Rifiuti

Deposito per i rifiuti nucleari, l’ultimo caso NIMBY in Italia

Gli italiani sono sostenibili nel cuore, meno nei fatti. Nessuno vuole il deposito per i rifiuti nucleari, provenienti per la maggior parte dall’attività ospedaliera: l’ennesima conferma che il NIMBY continua a creare proseliti nel nostro Paese
Condividi
Deposito per i rifiuti nucleari, l’ultimo caso NIMBY in Italia
Not in my back yard. I rifiuti nucleari e la mappa dei siti dove posizionare il deposito di stoccaggio hanno comprensibilmente scatenato la sindrome NIMBY. Ripercorriamo le tappe di questo processo, che vede ancora una volta l’Italia bloccata, impaurita e incapace di prendere una decisione. Dove ospiteremo i rifiuti nucleari prodotti dal nostro Paese? La Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee Di che tipologia di rifiuti si tratta, e perché sono stati scelti questi siti? La prima tappa di un lungo viaggio verso la CNAI e la sindrome NIMBY L’economia circolare: un concetto familiare ma ancora poco conosciuto La sindrome di Nimby: siamo sicuri di averne compreso tutte le reali implicazioni? Il vero antidoto è la conoscenza Dal NIMBY al PIMBY

Dove ospiteremo i rifiuti nucleari prodotti dal nostro Paese? La Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee

All’indomani della pubblicazione, il 5 gennaio scorso, della Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (CNAPI), contenente l’elenco delle 67 località sparse nel nostro Paese risultate idonee ad ospitare il Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi e del Parco Tecnologico – che permetterà di smaltire definitivamente i rifiuti radioattivi italiani di bassa e media attività – è seguita una lunga serie di dichiarazioni pubbliche da parte di vari amministratori locali (dai presidenti delle Regioni nelle quali tali rifiuti potrebbero essere ospitati fino ai Sindaci dei Comuni citati nella mappa) che si sono scagliati contro la ipotetica futura designazione della loro località. Le zone candidate, secondo chi ha redatto la mappa stessa, sono dotate dei requisiti necessari per ospitare rifiuti nucleari a bassa intensità; tuttavia, è stata sufficiente la sola pubblicazione della mappa – cui si è arrivati dopo un lungo e laborioso lavoro di indagine – perché il NIMBY si scatenasse. Nelle prossime settimane seguiranno senz’altro altre manifestazioni simili di protesta.
La CNAPI è stata pubblicata sul sito https://www.depositonazionale.it/ da parte della Sogin, Società pubblica responsabile del decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi, con il nulla osta del Ministero dell’Ambiente, come previsto dal Decreto legislativo n. 31 del 2010. Come si legge sul sito del Ministero dell’Ambiente, il deposito nazionale e il parco tecnologico saranno costruiti in un’area di circa 150 ettari, di cui 110 dedicati al deposito e 40 al Parco. Il deposito avrà una struttura a matrioska. All’interno di 90 celle in calcestruzzo armato, verranno collocati grandi contenitori in calcestruzzo speciale, i moduli, che racchiuderanno a loro volta i contenitori metallici con all’interno i rifiuti radioattivi già condizionati.

Di che tipologia di rifiuti si tratta, e perché sono stati scelti questi siti?

Ci saranno i circa 78 mila metri cubi di rifiuti a bassa e media attività. Ossia rifiuti “provenienti dal mondo civile e soprattutto da quello medico e ospedaliero”, nonché industriale e della ricerca. In altri termini, vi sono anche le sostanze radioattive usate da tutte quelle attività di medicina nucleare che costituiscono ormai il nostro quotidiano per la diagnosi clinica, per le terapie anti tumorali, solo per fare un esempio.
Quali rifiuti saranno smaltiti nel Deposito Nazionale? “Nel Deposito Nazionale saranno definitivamente smaltiti i rifiuti a molto bassa e bassa attività, ossia quelli che nell’arco di 300 anni raggiungeranno un livello di radioattività tale da non rappresentare più un rischio per l’uomo e per l’ambiente. Nel Deposito Nazionale, inoltre, saranno stoccati temporaneamente i rifiuti a media e alta attività, ossia quelli che perdono la radioattività in migliaia di anni e che, per essere sistemati definitivamente, richiedono la disponibilità di un deposito geologico. Sono esclusi i rifiuti radioattivi a vita molto breve che, dopo aver perso la loro radioattività residuale, potranno essere smaltiti come rifiuti convenzionali (non più radioattivi).​” Fonte: Depositonazionale.it
Le aree interessate dalla CNAPI sono il risultato di un complesso processo di selezione su scala nazionale svolto da Sogin in conformità ai criteri di localizzazione stabiliti dall’ISIN, Ispettorato nazionale per la Sicurezza Nucleare e la radioprotezione, l’autorità di regolamentazione competente in materia di sicurezza nucleare e di radioprotezione, che ha permesso di scartare le aree che non soddisfacevano determinati requisiti di sicurezza per la tutela dell’uomo e dell’ambiente.

La prima tappa di un lungo viaggio verso la CNAI e la sindrome NIMBY

Come si legge ancora sul sito del Ministero dello Sviluppo Economico, la pubblicazione della lista è il frutto di un lavoro “atteso da molti anni, che testimonia la forte assunzione di responsabilità da parte del governo su un tema, quello della gestione dei rifiuti radioattivi, che comporta anche per il Paese una procedura di infrazione europea: attualmente i rifiuti radioattivi sono stoccati in una ventina di siti provvisori, che non sono idonei ai fini dello smaltimento definitivo”. Peraltro, i 67 luoghi potenzialmente idonei non sono tutti equivalenti tra di essi ma presentano differenti gradi di priorità e la loro individuazione di fatto dà l’avvio alla fase di consultazione dei documenti per la durata di due mesi, all’esito della quale si terrà, nell’arco dei quattro mesi successivi, il seminario nazionale. Come a dire, soltanto dopo la consultazione dei documenti si sapranno numeri, dati, motivazioni delle scelte effettuate, e soltanto dopo la conoscenza e la presa di coscienza si potranno articolare nelle sedi opportune tutte le “contro-motivazioni”, ci si augura accompagnate da soluzioni alternative. Soltanto dopo il decorso dei termini, cui si è fatto cenno, infatti, seguirà un dibattito pubblico vero e proprio con la partecipazione di enti locali, associazioni di categoria, sindacati, università ed enti di ricerca, durante il quale saranno approfonditi tutti gli aspetti, inclusi i possibili benefici economici e di sviluppo territoriale connessi alla realizzazione delle opere.

Aggiornamento della CNAPI

Ma non basta. In base alle osservazioni e alla discussione nel Seminario Nazionale, la Sogin aggiornerà la CNAPI, che verrà nuovamente sottoposta ai pareri del Ministero dello Sviluppo Economico, dell’ente di controllo Isin, del Ministero dell’Ambiente e del Ministero dei Trasporti. In base a questi pareri, il Ministero dello Sviluppo Economico convaliderà la versione definitiva della Carta, ovvero la CNAI, la Carta Nazionale delle Aree Idonee. La CNAI sarà il risultato dell’aggiornamento della CNAPI sulla base dei contributi emersi durante la consultazione pubblica. Ciononostante, a prescindere dalla conoscenza e dalla presa di coscienza, la sindrome NIMBY scatta istantaneamente, come un riflesso pavloviano. Quando si parla di nucleare si pensa subito, e soltanto, all’energia nucleare e ci si barrica dietro alla scelta effettuata con il referendum del 1987. Senza neanche immaginare che senza il nucleare, di cui quei rifiuti costituiscono il risultato finale, oggi non potremmo beneficiare di molte diagnosi e terapie mediche. E senza tenere conto che, per la parte relativa allo stoccaggio temporaneo dei rifiuti radioattivi a media e alta intensità, comunque occorre utilizzare siti differenti da quelli dove tali rifiuti sono stoccati adesso. Non ce lo chiede soltanto l’Europa, è che quelli attuali sono proprio inidonei. E naturalmente, anche per i depositi geologici che verranno individuati, occorrerà seguire un iter ben preciso

L’economia circolare: un concetto familiare ma ancora poco conosciuto

Non c’è da stupirsi, se solo si pensa che la sindrome NIMBY colpisce anche nel settore dell’economia circolare: come già illustrato in un precedente articolo su questo portale, nel sondaggio IPSOS diffuso a ottobre 2020 emerge che il concetto di economia circolare – di per sé è diventato un po’ più familiare che in passato (il 40% degli intervistati dichiara di conoscerne i principi) – viene percepito come connesso a quello di sostenibilità (concetto ben più popolare, visto che il 76% dice di sapere cos’è la sostenibilità). Ed appare anche più chiaro come ciascun cittadino debba avere un ruolo attivo nel conseguire con successo l’obiettivo di un mondo meno inquinato. Bene; ma nonostante ciò il sondaggio rivela come il composito campione intervistato guardi con sospetto agli impianti per il riciclo anche se sono gestisti in massima sicurezza e controllati continuamente. E per questo non ne vorrebbe mai e poi mai uno vicino alla propria casa o comunque nella propria città. Della serie: ok, è necessario, facciamolo, ma da qualche altra parte, please.

La sindrome di NIMBY: siamo sicuri di averne compreso tutte le reali implicazioni?

Secondo l’enciclopedia Treccani, NIMBY, acronimo dell’inglese Not In My Back Yard, letteralmente “non nel mio cortile”, è la forma di protesta di un gruppo di persone che vede minacciata la sicurezza della propria area di residenza dall’insediamento di opere sociali indesiderate.
Treccani ci ricorda le proteste di qualche tempo fa contro i parcheggi sotterranei: si diceva “provocano danni ambientali, alterano l’arredo urbano, distruggono verde”, eppure nessuno si sognava di mettere in dubbio la loro reale utilità in molti contesti urbani dove può risultare difficile trovare un parcheggio libero!
Il punto è che oggi i Nimby sono dappertutto, perché sembra essere la risposta automatica a qualsiasi progetto di nuove infrastrutture; tant’è che, dice il dizionario, “Nimby è diventata la parola-chiave per definire e interpretare i movimenti di protesta che si sono sviluppati negli ultimi anni su scala territoriale. È un’espressione facile da usare, di pronto impiego e ha il vantaggio di offrire un criterio immediato di spiegazione del motivo per cui una popolazione locale decide di mobilitarsi per contrastare la costruzione di un’opera pubblica sgradita, si tratti di una grande infrastruttura di trasporto o di un inceneritore o di una nuova base militare. In questa logica, diventano «Nimby» tutti coloro che non vogliono che si faccia qualcosa «nel loro giardinetto di casa», cioè nelle vicinanze del luogo in cui vivono”.

Economia circolare, abbiamo veramente capito cos’è?

I dati presentati nel report mostrano che, sebbene le tematiche legate all’economia circolare siano entrate nel lessico quotidiano, gli intervistati fanno ancora fatica a spiegare che cos’è l’economia circolare, denotando nei fatti una conoscenza superficiale e confusa. È vero, molti sono disposti a fare qualcosa in prima persona per favorire la sostenibilità, come differenziare correttamente i propri rifiuti o acquistare prodotti anche meno cool ma più sostenibili di altri. L’ABC della sostenibilità: ma le stesse persone che si prodigano in comportamenti sostenibili sono poi le stesse che non vogliono un impianto industriale vicino a casa, anche se si tratta di un impianto virtuoso, volto al riciclo di quei rifiuti che, diversamente, finirebbero in discarica o negli inceneritori. Insomma, vogliamo tutti un mondo più sostenibile ma non siamo disposti ad impegnarci in prima persona oltre una certa soglia, è questo in ultima analisi ciò che le risultanze del sondaggio, così come le reazioni alla pubblicazione della CNAPI sembrano volerci dire.

Il vero antidoto è la conoscenza

Per Andrea Alemanno, Responsabile ricerche sostenibilità per Ipsos «il problema è che tanti ancora non conoscono questi temi, non si interrogano»: pur avendo iniziato a sentir parlare di sostenibilità «c’è una bassa conoscenza effettiva» quando si va su temi più dettagliati. Pertanto, sarebbe la mancanza di conoscenza a impedire spesso la realizzazione di impianti per il riciclo: “c’è il pregiudizio che l’impianto che dovrebbe aiutarci a inquinare di meno sia a sua volta inquinante. Le persone vorrebbero un’economia sostenibile, ma di fronte agli elementi di dettaglio la loro bassa conoscenza ne riduce la portata”. A fronte di tale scenario, è evidente che occorre attuare campagne di comunicazione sempre più mirate ed efficaci, che superino le diffidenze molto diffuse e radicate rispetto alle grandi opere pubbliche, non solo a quelle legate più da vicino all’ambiente ed alla sostenibilità. È però necessaria la collaborazione di coloro a cui questi messaggi vengono indirizzati. L’arroccarsi sulle proprie posizioni (e sul proprio bagaglio di conoscenze, spesso acquisite da fonti non esattamente autorevoli) e la mancanza di dialogo e di scambio con gli altri, che spesso va a braccetto con la credenza che cambiare idea non si possa e non si debba mai, rischiano di vanificare qualsiasi sforzo.

Dal NIMBY al PIMBY

Quella sopra descritta (la procedura per individuare la CNAI) sembra, almeno sul piano teorico, possedere la struttura di una procedura fortemente partecipata e trasparente, condotta coinvolgendo gli amministratori e i cittadini. Saremmo insomma sulla strada giusta per attuare il c.d. modello Pimby (dall’inglese Please in my back yard, Per favore nel mio cortile), un modello che, in un’ottica generale di Paese, e non in quella del “Paese degli 8000 Comuni”, dovrebbe prendere il posto della ben più famosa sindrome NIMBY. E portare ad una gara tra territori per la localizzazione delle nuove opere. Siamo coscienti della complessità del tema, e degli equilibri che occorre trovare; tuttavia, secondo un’ottica improntata alle molteplici sostenibilità (ambientale, economica, sociale, e via discorrendo) la provocazione trova riscontro in diversi saggi. L’ultimo, ed interessante, intitolato “Ambiente, sviluppo e conflitti: come uscirne?” sottolinea proprio questo, auspicando “il passaggio da Nimby a Pimby, cioè da rifiuto a desiderio, [che] si fonda su tre elementi che coinvolgono direttamente sia l’impresa che realizza e gestisce l’impianto sia la comunità che lo ospita: la consapevolezza, la scelta responsabile e la condivisione di valore”. Si tratta di un auspicio sostenibile, soprattutto per il futuro del nostro Paese, che però rischia di scontrarsi con la realtà delle molteplici voci che tutto vogliono, ma senza “sporcarsi le mani”. Senza mai prendere una decisione, cullandosi nell’idea che sia una soluzione lungimirante.
Condividi

Potrebbero interessarti

Condominio

Dalla costituzione del condominio alla gestione delle tabelle millesimali, dalle delibere assembleari ai lavori edilizi e ai titoli abilitativi:...

Decreto Salva Casa

Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 124 del 29 maggio 2024 il Decreto Legge 29 maggio 2024, n. 69 recante “Disposizioni urgenti in materia di...