Per la formazione HSE la qualità non basta, servono quantità e costanza
Molti interventi sulla formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro pongono giustamente l’accento sulla qualità: la scelta degli argomenti, l’efficacia dei metodi, la capacità di coinvolgere le persone, l’utilizzo di casi pratici, simulazioni ed esercitazioni. Tutto questo è fondamentale, ma rischia di non bastare. Per essere realmente efficace, la formazione deve essere anche continua.
Non basta concentrarla in una o due giornate ogni due-cinque anni. Deve diventare una pratica costante, parte integrante dell’esperienza lavorativa, un’abitudine condivisa e non un obbligo da assolvere. Questa continuità non riguarda solo l’aggiornamento delle competenze tecniche, ma agisce anche su un piano culturale e relazionale.
Formarsi con regolarità rende la sicurezza una componente della professionalità
Formarsi con regolarità significa tenere viva l’attenzione, rinforzare il senso di responsabilità individuale e collettiva, valorizzare la sicurezza come componente della professionalità. Interventi più frequenti, anche se brevi, aiutano a sedimentare meglio i contenuti, a renderli parte della quotidianità e a favorire un clima organizzativo in cui il tema della prevenzione non è percepito come estraneo o burocratico, ma come parte del lavoro di tutti.
Più frequenza significa più attenzione
Il primo vantaggio di una formazione distribuita nel tempo è evidente: si mantiene viva l’attenzione. Le scadenze previste dalla normativa, come l’aggiornamento quinquennale per i lavoratori, fissano un minimo, tra l’altro veramente molto basso, non un traguardo. Se ci si limita a questo, il rischio è che l’efficacia formativa svanisca nel tempo, perché la memoria operativa tende a disperdere ciò che non viene richiamato o applicato. Si pagano soldi solo per raggiungere la conformità normativa e nient’altro, nessuna influenza sulla sicurezza effettiva.
Il dialogo sulla sicurezza diventa parte integrante della vita lavorativa
Interventi brevi, ma regolari aiutano a mantenere alto il livello di consapevolezza. Non servono solo a “ricordare” le regole, ma a tenere vivo il dialogo sulla sicurezza, a integrare nuove informazioni, a discutere situazioni reali emerse nel tempo.
La formazione, così, non è una parentesi formale, ma diventa un’occasione ricorrente per rinnovare l’attenzione, dare spazio all’esperienza, rivedere prassi consolidate e correggere eventuali derive. Una cultura della sicurezza che si nutre solo di appuntamenti formali rischia di diventare fragile; al contrario, quella che si costruisce giorno per giorno, anche con piccoli gesti, ha basi più solide.
Quanto conta la percezione del valore attribuito alla formazione?
C’è un altro elemento da considerare: la percezione del valore attribuito alla formazione. Quando un’azienda dedica tempo, energie e risorse alla sicurezza, questo impegno viene colto dai lavoratori. E se la formazione in salute e sicurezza sul lavoro non è solo un evento raro e imposto, ma una pratica ricorrente, questo segnale diventa ancora più chiaro. La costanza è tutto.
Le organizzazioni che registrano i migliori risultati in termini di riduzione degli infortuni sono spesso quelle che dedicano più tempo alla formazione. In alcuni settori virtuosi, si arriva a destinare anche 20, 30 o più ore l’anno per ogni lavoratore, in media.
Un buon riferimento pratico è l’obiettivo del 2% delle ore lavorate, che può sembrare molto, ma che, se distribuite su base mensile o settimanale, possono essere gestite con flessibilità, attraverso moduli brevi, momenti di confronto informale, micro-formazioni in team o pillole digitali. La frequenza diventa così anche un indicatore del valore che l’organizzazione attribuisce alla salute e alla sicurezza.
I lavoratori se ne accorgono. E questo rinforza la loro motivazione, la partecipazione, il rispetto delle regole. Se, invece, la formazione viene vissuta come un adempimento isolato, il messaggio che passa è l’opposto: non è una vera priorità, ma una seccatura. Un timbro da ottenere e basta.
La formazione in salute e sicurezza sul lavoro è uno spazio mentale positivo e un’opportunità di team building
In più, nelle mansioni più impegnative, sia fisicamente che mentalmente, la formazione può rappresentare anche una pausa utile. Un momento diverso dal lavoro operativo, che consente di “staccare” senza perdere produttività.
Non si tratta di interrompere il lavoro per distrarsi, ma di creare uno spazio per riflettere, apprendere, confrontarsi; un tipo di pausa attiva che può contribuire al benessere, soprattutto se è organizzata con cura e proposta con modalità che valorizzano le competenze di ciascuno.
La formazione, in questo senso, può diventare anche un’opportunità per rafforzare la coesione del gruppo, migliorare il clima di lavoro, costruire fiducia reciproca. Quando le persone si sentono ascoltate, coinvolte e valorizzate nel percorso di apprendimento, tendono anche a sviluppare un atteggiamento più proattivo nei confronti della sicurezza.
Non è un caso che molte esperienze di successo in ambito HSE prevedano momenti formativi inseriti con regolarità nel ciclo lavorativo, magari integrati in riunioni periodiche, incontri di reparto, briefing di avvio turno o percorsi blended. Anche il semplice fatto di avere uno spazio ricorrente dedicato alla sicurezza contribuisce a mantenere la cultura viva e condivisa.
La formazione in salute e sicurezza sul lavoro è una leva di partecipazione
Infine, un aspetto spesso sottovalutato: la formazione può diventare un potente strumento di partecipazione. Non solo perché coinvolge, ma perché può essere strutturata in modo da lasciare spazio alla scelta individuale, almeno in parte.
Quando i lavoratori hanno la possibilità di scegliere tra diversi argomenti, o di seguire moduli legati ai propri interessi e al proprio sviluppo, la percezione cambia. La formazione in salute e sicurezza sul lavoro non è più solo un’imposizione dall’alto, ma un’opportunità personale. Questa impostazione può anche dialogare con sistemi di premialità interni, riconoscendo e valorizzando l’impegno formativo come parte del percorso professionale.
In questo modo, la partecipazione ai corsi non viene vissuta come una perdita di tempo, ma come un investimento. E la sicurezza esce dal perimetro del dovere, per entrare in quello della crescita individuale.
Una formazione più frequente, più personalizzata, più coerente con le esigenze dei lavoratori, contribuisce a radicare la cultura della prevenzione, non solo nelle procedure ma anche nei comportamenti. E diventa un indicatore concreto della maturità organizzativa.
Oltre l’obbligo, verso la cultura della salute e sicurezza sul lavoro
Parlare di formazione in materia di salute e sicurezza non significa solo adempiere a un obbligo normativo. Significa costruire una cultura. Una cultura viva, attenta, partecipata. La qualità è certamente essenziale: nessuno mette in discussione l’importanza di contenuti aggiornati, di metodi coinvolgenti, di formatori competenti. Ma accanto alla qualità, serve la quantità. E serve continuità.
La sicurezza in azienda deve essere un discorso continuo
Fare formazione con costanza è un modo per tenere il tema della sicurezza sempre presente, per evitare che diventi invisibile o marginale. Distribuire i momenti formativi nel tempo è un modo per renderli più efficaci, più leggeri, più integrati nella realtà del lavoro. Valorizzare la partecipazione è un modo per far sì che le persone sentano la sicurezza come qualcosa che le riguarda davvero.
La vera sfida, oggi, non è solo fare formazione di qualità, ma fare in modo che quella formazione diventi parte del modo di lavorare. E questo richiede una scelta strategica, non una risposta formale. Richiede che la sicurezza non sia una parentesi, ma un discorso che non si interrompe mai.

