Travel risk management, come andare oltre la semplice procedura?

Organizzare viaggi aziendali all’estero o trasferte oggi è diventato più semplice che in passato. I confini si sono fatti più permeabili, le connessioni aeree più fitte, i servizi digitali hanno reso tutto più rapido e gestibile. Quello che vent’anni fa poteva ancora somigliare a un’avventura, oggi è routine.
La facilità operativa, però, non deve trarre in inganno: non è detto che un viaggio facile da organizzare sia anche sicuro da affrontare. La globalizzazione ha abbassato le barriere, ma non ha eliminato i rischi. In molti casi li ha semplicemente resi meno visibili. Non si parla solo di terrorismo o di scenari estremi. Si parla di travel risk management: i pericoli più insidiosi, infatti, spesso sono quelli che non fanno notizia.
Viaggi aziendali all’estero: quali rischi possono presentarsi durante una trasferta di lavoro?
Alcuni esempi di rischi che possono presentarsi durante una trasferta di lavoro? Ad esempio, essere rifiutati da un ospedale, perché non siete in grado di lasciare un cospicuo deposito, essere costretti a servirsi di ambulatori di dubbia igiene perché è tutto quello che è disponibile, lo smartphone che si blocca improvvisamente, perché avete superato il limite di utilizzo di un’apparecchiatura non registrata in quel paese, essere messi in cella di sicurezza, senza aver potuto avvisare nessuno, perché siete stati coinvolti in un incidente stradale.
Gli incidenti stradali possono accadere ovunque: ecco dove si gioca la responsabilità organizzativa
Proprio questi ultimi, gli incidenti stradali, possono accadere ovunque, Italia compresa. Ma in certi paesi avere un incidente può significare restare bloccati in mezzo al nulla, senza possibilità di ricevere soccorsi adeguati, o addirittura essere coinvolti in procedimenti giudiziari locali senza una vera possibilità di difesa.
Basta poco perché un evento banale si trasformi in una crisi. È su questo terreno, scivoloso ma concreto, che si gioca oggi la vera responsabilità organizzativa. Perché la mobilità internazionale non è più eccezione: è parte integrante dell’attività professionale, e come tale va gestita, con competenza e lungimiranza.
La responsabilità è reale, non solo morale: il dovere di tutela del datore di lavoro
Quando il lavoro si sposta altrove, il dovere di tutela del datore di lavoro non finisce con l’orario d’ufficio, né con il perimetro aziendale. Chi parte per una missione, un sopralluogo tecnico, un incontro commerciale o un’attività di formazione all’estero resta un lavoratore sotto responsabilità dell’organizzazione. E non si tratta di una questione solo etica, ma giuridica, e infatti, la giurisprudenza ha ribadito in più occasioni che la protezione dei lavoratori in trasferta è un obbligo concreto.
Valutare i pericoli non basta
Il caso Bonatti, legato al tragico sequestro e uccisione di due tecnici in Libia nel 2015, è diventato un punto di riferimento. Pur non essendo emersa una responsabilità dell’azienda ai sensi del D.Lgs. 231/01, il tribunale ha riconosciuto gravi carenze nella valutazione del rischio e nella pianificazione del viaggio, con conseguente condanna per alcuni dirigenti.
La conseguenza più esplicita è che non basta dire di aver valutato i pericoli: occorre dimostrare di averli affrontati in modo consapevole, strutturato, documentato. Una polizza assicurativa, già non banale da scegliere, non può essere considerato un punto di arrivo ma di partenza: sono necessarie analisi, preparazione, misure di supporto reale. La trasferta lavorativa non è una parentesi, ma parte dell’attività ordinaria, e come tale va trattata, con le stesse logiche di prevenzione e protezione che si applicano negli ambienti tradizionali.
ISO 31030:2021 – “Travel risk management – Guidance for organizations”
Per affrontare in modo strutturato i rischi legati ai viaggi aziendali, da qualche tempo esiste un riferimento tecnico preciso: la norma ISO 31030:2021, intitolata “Travel Risk Management – Guidance for Organizations”.
Non è uno standard certificabile, ma una guida dettagliata per costruire un sistema di gestione del rischio di viaggio efficace, scalabile e coerente con la realtà operativa dell’organizzazione. Il testo propone un approccio ampio, che va oltre la logica emergenziale o assicurativa. Aiuta a definire una politica chiara, a pianificare il programma di gestione, a valutare i rischi in modo proporzionato e a stabilire misure preventive e reattive.
Si parla di sicurezza fisica, ma anche di salute mentale, protezione dei dati, procedure di evacuazione, selezione degli alloggi, gestione delle comunicazioni e molto altro. Uno degli aspetti più interessanti della norma è la sua capacità di integrarsi con altri sistemi già presenti: si basa sui principi generali di ISO 31000 (gestione del rischio) e può dialogare direttamente con un sistema di salute e sicurezza sul lavoro conforme a ISO 45001.
Questo la rende utile non solo per le multinazionali con una presenza globale, ma anche per organizzazioni più piccole che vogliono affrontare con serietà il tema dei viaggi professionali. In sostanza, non introduce obblighi, ma offre un metodo. Che è quello che serve: una struttura logica e organizzativa con lo scopo di proteggere le persone e, di conseguenza, la capacità dell’organizzazione di continuare a operare, crescere e rispondere ai propri impegni.
Decidere prima: la politica come bussola nei momenti critici
Uno degli aspetti più concreti della norma ISO 31030 è la richiesta di definire una politica di gestione del rischio di viaggio, che sia non un atto formale, ma un patto operativo: decidere in tempo utile come ci si comporterà nei momenti difficili; fissare principi, criteri e ruoli quando si è lucidi, per non dover improvvisare quando la pressione aumenta.
La norma invita le organizzazioni a chiarire fin da subito chi decide cosa, come vengono approvati i viaggi, quali limiti non devono essere superati, e quali sono le condizioni per procedere o per bloccare una trasferta. È un approccio proattivo, che sposta il focus dall’intervento d’emergenza alla prevenzione e al controllo. Non si tratta solo di gestire il rischio quando qualcosa è andato storto, ma di evitare che quel “qualcosa” accada.
La pianificazione è parte integrante del processo: si definiscono ruoli, responsabilità, procedure, soglie di rischio accettabili. Si lavora sul “prima”, per ridurre il ricorso al “dopo”. Questo consente anche di evitare che la valutazione del viaggio resti nelle mani del singolo, con il rischio di sottovalutazioni o automatismi, e promuove un confronto ragionato, documentato, trasparente.
Dalla teoria alla pratica: bisogna trattare il rischio, non subirlo
Com’è da aspettarsi, la norma dedica molto spazio al trattamento del rischio di viaggio, illustrando un ventaglio di opzioni: evitare, condividere, ridurre. Evitare può significare non autorizzare un viaggio troppo esposto, o posticiparlo; condividere implica ricorrere a coperture assicurative adeguate e chiare; ridurre vuol dire mettere in campo misure pratiche, selezionate in base al contesto.
In vista di viaggi di lavoro all’estereo, sono tanti i fronti su cui intervenire. Si parla, ad esempio, di controlli e autorizzazioni preventive, selezione delle sistemazioni secondo criteri di sicurezza, pianificazione dei trasporti in funzione del rischio locale, protocolli di comunicazione già definiti, anche per situazioni critiche come un sequestro o un’evacuazione forzata.
Come prevedere il supporto medico, la verifica delle infrastrutture locali, l’organizzazione del rientro in caso di emergenza. I riferimenti non sono generici. Prendiamo due esempi: in Italia siamo abituati a un sistema sanitario pubblico accessibile e diffuso – ma in molti paesi, anche sviluppati, l’assistenza medica è privata, costosa o logisticamente inaccessibile.
Anche ai viaggi aziendali all’estero si applica logica del ciclo di Deming
Allo stesso modo, avere uno smartphone con un’app di messaggistica installata non significa essere rintracciabili ovunque: la rete potrebbe non esserci, l’app potrebbe essere bloccata, o il telefono stesso potrebbe essere soggetto a ispezione o, non compatibile con le reti locali. In alcuni paesi, i telefoni importati che non vengono registrati presso le autorità locali, smettono di funzionare dopo un numero variabile di giorni .
Tutto il sistema TRM è costruito secondo la logica del ciclo di Deming: pianificare, fare, verificare, agire. E infatti, la norma prevede anche attività di monitoraggio, indicatori, metriche e revisioni periodiche. Perché il rischio non si elimina una volta per tutte, ma si governa con continuità.
Nei viaggi aziendali all’estero la cultura del rischio non è solo gestione
ISO 31030 non è un manuale di procedure, né un obbligo normativo, ma uno strumento di consapevolezza. Un modo per aiutare le organizzazioni a maturare una visione più solida e realistica del rischio di viaggio, non come limite da evitare, ma come dimensione naturale dell’attività lavorativa.
Perché il rischio esiste, e ignorarlo non lo riduce: lo amplifica. Adottare un sistema di Travel Risk Management significa cambiare prospettiva. Non si tratta di complicare le cose o di frenare la mobilità, ma di renderla più sostenibile, più sicura, più efficace. Pianificare, valutare, informare, formare: sono azioni che proteggono le persone, ma anche la reputazione, la continuità operativa e la capacità di generare valore.
Una cultura del rischio ben costruita aiuta le organizzazioni a operare in contesti complessi, ad affrontare l’imprevisto con lucidità, a sostenere i propri lavoratori anche quando si trovano lontani.
Ed è proprio questa maturità che trasforma i viaggi aziendali da vulnerabilità potenziale in opportunità consapevole. La norma non impone soluzioni, ma offre una traccia. Sta poi all’organizzazione decidere se seguirla come adempimento o come occasione. In un mondo dove muoversi è diventato facile, ma restare protetti è diventato più difficile, la differenza sta tutta qui.