Rifiuti

Lotta all’obsolescenza programmata e diritto alla riparabilità: cosa fa l’Europa?

In autunno, la Commissione Europea presenterà una nuova proposta di direttiva contro l’obsolescenza programmata, dopo quella già presentata a marzo 2022
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Lotta all’obsolescenza programmata e diritto alla riparabilità: cosa fa l’Europa?
Provarci davvero a dare una svolta sul tema dell’obsolescenza programmata: un cammino, europeo, puntellato di insidie. Il “diritto alla riparazione” e alla scelta Il passaporto digitale, l’ecodesign e … l’equilibrio (o la proporzione) La lotta all’obsolescenza programmata (o “precoce”)… … ma non solo Le previsioni quantitative Le scelte non precoci (“Della sostenibilità delle attese – programmate? – e della proporzionalità della pazienza”)

Il “diritto alla riparazione” e alla scelta

Il 7 aprile 2022, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione nella quale chiede alla Commissione di proporre una normativa volta a garantire la durabilità dei prodotti e sancire il “diritto alla riparazione” per produrre meno rifiuti. Ma c’è di più. Nel denso testo del documento sono, infatti, tre le “frasi chiave” che la risoluzione evidenzia, sottolineando che un diritto effettivo alla riparazione:
  • “dovrebbe creare” notevoli vantaggi competitivi per le imprese europee, evitando nel contempo di imporre loro qualsiasi onere finanziario sproporzionato, e
  • “dovrebbe ispirare” l’innovazione ed incentivare gli investimenti nelle tecnologie sostenibili, tenendo conto al tempo stesso degli sviluppi del mercato e dell’evolversi delle esigenze dei consumatori.
La prima “frase chiave” riguarda la progettazione – “Progettare prodotti che durino più a lungo e possano essere riparati” –, e contiene:
  • un invito alla Commissione “a prendere in considerazione requisiti di durabilità e riparazione in una futura direttiva sulla progettazione ecocompatibile con un più ampio ambito di applicazione”;
  • un monito (è necessario “analizzare i requisiti in modo approfondito, prodotto per prodotto, al fine di garantire che sia scelto il requisito più adatto al singolo scopo, tenendo conto del fatto che, ad esempio, per taluni prodotti la progettazione modulare renderà le riparazioni più facili e ne prolungherà la vita utile, mentre per altri prodotti la progettazione modulare o l’obbligo di garantire la riparabilità possono compromettere la durabilità).
La seconda (“Consentire ai consumatori di scegliere prodotti riparabili”) riguarda il diritto di scelta dei consumatori e, quindi, il diritto ad una informazione chiara, affidabile, comprensibile sulla riparabilità e sulla durabilità di un prodotto, in grado di aiutarli ad una comparazione consapevole. La terza (“Rafforzare i diritti dei consumatori e le garanzie per un uso più lungo dei beni”), infine, riguarda le difficoltà pratiche oggettive che i consumatori incontrano nel rivendicare il loro diritto – sancito dalla direttiva sulla vendita dei beni – di scegliere tra riparazione e sostituzione dei beni difettosi: in molti casi, infatti, la riparazione potrebbe costituire una scelta più efficace in termini di risorse e di neutralità climatica, ma “nella pratica i consumatori scelgono solitamente la sostituzione rispetto alla riparazione, il che potrebbe essere dovuto all’elevato costo della riparazione”

Il passaporto digitale, l’ecodesign e … l’equilibrio (o la proporzione)

Nella risoluzione, il Parlamento invita la Commissione a valutare la possibilità di proporre, “in tutta la nuova legislazione sui prodotti e nella revisione della direttiva sulla progettazione ecocompatibile, l’obbligo per i produttori di predisporre:
  • strumenti di etichettatura intelligente quali i codici QR e
  • i passaporti digitali dei prodotti”,
chiedendo al contempo che sia garantito un “equilibrio nello sviluppo di iniziative quali il «passaporto digitale europeo dei prodotti» attraverso una stretta cooperazione con l’industria e i portatori di interessi, tenendo conto in particolare del principio di proporzionalità e prestando speciale attenzione alle esigenze delle PMI”. L’idea del passaporto digitale non è nuova: era già contenuta nella proposta di regolamento che stabilisce il quadro per l’elaborazione delle specifiche di progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili , presentata qualche giorno prima (30 marzo 2022) con lo scopo di contribuire a ridurre l’impatto ambientale negativo dei prodotti durante il ciclo di vita e migliorare il funzionamento del mercato interno, affrontando “i più dannosi impatti ambientali dei prodotti”.
Il “passaporto digitale del prodotto” mira alla registrazione, al trattamento e alla condivisione elettronici delle informazioni relative ai prodotti, tra le imprese della catena di fornitura, le autorità e i consumatori. In questo modo – sottolineano il Parlamento e il Consiglio – “si dovrebbe aumentare la trasparenza, sia per le imprese della catena di fornitura che per il pubblico in generale, e incrementare l’efficienza in termini di trasferimento delle informazioni. In particolare, è probabile che ciò contribuisca ad agevolare e razionalizzare il monitoraggio e l’applicazione del regolamento da parte delle autorità dell’UE e degli Stati membri. È inoltre probabile che fornisca uno strumento di analisi del mercato che potrebbe essere utilizzato per rivedere e perfezionare gli obblighi in futuro”.
Del resto, è il parere della piattaforma “Fit for Future” sulla progettazione ecocompatibile ad aver riconosciuto la necessità di migliorare la sostenibilità dei prodotti e di introdurre nuovi obblighi, “pur mantenendo al minimo l’onere per le imprese”: fra le nove raccomandazioni formulate è stato previsto che occorre “agevolare l’accesso dei consumatori alle informazioni garantendo nel contempo che il passaporto digitale del prodotto consenta flussi di informazioni efficienti sulla base delle migliori pratiche […] accompagnare le misure [di cui al regolamento] con misure di attenuazione, in modo che l’impatto sulle PMI rimanga proporzionato”.

La lotta all’obsolescenza programmata (o “precoce”)…

Il tema della proporzionalità ritorna in un’altra coeva proposta – questa volta di direttiva – che sempre il Parlamento e il Consiglio hanno presentato per combattere l’obsolescenza programmata (più volta definita anche “precoce” nel testo della proposta) dei prodotti ). Le misure previste nella proposta, infatti, “sono proporzionate agli obiettivi di consentire ai consumatori di prendere decisioni di acquisto consapevoli, promuovere consumi sostenibili, eliminare le pratiche commerciali sleali dei professionisti che ledono l’economia sostenibile e allontanano i consumatori da scelte di consumo sostenibile e migliorare la qualità e la coerenza dell’applicazione delle norme dell’UE in materia di tutela dei consumatori”. Tradotto in termini pratici, il principio di proporzionalità vuol dire che:
  • l’obbligo di fornire informazioni in merito all’esistenza di una garanzia commerciale di durabilità del produttore avente durata superiore a due anni è necessario “soltanto quando il produttore mette tali informazioni a disposizione del professionista”;
  • per i beni comprendenti elementi digitali, la fornitura di informazioni sugli aggiornamenti disponibili del software è necessaria “soltanto quando gli aggiornamenti sono forniti per un periodo superiore a quello coperto dalla garanzia commerciale di durabilità del produttore, sempreché il produttore abbia fornito tali informazioni al professionista”;
  • per i servizi digitali e i contenuti digitali, la fornitura di informazioni sugli aggiornamenti disponibili del software è necessaria “soltanto quando il produttore, se diverso dal professionista, ha fornito tali informazioni al professionista”.

… ma non solo

Quest’ultima proposta – una delle iniziative previste nella nuova agenda dei consumatori e nel piano d’azione per l’economia circolare che dà seguito al Green Deal europeo mira a dare ai consumatori la possibilità di scegliere e offrire loro soluzioni meno onerose, “elemento centrale del quadro strategico in materia di prodotti sostenibili”. Un obiettivo che deve essere conseguito attraverso una maggiore partecipazione dei consumatori all’economia circolare, frutto:
  • di “migliori informazioni” in merito alla durabilità e alla riparabilità di determinati prodotti prima della conclusione del contratto e
  • di una tutela rafforzata dalle “pratiche commerciali sleali che impediscono acquisti sostenibili”, come il greenwashing, le pratiche di pratiche di obsolescenza precoce e l’uso di marchi di sostenibilità e strumenti di informazione inattendibili e non trasparenti.
 
Gli scopi della proposta direttiva Devono essere fornite informazioni:
  • sull’esistenza e sulla durata di una garanzia commerciale di durabilità del produttore per tutti i tipi di beni, o sull’assenza di tale garanzia in caso di beni che consumano energia;
  • sulla disponibilità di aggiornamenti gratuiti del software per tutti i beni comprendenti elementi digitali, contenuti digitali e servizi digitali;
  • sulla riparabilità dei prodotti, tramite un indice di riparabilità o altre informazioni sulla riparazione, ove disponibili, per tutti i tipi di beni.
I professionisti (“qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali agisca nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisca in nome o per conto di un professionista”):
  • non devono ingannare i consumatori in merito agli impatti ambientali e sociali, alla durabilità e alla riparabilità dei prodotti;
  • devono presentare una dichiarazione ambientale asserendo prestazioni ambientali future soltanto quando ciò comporta impegni chiari;
  • non può pubblicizzare come vantaggi per i consumatori quel che è considerato pratica comune nel mercato rilevante;
  • può raffrontare i prodotti, anche attraverso uno strumento di informazione sulla sostenibilità, soltanto se fornisce informazioni sul metodo di comparazione, sui prodotti e sui fornitori coinvolti e sulle misure prese per tenere aggiornate le informazioni.
Devono essere vietati:
  • l’esibizione di un marchio di sostenibilità che non è basato su un sistema di certificazione o non è stabilito dalle autorità pubbliche;
  • l’uso di dichiarazioni ambientali generiche nelle attività di marketing rivolte ai consumatori, laddove l’eccellenza delle prestazioni ambientali del prodotto o del professionista non sia dimostrabile;
  • la presentazione di una dichiarazione ambientale concernente il prodotto nel suo complesso quando in realtà riguarda soltanto un determinato aspetto;
  • la presentazione di requisiti imposti per legge sul mercato dell’Unione per tutti i prodotti appartenenti a una data categoria come se fossero un tratto distintivo dell’offerta del professionista;
  • talune pratiche legate all’obsolescenza precoce dei beni.

Le previsioni quantitative

“Azioni concentriche per le sostenibilità”, verrebbe da dire, nel leggere tutte queste misure messe in campo (ehm: proposte…) È possibile – viene da domandarsi – fare delle “previsioni quantitative” sull’impatto economico di tali misure, che per certi versi potrebbero avere una portata storica, per utenti finali, benessere dell’ambiente e naturalmente tutta la catena del valore dell’elettronica? Nel dossier che accompagna la proposta di direttiva sulla «responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde» “si prevede che la combinazione delle opzioni strategiche prescelte:
  • aumenterà il benessere economico dei consumatori di almeno 12,5-19,4 miliardi di € in un periodo di 15 anni (in media circa 1 miliardo di EUR l’anno);
  • apporterà altresì vantaggi all’ambiente, con una stima parziale della CO2 equivalente totale risparmiata pari a 5-7 MtCO2e (tonnellate metriche di CO2 equivalente) in un periodo di 15 anni”.
Certo, le imprese dovranno adeguarsi (“il costo dovrebbe aggirarsi fra 9,1 e 10,4 miliardi di €, importo che rappresenta un costo una tantum medio per impresa compreso tra 556 e 568 €, seguito da un costo ricorrente annuale compreso tra 64 e 79 € per il periodo considerato”), ma potranno anche beneficiare di vantaggi molto importanti legati alla parità di condizioni, “dato che le imprese che attualmente ingannano i consumatori dovrebbero allineare le loro pratiche a quelle che sono veramente sostenibili” (si prevede che il controllo dell’applicazione delle opzioni prescelte da parte delle pubbliche amministrazioni costerà in media circa 440 000–500 000 €l’anno per Stato membro).

Le scelte non precoci (“Della sostenibilità delle attese – programmate? – e della proporzionalità della pazienza”)

Tutto bene, fin qui, quindi. Anche perché, nel frattempo, l’UE ha trovato l’accordo tra le istituzioni Ue sulla proposta legislativa per introdurre un caricatore unico di tipo Usbc, indipendentemente dal produttore, per i dispositivi mobili nell’Unione europea. Per quasi tutti: dall’elenco (smartphone, tablet, e-reader, fotocamere digitali cuffie e auricolari, console per videogiochi portatili e altoparlanti portatili ricaricabili), infatti, mancano i laptop, per i quali è previsto un rinvio di quaranta mesi. Quaranta. Un’attesa programmata? Anche se (non) fosse, per quale motivo? Di sicuro non una scelta sostenibile, neanche per la pazienza dei consumatori, che dovranno aspettare – forse “solo” – ancora tre anni e quattro mesi per questa “tranche di benessere economico”. Che in realtà è solo una parte di quel più generale benessere sostenibile, che si proclama da più parti ma si fa ancora fatica a mettere in pratica: proposte e rinvii non sono proprio quello che si può definire l’implementazione…precoce di una vision già di per sé in slow motion….
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