali piani e progetti sui tipi di habitat”;
- il ripristino degli ecosistemi urbani (“entro il 31 dicembre 2030 gli Stati membri provvedono affinché non si registri alcuna perdita netta della superficie nazionale totale degli spazi verdi urbani né di copertura della volta arborea urbana nelle zone di ecosistemi urbani”…);
- il ripristino della connettività naturale dei fiumi e delle funzioni naturali delle relative pianure alluvionali (l’improbo compito è quello di compilare – ma senza alcuna scadenza cogente – un “inventario delle barriere artificiali alla connettività delle acque superficiali”, tenendo conto delle funzioni socio-economiche delle stesse);
- il ripristino delle popolazioni di impollinatori, attraverso misure che, a prima vista, sembrano uscite dalla penna della Rowling (o dalla bacchetta di Harry Potter): “gli Stati membri, mettendo in atto tempestivamente misure efficaci e appropriate, migliorano la diversità degli impollinatori e invertono la diminuzione delle popolazioni di impollinatori al più tardi entro il 2030 e conseguono successivamente una tendenza all’aumento di queste popolazioni, misurata almeno ogni sei anni a decorrere dal 2030, fino al raggiungimento dei livelli soddisfacenti”…;
- il ripristino degli ecosistemi agricoli, forestali (ivi compresa la messa a dimora di tre miliardi di nuovi alberi), con modalità sovrapponibili a quelle, “magiche”, cui si è fatto cenno.
Nature Restoration Law: i piani nazionali di ripristino
Ciascuno Stato membro non solo dovrà preparare – ma senza alcuna specifica previsione temporale – un piano nazionale di ripristino, ma dovrà anche effettuare il monitoraggio e le ricerche preliminari opportuni per individuare le misure di ripristino necessarie per conseguire gli obiettivi di ripristino e adempiere gli “obblighi”, attraverso una quantificazione della superficie che deve essere ripristinata.
Preparazione e contenuti sono contenuti in due articoli che sembrano tratti dal “Cucchiaio d’argento”: una sorta di ricca antologia di ricette, con dati, quantità, strumenti, ingredienti e l’immancabile riferimento al “quanto basta” (così, si possono ironicamente leggere i venticinque, dicasi venticinque, riferimenti al fatto che gli Stati membri devono tenere “in particolare conto” gli elementi di volta in volta elencati).
Seguono la presentazione del progetto (qui appare per la prima volta una tempistica, che salvo deroghe – che non possiamo escludere – dovrebbe essere di due anni); la valutazione del Piano (la Commissione sarà assistita da esperti – i giudici di Masterchef? – e dall’AEA); il coordinamento delle misure di ripristino negli ecosistemi marini e il riesame (ogni dieci anni, a partire dal 2032, per rivederlo e, “se necessario”, includervi misure aggiuntive).
Dal monitoraggio e dalla comunicazione agli atti delegati e di esecuzioni
La “ricetta”, in questo caso, consiste:
- nell’elencazione degli elementi da monitorare (sono dieci), delle tempistiche differenziate (“non appena vengono messe in atto le misure di ripristino”; dalla data di entrata in vigore del regolamento; un anno dopo l’entrata in vigore di un atto delegato; non appena è presentata alla Commissione una specifica notifica; …), degli indicatori da utilizzare e delle scadenze temporali di rinnovo del monitoraggio stesso;
- nell’indicazione delle tempistiche differenziate attraverso le quali gli Stati membri devono comunicare “per via elettronica” una serie di dati, fra i quali spicca “il loro contributo all’impegno” di mettere a dimora (parte dei) tre miliardi di alberi;
- nella possibilità accordata alla Commissione di adottare (alle tassative condizioni ivi previste) atti delegati (“al fine di modificare l’allegato I [elenco degli ecosistemi terrestri, costieri e di acqua dolce] adeguando al progresso tecnico e scientifico il modo in cui i tipi di habitat sono raggruppati e per tenere conto dell’esperienza acquisita con l’applicazione del presente regolamento”) e atti di esecuzione (“necessari e giustificabili in casi di emergenza”, che “possono sospendere temporaneamente l’applicazione delle pertinenti disposizioni”).
La perifrasi (un fantasy) della Nature Restoration Law
Tecnicamente, la perifrasi è quel “procedimento espressivo consistente nell’usare, anziché un termine unico, un insieme di parole che quel termine definiscono o suggeriscono, sia per chiarirlo meglio, sia per evitarlo in quanto troppo tecnico, troppo realistico o inopportuno” (Fonte: Treccani).
Volendo riassumere in pochissime parole (e con la premessa d’obbligo di una locuzione latina: “absit iniuria verbis…“) la lettura delle 243 pagine, si potrebbe definire la Nature Restoration Law come una “perifrasi per addetti ai lavori”: usare un insieme di parole, sapientemente dosate (quel mix di ipoteticità, libertà e assertività, di cui s’è detto), per dire (ai non addetti ai lavori) tutto e nello stesso tempo niente.
Un commento, il nostro, fra le righe ma senza tante perifrasi: non estemporaneo, ma guidato dalla lettura del testo normativo.
Ci riserviamo, naturalmente, di cambiare idea nel caso in cui dovessimo verificare che gli Stati membri, e in primis la nostra “nave sanza nocchiere in gran tempesta”, dovessero – a prescindere dal fatto di essere, o meno, interessati – mettere in pratica, e farlo in modo efficace ed efficiente, i principi declamati nel regolamento.
Che, al momento, tuttavia, per come è stato concepito, più che a un testo normativo, sembra un buon romanzo fantasy, con qualche capitolo “culinario infarcito” di ricette da novelle cuisine: quelle (“istantanee”, o dettate dall’emergenza, fate vobis) alle quali “tutti si ispirano” (quasi nessuno programma, oramai, ma cerca di gestire le emergenze), ma i cui piatti in pochi mangiano (ma questa è una metafora: si parla di risultati, quelli che mancano, e non si intravedono, al di là delle buone intenzioni).