Sicurezza sul lavoro

Smart working e protocolli Covid sicurezza aziende: cosa resterà dopo la fine dell’emergenza?

Antonio Pedna illustra il quadro delle prospettive sull'evolversi della situazione lavorativa, attraverso un'analisi ragionata dei provvedimenti normativi e di salute e sicurezza sul lavoro legati all'emergenza Covid
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Smart working e protocolli Covid sicurezza aziende: cosa resterà dopo la fine dell’emergenza?

Manca pochissimo alla fine dello Stato di emergenza dichiarato dal Governo italiano a causa della pandemia da Covid-19. Sin dall’inizio, per prevenire i contagi, diverse misure sono state messe in campo: fra queste, si raccomandava l’uso in larga scala dello smart working e si prescriveva l’applicazione di protocolli di sicurezza specifici nelle aziende. Cosa resterà di queste misure e come si evolverà la situazione dei lavoratori? In questa analisi ragionata, Antonio Pedna prova a fare un quadro delle prospettive. 

Lo stato di emergenza dall’inizio e i Decreti ministeriali

Con la fine del mese di marzo si conclude ufficialmente lo stato di emergenza in conseguenza della pandemia, deliberato dal Governo il 31 gennaio 2020. Lo stato di emergenza è uno strumento amministrativo che attribuisce alla Protezione civile il potere di ordinanza, in un numero limitato di argomenti, come ad esempio l’organizzazione e la gestione dei servizi di soccorso e di assistenza alla popolazione interessata e il ripristino della funzionalità dei servizi pubblici e delle infrastrutture di rete strategiche. Il 23 febbraio dello stesso anno, il Governo ha inaugurato una modalità di gestione della normativa emergenziale non prevista esplicitamente dall’ordinamento, ma che è diventata rapidamente lo standard cui si sono conformati gli atti successivi, anche quando la composizione di questo è cambiata.

Si tratta di delineare il quadro generale della normativa emergenziale con un Decreto-legge: un atto normativo di carattere provvisorio avente forza di legge, adottato in casi straordinari di necessità e urgenza dal Governo, ai sensi dell’art. 72 e 77 della Costituzione della Repubblica Italiana che entra in vigore immediatamente dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ma gli effetti prodotti sono provvisori, perché i decreti-legge perdono efficacia se il Parlamento non li converte in legge entro 60 giorni dalla loro pubblicazione. Le eventuali specifiche necessarie, non presenti nel Decreto-legge, erano definite in Decreti del Presidente del Consiglio dei ministri (DPCM), atti amministrativi emanati, appunto, dal Presidente del Consiglio dei ministri.

Con il passare del tempo le norme specifiche sono state stabilite anche attraverso Decreti Ministeriali, Circolari e Ordinanze, senza contare le leggi regionali. Sono stati calcolati 904 provvedimenti normativi emessi a livello nazionale fino al giorno in cui queste note vengono scritte, con una media di 35 atti al mese e una punta di 103 nel mese di marzo 2020, come era da aspettarsi ( dati del sito Openpolis, una organizzazione non governativa che monitora lo sviluppo dell’attività amministrativa e di governo).

Le raccomandazioni per le attività produttive: dallo smart working ai protocolli di sicurezza dopo la fine dello stato di emergenza

Il Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 marzo 2020 conteneva “raccomandazioni” per le attività produttive e professionali, tra cui quella che sosteneva l’applicazione di un documento intitolato “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”, un accordo tra associazioni datoriali e sindacali, redatto con la mediazione del Ministro dell’economia, del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro della salute. Questo documento, in seguito, ha avuto diverse revisioni, sia a livello nazionale che a livello locale, delle Regioni, e le sue indicazioni sono diventate il riferimento per la definizione delle misure per la prevenzione dal contagio da COVID-19 negli ambienti di lavoro.

Sotto lo stretto profilo tecnico, la perentorietà di queste normative è stata messa in discussione fin dall’inizio. La particolare fraseologia utilizzata all’inizio dai provvedimenti e il loro livello nelle fonti del diritto non erano tali da creare nuovi obblighi o da modificarne di esistenti. La raccomandazione non è una norma agendi e non costituisce un precetto, così come un DPCM non può derogare ad una legge ordinaria tanto meno se lo fa implicitamente. Si trattava comunque di un modo che appariva ragionevole per affrontare una situazione mai vista prima, e le questioni di principio sono passate in second’ordine. Sotto questo aspetto, la data ufficiale della fine dello stato di emergenza è quindi solo un riferimento simbolico e niente più: lo stato di emergenza non è correlato a questo particolare modo di legiferare, ma solo un accorgimento amministrativo per una gestione più diretta della Protezione civile.

La validità dei vari protocolli non cesserà automaticamente con la fine dello stato di emergenza

La validità dei vari protocolli, pertanto, non cesserà automaticamente nella notte tra il 31 marzo e il 1° aprile, anche se, si è detto, almeno all’inizio le indicazioni sono state adottate più per la convinzione che fosse comunque la cosa giusta da fare, anziché per un limpido obbligo normativo. Questo significa che dovremo aspettare un provvedimento che annulli queste prescrizioni o, in subordine, che queste saranno abbandonate nel momento in cui apparirà ragionevole farlo, così come si è iniziato a seguirle.

Cosa abbiamo imparato dalla pandemia? Due lezioni importanti da non dimenticare

Se però è vero che dalle crisi possono nascere delle opportunità, esistono alcune lezioni che possiamo trarre dall’esperienza di questi due anni di pandemia, che sarebbe bene non dimenticare. La prima, ed è la più ovvia, è che alcune mansioni possono essere svolte quasi indifferentemente in ufficio o a casa. Quasi indifferentemente perché entrambe le condizioni hanno pregi e difetti: l’ufficio quello della socialità, della condivisione e del controllo; la propria abitazione quello di un miglior utilizzo del tempo e di un minore carico di ansia dovuto alla necessità di dover gestire gli impegni familiari in concorrenza con quelli professionali. Lo specchio di queste considerazioni è una rinnovata comprensione dell’ufficio e dell’azienda come luogo della socialità, sia pure professionale, che un datore di lavoro brillante non dovrebbe farsi scappare. Se l’ufficio deve essere il luogo dello scambio e dell’interazione, allora che lo sia sul serio! Certo, per continuare con lo smart working sarà necessario negoziare con ogni singolo lavoratore un accordo ad hoc e comunicarlo al Ministero del lavoro, sia pure con una procedura semplificata.

Le altre soluzioni che sono state applicate per gestire la pandemia sui luoghi di lavoro, diventano anch’esse parte di una esperienza che non è da dimenticare. Un poco perché la cicala canta tutta l’estate, ma è la formica che mette via le provviste per l’inverno, e non sappiamo ancora cosa succederà quando il tempo girerà al brutto. Non è ancora detto che una variante rho o sigma non ci costringerà ancora a ripetere quello che abbiamo appena passato. Ci siamo anche resi conto che indossare le mascherine quando si è raffreddati o si sospetta essere malati non è una bizzarria giapponese, ma un atto di considerazione verso il prossimo. E così una gestione più efficiente dei flussi di persone nei luoghi affollati, o gli schermi di protezione dei lavoratori a contatto con il pubblico sono accorgimenti che possono comunque tornare utili.

Ma la cosa più importante che dovremmo avere imparato è che nelle crisi si entra e si esce tutti assieme. Chissà…

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