Gestione del rischio e genesi dell’errore umano: cosa insegna il metodo di James T. Reason?
Sicurezza sul lavoro
Gestione del rischio e genesi dell’errore umano: cosa insegna il metodo di James T. Reason?
Un approfondimento sul metodo di analisi utilizzato da Reason, noto nel mondo dell’HSE per avere elaborato il modello del formaggio svizzero applicato alla gestione del rischio
James T. Reason è noto nel mondo dell’HSE per avere elaborato il modello del formaggio svizzero, che ha avuto una grande diffusione e viene continuamente citato da articoli, post e corsi di formazione. Reason illustra la sua teoria in un articolo del 2000, dal titolo Human error: models and management, che studia come avvengono gli errori nel settore della pratica medica. I controlli dei processi, le difese, le barriere e le misure di protezione, dice, sono assimilabili a fette di emmenthal, dove il formaggio sta ad individuare la consistenza della protezione e il buco, invece, l’ineluttabile anomalia. L’atto non voluto capita quando la traiettoria dell’incidente riesce ad attraversare le difese, perché si crea un allineamento tra i buchi del formaggio.
Alcuni highlights del lavoro di Reason: cos’è la tassonomia degli atti pericolosi?
Il lavoro di Reason, che si è sviluppato principalmente tra gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, invero, è molto più ampio e articolato. Particolarmente interessanti sono le sue riflessioni sulla tassonomia degli atti pericolosi, molto meno diffuse in Italia del modello del formaggio svizzero, ma che fanno parte dei syllabus dei percorsi di certificazione delle associazioni professionali britanniche. La tassonomia degli atti pericolosi intende distinguere tra le azioni volontarie e involontarie delle funzioni cognitive, quelle che vengono utilizzate per la pianificazione, la memorizzazione e l’esecuzione delle attività lavorative.
1. Da James T. Reason, Human error, Cambridge University Press, 1991.
L’atto pericoloso, dice Reason, può essere voluto o non voluto. Gli atti involontari possono essere classificati in sviste, distrazioni o errori, a seconda di come si è generata la deviazione. È una svista quando si scambia un’azione per un’altra, evidentemente per un deficit dell’attenzione. Quante volte siamo usciti di casa prendendo il mazzo di chiavi sbagliate, ad esempio? O abbiamo preso l’attrezzo sbagliato dal bancone, fidandoci della memoria della sua posizione? Si tratta di una dimenticanza, invece, quando, letteralmente, dimentichiamo uno o più passi di un particolare procedimento. O, magari, quando, a metà del lavoro ci rendiamo conto di avere perso di vista l’obiettivo con cui avevamo iniziato.
Gestione del rischio e genesi dell’errore
Ricadono nella categoria di errore quelle attività che non vengono eseguite correttamente perché esiste un problema legato alle regole, che possono essere sbagliate, oppure giuste, ma applicate in maniera sbagliata, oppure chi le applica non le conosce affatto. Le condizioni per cui si sviluppa l’errore possono essere frutto di un’azione volontaria, ovvero l’operatore è consapevole di non conoscere le regole per svolgere una determinata operazione, ma decide in qualche modo di improvvisare, oppure in qualche modo colposi, quando la competenza dell’operatore non gli è sufficiente per rendersi conto che sta applicando la regola sbagliata o sta applicando male la regola corretta.
Violazioni
Infine, ci sono le violazioni, che sono le azioni sbagliate che vengono eseguite deliberatamente. Qui Reasons elenca quelle di routine, che sono le scorciatoie – ahimè molto diffuse nell’industria – che normalmente sono prese da operativi di grande esperienza che ritengono che le loro capacità siano il più efficace controllo del rischio. Altro errore voluto è la violazione eccezionale, che è normalmente quando si infrange una regola per un obiettivo definito e contingente. Per ultimi, ci sono gli atti di sabotaggio, che si distinguono dalle altre violazioni perché mentre gli autori sia di quelle routinarie che di quelle eccezionali, comunque, intendono evitare danni, chi esegue azioni di sabotaggio ha come scopo precipuo quello di provocarli.
Il metodo Reason per la progettazione dei controlli operativi del rischio
L’operazione che esegue Reason, analizzare le cause delle deviazioni nel comportamento umano e di organizzarle per famiglie, non è un semplice giochetto accademico fine a sé stesso, ma uno strumento molto potente nella progettazione dei controlli operativi del rischio. Gli obiettivi di chi si occupa di gestire il rischio, sia di una organizzazione, che di un’attrezzatura o una macchina, devono essere infatti quelli di “integrare in modo coerente nella prevenzione le condizioni tecniche produttive dell’azienda, nonché l’influenza dei fattori dell’ambiente e dell’organizzazione del lavoro”, come dicono le buone prassi industriali, qui sintetizzate dall’articolo 15, comma 1, lettera b) del Decreto Legislativo 81/2008, il Testo unico per la salute e la sicurezza.
Gestione del rischio e prevenzione
Come si può notare, parlando di prevenzione non vengono poste limitazioni a questo concetto; per intenderci, non viene affermato da nessuna parte che devono essere presi in considerazione solo i rischi originati dai processi tecnici, escludendo quelli dovuti ai comportamenti umani. Al contrario, è ormai un assunto – e lo è da decenni – il fatto che il comportamento umano sia uno dei fattori da considerare nella progettazione della sicurezza sul lavoro, e che, nella definizione dei controlli, l’essere umano debba godere di una tutela privilegiata che consiste non nel costringere costui a adattarsi alle condizioni di lavoro, ma piuttosto nel contrario, nell’adattare il lavoro alle caratteristiche dell’uomo.
L’ergonomia, la gestione del rischio e la genesi dell’errore
Anche questa disciplina, che prende il nome di ergonomia, dal greco érgon (lavoro) e ńomos (regola), non è limitata alla definizione dell’ambiente di lavoro fisico, ma i suoi principi devono essere applicati anche agli ambiti organizzativi, immateriali. E così è necessario valutare il rischio della ricorrenza di sviste, distrazioni, errori e violazioni, studiandone le possibili contromisure.
Queste potranno essere, ad esempio, nel rispetto della gerarchia dei controlli, rendere impossibile l’operatività di processi o attrezzature utilizzando materiali o attrezzature in modalità non previste, definire i processi in modo che sia impossibile procedere se non secondo il corretto ordine (sviste, errori e violazioni) o progettare i processi, gli ambienti di lavoro e quadri di controllo allo scopo di minimizzare gli effetti delle distrazioni, definire procedure operative facendo ricorso a fonti di riconosciuta competenza ed esperienza, implementando sistemi di distribuzione delle informazioni, formazione e controllo efficaci e ridondanti (errori) e, infine, prediligere la definizione di processi per i quali non siano possibili violazioni, implementando supervisione, controllo e sistemi di vigilanza.
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