Rifiuti

Rapporto rifiuti ISPRA, riciclo in aumento ma dalla doppia faccia

I dati del rapporto 2019: da una parte aumenta il riciclo, dall'altra aumentano i rifiuti speciali che provengono anche dall'economia circolare
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Rapporto rifiuti ISPRA, riciclo in aumento ma dalla doppia faccia
Buone notizie dal rapporto 2019 ISPRA/SNPA – Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale/Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente –  sul recupero di materia dai rifiuti speciali: +7,7 % di rifiuti sottoposti al processo di riciclo e -8,4% di rifiuti destinati allo smaltimento in discarica. News che tranquillizzano sul corretto uso e funzionamento degli impianti di riciclo in Italia, ma esiste purtroppo l’altra faccia della medaglia, e necessita urgentemente di essere gestita. Il rapporto, presentato il 18 luglio 2019, pone l’attenzione, infatti, su un aspetto che spesso si è soliti non tenere in considerazione: anche il processo di riciclo dei rifiuti, produce rifiuti.

Rapporto ISPRA: rifiuti speciali in aumento più del Pil

Aumenta quindi il recupero di materia, ma aumentano anche i rifiuti speciali. Un +2,9% si è registrato tra il 2016 e il 2017, pari a circa 4 milioni di tonnellate. Una percentuale doppia rispetto a quella del Pil nello stesso periodo, pari a +1,6%. Secondo il report, si sono prospettati per i rifiuti speciali quattro scenari diversi:
  • il 67,4% sono stati riciclati con recupero di materia;
  • l’8,2 % è stato conferito in discarica;
  • il 10,9 % ha subito altre operazioni di smaltimento;
  • l’1,4 % è stato avviato al coincenerimento;
  • uno 0,9 % all’incenerimento.
Come già accennato, si tratta di un +7,7% di rifiuti speciali destinati al riciclo, e di un -8,4% di rifiuti smaltiti in discarica.

Da dove provengono i rifiuti speciali

Il rapporto annuale analizza il quadro nazionale di produzione e riciclo dei rifiuti con attenzione ai settori maggiormente coinvolti e alla distribuzione geografica. In totale, nel 2017, la produzione di rifiuti speciali ammonta a 138,9 milioni di tonnellate, divise in:
  • 129226731 tonnellate di rifiuti non pericolosi;
  • 9669476 tonnellate di rifiuti pericolosi.
In sintesi, i rifiuti speciali provengono da:
  • un 41,3 % dal settore delle costruzioni e delle demolizioni;
  • un 25,7 % dal trattamento e risanamento dei rifiuti;
  • un 21,5 % dalle attività manifatturiere.
Il 25,7 % di scarti derivanti dal riciclo, tradotto in quantità, equivale a 35,7 milioni di tonnellate di rifiuti, e 10,9 milioni di tonnellate di rifiuti speciali provengono dal trattamento dei rifiuti urbani, quelli delle nostre abitazioni. Dati emblematici, che riescono a far percepire l’impatto ambientale di questi processi industriali. Del resto, avviare al riciclo i rifiuti speciali è un’operazione che tutte le politiche ambientali, nazionali e internazionali, sostengono ed elogiano, in nome della salvaguardia del Pianeta e di tutti i suoi ospiti. Rimane però una questione cruciale irrisolta, cosa si fa con i rifiuti derivanti dal trattamento dei rifiuti? No, non è un gioco di parole, ma un ‘vuoto’ vero e proprio dell’economia circolare. La causa primaria? Mancanza di impianti adeguati.

Carenza e dislocazione geografica degli impianti nel rapporto ISPRA

La carenza strutturale di impianti si accompagna inoltre ad una dislocazione degli impianti esistenti, la maggior parte ubicati al Nord, e in particolare in:
  • Lombardia (2176);
  • Piemonte (1137);
  • Veneto (1126).
A seguire la Toscana, con 837 impianti, e al sud la Campania, con 730. I numeri tra nord, centro e sud sono molto diversi, e danno una spiegazione al perché, solo nel 2016, i rifiuti prodotti in Italia abbiano percorso ben 1,2 miliardi di km in tutta la penisola alla ricerca di impianti dove poter essere smaltiti. Un esempio efficace è quello dell’amianto. In Italia, nonostante l’asbesto sia stato dichiarato cancerogeno già nel 1992, ci sono ancora tra i 32-40 milioni di tonnellate di materiale da smaltire e bonificare. I motivi? Tra i tanti, l’assenza di impianti. Inoltre, il poco amianto oggetto di bonifica, finisce in Germania, in miniere dismesse.

I rifiuti dell’economia circolare: i dati sull’import/export

L’economia circolare, dunque, non è ancora un cerchio perfetto: mancano tasselli importanti, primo tra tutti la carenza di impianti in Italia, motivo per cui i rifiuti che non possono essere smaltiti in modo idoneo qui da noi – circa 3,1 milioni di tonnellate – vengono esportati all’estero, soprattutto in Germania, ad un costo molto elevato. Le materie prime seconde che sono necessarie all’industria italiana – soprattutto rifiuti metallici per le acciaierie della Lombardia e del Friuli Venezia Giulia – arrivano dall’estero, per un totale di 6,6 milioni di tonnellate. In definitiva, come chiaramente espresso dal direttore ISPRA Alessandro Bratti, “importiamo materiali necessari all’industria italiana, ma esportiamo rifiuti che non abbiamo modo di trattare adeguatamente con impianti”. E questi rifiuti, che l’Italia non riesce a smaltire, sono costituiti per il 50% da scarti provenienti dagli impianti di trattamento dei rifiuti, delle acque reflue, dalla potabilizzazione dell’acqua. Anche questi finiscono soprattutto in Germania, pagando ingenti cifre.
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