Sicurezza sul lavoro

Benessere aziendale e qualità della vita: troppi lavoratori a rischio burnout

Per l’83,4% dei dipendenti italiani è prioritario che il lavoro contribuisca al benessere olistico, fisico e psicologico
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Benessere aziendale e qualità della vita: troppi lavoratori a rischio burnout

Il benessere aziendale sta diventando sempre di più un elemento vincolante per far sì che i dipendenti possano rendere al meglio, in sintonia con dirigenti e impresa, sul posto di lavoro. Un successo lavorativo che evidentemente si riflette sul benessere psico-fisico delle persone anche al di fuori dell’ambito professionale, sino ad influenzare la sfera privata.

È quanto emerge dall’8° Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale. I dati sono incontrovertibili: l’83,4% dei dipendenti italiani ritiene una priorità che il suo lavoro contribuisca al proprio benessere olistico, fisico e psicologico. Eppure, sono ancora molte le situazioni di stress legate al lavoro che condizionano la vita del dipendente. Ecco perché l’obiettivo conclamato è far diventare le aziende un vero e proprio “hub del benessere”, in grado di accompagnare e agevolare i lavoratori nelle loro scelte in ambito pubblico e privato.

Rapporto Censis: benessere aziendale per tutti

La priorità? Benessere aziendale per tutti. Un auspicio condiviso dal 76,8% dei dirigenti, dall’86,1% degli impiegati e dal 79,5% degli operai. Nello specifico, dal 75% dei dipendenti tra 18 e 34 anni, l’85,7% tra 35 e 54 anni, l’88,4% dai 55 anni in su. Tra il dire e il fare, però, spesso ci passa il mare. Infatti, il dato preoccupante è che il 31,8% dei lavoratori dipendenti ha provato sensazioni di esaurimento, di estraneità o comunque sentimenti negativi nei confronti del proprio lavoro. Le cosiddette forme di “burnout”.

Una sensazione che coinvolge soprattutto i giovani (47,7%), il 28,2% degli adulti e il 23% dei dipendenti più anziani. Tra le principali sofferenze sperimentate:

  • stress o ansia legati al lavoro;
  • mancato equilibrio tra vita privata e lavoro;
  • troppe responsabilità nella vita quotidiane;
  • pressione eccessiva quando si lavora.

Molti hanno provato frustrazione per via del mancato supporto da parte del datore di lavoro.

La sindrome da corridoio

Sempre più dipendenti sono affetti dalla “sindrome da corridoio”. Se ne contano oltre 3 milioni che soffrono di stress, ansie e disagi senza confini tra casa e lavoro. Una situazione che riduce drasticamente il benessere soggettivo, la qualità della vita e la salute mentale. Il 25,7% dei dipendenti si porta al lavoro i problemi di casa, con effetti negativi sulla performance lavorativa. Allo stesso tempo, il 36,1% trascina in ambito familiare le difficoltà lavorative, con evidente impatto sulle relazioni familiari e amicali, ecc.

A soffrire della sindrome da corridoio sono soprattutto i più giovani (il 41%); poi gli adulti (34,9%) e il 33,7% dei più anziani. Si portano invece al lavoro i problemi di casa restandone negativamente condizionati, il 22,7% dei dipendenti giovani, il 29,2% dei dipendenti adulti e il 20,6% dei più anziani.

Supporto mentale e psicologico

Urge supporto mentale e psicologico, dunque. Il 63,5% dei dipendenti vorrebbe svolgere attività di meditazione o yoga e aiuto nel ricorrere ad uno psicologo. Per affrontare gli effetti delle sofferenze da lavoro è forte la richiesta di tempo: l’89,4% vorrebbe più tempo per se stessi, l’86,2% per stare di più con amici e parenti, il 78,9% per svolgere attività fisica, il 73,9% per attività culturali.

Ma conta tanto anche l’armonia sul posto di lavoro, visto che per il 94,6% dei dipendenti è fondamentale un buon rapporto con superiori e colleghi. Gradita dal 93,1% la possibilità di operare con un certo grado di autonomia, per il 92,2% un riuscito bilanciamento tra vita privata e lavoro, per il 91,6% la flessibilità degli orari, per l’87,6% sentirsi valorizzati in azienda e per il 64,1% lavorare anche in smart working.

Luoghi di lavoro come hub del benessere, aziendale e non

Come ha spiegato Alberto Perfumo, Amministratore Delegato di Eudaimon, “I tempi sono maturi per le aziende per proporsi come hub del benessere, garantendo ascolto e accompagnamento alle soluzioni, da quelle più piccole e quotidiane a quelle più articolate, private e pubbliche. Un ruolo nuovo che garantisce più attenzione alle persone e maggior coinvolgimento”.

Per Giorgio De Rita, Segretario Generale del Censis, “La ricerca dimostra che ormai quando entrano in azienda le persone non rinunciano all’obiettivo del proprio benessere olistico, cioè psicofisico e sociale. Tuttavia, sono ancora molte le situazioni di stress legate al lavoro. In particolare la sindrome da corridoio, cioè l’osmosi di ansie e disagi tra lavoro e vita privata. Attrarre e trattenere lavoratori significa sempre più misurarsi con le loro nuove e inedite aspettative”.

I pilastri del welfare lavorativo

Un “Hub del benessere” che non si dovrebbe limitare a offrire servizi interni, ma affiancherebbe i lavoratori nell’individuare e accedere a risposte ai propri bisogni. All’interno dell’intero sistema di Welfare, inclusi i servizi pubblici. Fondamentale per le aziende considerare diverse dimensioni del lavoro, tra cui:

  • il contenuto delle attività,
  • il ruolo del lavoratore,
  • il contesto aziendale.

Serenità, autonomia, sicurezza, work-life-balance, flessibilità e salario sono quindi i 6 nuovi pilastri del benessere lavorativo.

Vengono quindi sempre più apprezzati dai dipendenti:

  • l’aumento di benefit tramite il Welfare Aziendale (85,8%),
  • le opportunità di formazione e sviluppo (84,8%),
  • le iniziative per la salute fisica (80,3%).

In altre parole, il Rapporto evidenzia che è irreversibilmente finito il tempo del primato del lavoro e dell’azienda come spazio neutrale.

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