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Lo smart working continua: sono più di 3 milioni e mezzo i lavoratori agili in Italia

Una ricerca dell'Osservatorio Smart Working indica che nel 2024 il lavoro agile cresce nelle grandi imprese, cala nelle PMI e resta stabile nelle microimprese e nella PA
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Lo smart working continua: sono più di 3 milioni e mezzo i lavoratori agili in Italia

L’Osservatorio Smart Working, che fa parte degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano, ha diffuso i dati relativi al “lavoro agile” in Italia nel 2024, da cui si rileva che questa modalità di lavoro ha ormai preso piede nel nostro Paese. Sono infatti 3,55 milioni i lavoratori che svolgono la propria attività da remoto, rispetto ai 3,58 milioni del 2023 (-0,8%). Il 73% di essi si opporrebbe se richiamato in ufficio a meno di ottenere una maggiore flessibilità oraria o un aumento di stipendio del 20%.

Smart Working in Italia nel 2024: la situazione

Secondo i dati dell’Osservatorio del Politecnico, lo smart working cresce nelle grandi imprese, dove coinvolge quasi 2 milioni di lavoratori (1,91 milioni, +1,6% sul 2023), vicino al picco della pandemia, con il 96% delle grandi organizzazioni che oggi hanno consolidato delle iniziative. Cala invece nelle PMI, passando a 520mila lavoratori dai 570mila dell’anno scorso, e resta sostanzialmente stabile nelle microimprese (625mila nel 2024, 620mila nel 2023) e nella PA (500mila nel 2024, 515mila nel 2023). Per il 2025 si prevede una crescita del +5%, che porterebbe a toccare 3,75 milioni, soprattutto nelle grandi imprese (35%) e nella Pa (23%), mentre nelle PMI la direzione è opposta, con solo l’8% delle imprese che ipotizza un aumento.

I lavoratori “agili” italiani possono lavorare da remoto in media 9 giorni al mese nelle grandi imprese, 7 nella Pubblica Amministrazione e 6,6 nelle PMI. Tra chi è tornato in totale presenza dopo aver lavorato da remoto, solo il 19% lo ha fatto per scelta personale, perché non ha più la necessità di lavorare da remoto o semplicemente preferisce socializzare con i colleghi in presenza. Il 23% ha una nuova mansione non svolgibile da remoto, mentre per la grande maggioranza (58%) è stata una decisione presa dall’azienda.

Il fenomeno secondo i datori di lavoro

L’atteggiamento dei manager ha un ruolo cruciale nel determinare l’adozione delle pratiche di Smart Working e il loro effettivo utilizzo. Il 53% delle grandi imprese ritiene che i propri manager siano promotori di tali iniziative mettendole in pratica e stimolando anche i propri collaboratori a farlo. Nel settore pubblico e nelle PMI questo atteggiamento positivo è meno diffuso, presente solo, rispettivamente, nel 35% e nel 27% delle organizzazioni. Oltre un terzo delle PMI dichiara, invece, che i propri responsabili hanno un atteggiamento scettico rispetto allo smart working, permettendo alle persone di lavorare da remoto solo in presenza di particolari necessità o addirittura non incentivandone l’applicazione.

La ricerca dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, presentata durante il convegno “Tra Smart Working e Return-to-Office: orientarsi nel labirinto della flessibilità” è uno degli oltre 50 differenti filoni di ricerca degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano, nati nel 1999 con l’obiettivo di fare cultura in tutti i principali ambiti di Innovazione Digitale e affrontarne tutti i temi chiave nelle imprese e nella Pubblica Amministrazione.

Lo Smart Working in Italia nel 2024: ripensare gli spazi di lavoro

Cresce l’attenzione al ripensamento degli spazi di lavoro per renderli più efficaci ed attrattivi in un modello di lavoro Smart. Il 78% delle grandi imprese ha, almeno in alcune sedi, spazi flessibili, riconfigurabili, differenziati e che permettono un uso efficace degli ambienti, soluzioni presenti anche nel 49% della PA e nel 34% delle PMI. Il 56% delle grandi imprese e il 28% di PMI e PA hanno introdotto nelle loro sedi spazi dedicati al recupero delle energie e alla socializzazione, mentre restano ancora poco diffuse le soluzioni per il benessere fisico come gli standing desk.

Gli interventi attuati, presenti almeno in alcune sedi del 63% delle grandi imprese, nel 54% delle PMI e 56% delle PA, si concentrano principalmente su sistemi che permettono di segmentare gli spazi, evitando il riscaldamento o raffreddamento degli ambienti quando non usati. Meno diffusi sono gli arredi con materiali sostenibili e di riciclo, presenti nel 40% delle grandi imprese, 15% delle PMI e 12% delle PA.

Rispetto al tema dell’inclusività solo il 26% delle grandi imprese, il 13% delle PMI e il 21% delle PA hanno elementi che rendono gli spazi accessibili a persone con esigenze non standard, come percorsi tattili e scelte cromatiche pensate per chi ha difficoltà visive. Meno di 1 organizzazione su 10 ha spazi adeguati a persone con neurodiversità o luoghi di preghiera per diverse fedi religiose.

Nuove forme di flessibilità

Meno di 1 azienda su 10 ha adottato la settimana corta, ma nonostante una diffusione ancora contenuta, questa sta riscontrando interesse nelle organizzazioni. I modelli e le pratiche sono molto diversi, dalla settimana compressa ai venerdì brevi, talvolta applicati solo in determinati periodi dell’anno, o una rimodulazione dell’orario lavorativo riservate a specifici profili di lavoratori, come quelli su turni. Le motivazioni principali per cui le organizzazioni hanno implementato o stanno valutando di introdurre la settimana corta sono: migliorare il bilanciamento fra vita privata e lavorativa delle persone (per il 91% delle aziende), la volontà di aumentare la soddisfazione lavorativa e l’engagement (89%) e la capacità di risultare più attrattive sul mercato del lavoro (56%). Il miglioramento della produttività non figura tra le principali motivazioni dichiarate.

Secondo Fiorella Crespi, Direttrice dell’Osservatorio Smart Working, “La flessibilità nell’organizzazione del lavoro è rilevante per attrarre e trattenere talenti. Per questo le organizzazioni stanno valutando e sperimentando nuovi modelli per ampliare il numero di persone che possono fruire di forme di flessibilità e, allo stesso tempo, accedere ad un più ampio bacino di competenze necessarie. Si va dalla settimana corta, adottata effettivamente da meno del 10% delle aziende, ma che riscuote molto interesse, all’International Smart Working: un fenomeno praticato nel 29% delle grandi imprese e che permette di impiegare persone che risiedono all’estero, siano esse di nazionalità straniera o italiana”.

International Smart Working

Un fenomeno emergente è l’International Smart Working, presente soprattutto nelle grandi imprese, in cui è praticato già dal 29% delle realtà, mentre è ancora contenuta la diffusione nelle PMI (4%). Le iniziative riguardano spesso un numero limitato di individui, ma rappresentano lo strumento con cui le organizzazioni possono accedere ad un più ampio bacino di talenti a livello geografico e mantenere il rapporto di lavoro con chi manifesta la necessità di spostarsi a vivere all’estero.

Attrarre specifici profili e trattenere talenti sono le principali motivazioni per attivare iniziative di International Smart Working. A limitarne la diffusione, la difficile gestione fiscale e previdenziale per metà delle organizzazioni che hanno progetti attivi. Una volta avviata l’iniziativa, il principale rischio percepito dalle aziende è la perdita di senso di appartenenza e la riduzione dell’engagement (per il 57% delle grandi imprese), mentre per il 46% delle PMI la preoccupazione è soprattutto la gestione in sicurezza dei dati.

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