Professione

Laurea magistrale in Ingegneria, tra dati e ambizione

Questa spinta verso la laurea magistrale dell'80% dei laureati di primo livello in Ingegneria potrebbe far ripensare anche alla revisione dell'albo
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Laurea magistrale in Ingegneria, tra dati e ambizione
Sono passati quasi 25 anni dall’introduzione nel sistema universitario italiano del 3+2, tre anni di formazione di base più un biennio di formazione specialistica, con l’entrata in vigore del decreto 509/99 del Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifico-Tecnologica. Un intervento normativo che ha avuto ripercussioni anche sulla regolamentazione degli albi. Infatti col Dpr 328/2001 anche gli Albi professionali vennero modificati con l’istituzione della sezione B riservata ai laureati di primo livello. Ma quali sono le prerogative oggi per i laureati e le laureate triennali in Ingegneria? Ad indagarle ci ha pensato il Centro Studi del CNI con i dati raccolti nel rapporto, curato dal Emanuele Palumbo.

Laurea magistrale, obiettivo formazione totale

Il report CNI rileva che l’universo dei laureati di primo livello è di non semplice quantificazione, dal momento che una quota superiore all’80%, una volta conseguito il titolo, prosegue il percorso universitario iscrivendosi ad un corso di laurea magistrale. Di conseguenza, va evidenziato che i poco più di 200mila laureati che, in base alla stima effettuata nell’indagine, costituiscono la popolazione con una laurea di primo livello in ingegneria quale titolo di studio più “elevato” (laddove i laureati magistrali negli stessi indirizzi superano il milione di unità), comprendono anche gli iscritti ai corsi di laurea magistrale. Considerata la recente istituzione del titolo, quasi i due terzi dell’universo dei laureati di primo livello hanno un’età inferiore ai 35 anni.

Sempre meno ingegneri civili

Parlando di immatricolazioni, dopo il picco fatto registrare nell’anno accademico 2019/20, da tre anni queste segnano il passo e si attestano poco sotto le 46mila unità. Dei nuovi immatricolati del 2021/22, oltre la metà si sono iscritti ad un corso di laurea della classe L-9 Ingegneria Industriale, mentre un ulteriore 35% ha optato per un corso della L-8 Ingegneria dell’informazione. Solo il 12% ha invece scelto un percorso universitario del settore civile ed ambientale, in linea col trend degli ultimi anni. La tendenza è confermata anche dall’esame dei dati relativi ai laureati di primo livello. Nel 2020 quasi il 53% dei laureati ha conseguito un titolo di laurea della classe L-9 Ingegneria industriale e circa un terzo si è laureato invece nella classe L-8 Ingegneria dell’informazione. Solo tre laureati su 20 hanno conseguito invece un titolo del settore civile.

L’aumento dei laureati di primo livello in Ingegneria

Nel complesso il numero di laureati di primo livello in ingegneria appare in costante aumento. Nel 2020 hanno conseguito il titolo di laurea 28.659 studenti, laddove, solo 5 anni prima, la quota era inferiore alle 25mila unità. In continuo aumento risulta il numero di donne laureate in ingegneria: toccano il 26,3% dei laureati di primo livello e la quota aumenta fino al 46% tra i laureati in Scienze e tecniche dell’edilizia. “Sin dall’istituzione delle sezioni dell’albo – sostiene Ippolita Chiarolini, Consigliera sezione B del CNI – sono state create figure senza che fossero definite univocamente competenze e confini della propria attività professionale. Basti pensare che il decreto che determina l’accesso agli albi delle professioni regolamentate (DPR.328/01) prevede che i laureati della classe L-7 Ingegneria civile e ambientale possano scegliere di sostenere le prove dell’Esame di Stato per l’abilitazione a ben 6 professioni diverse (Ingegnere civile ed ambientale iunior, Architetto iunior, Agrotecnico laureato, Geometra laureato, Perito agrario laureato e Perito industriale laureato). In questo senso, forse è arrivato il tempo di ragionare con attenzione ad una revisione dell’organizzazione dell’Albo”.

L’occupabilità senza laurea magistrale

Il rapporto del Centro Studi CNI offre importanti indicazioni anche in merito ai livelli occupazionali dei laureati “triennali”. Tra questi, oltre il 55% risulta occupato in un’attività lavorativa. La percentuale apparentemente bassa si spiega anche col fatto che una buona parte di loro sta proseguendo la carriera universitaria. Il tasso di disoccupazione, infatti, è pari al 6%, mentre il 41,3% rientra nella categoria degli “inattivi” che comprende appunto anche gli studenti. Tuttavia, va detto che le difficoltà di accesso al mercato del lavoro da parte dei laureati di primo livello sono più evidenti rispetto ai colleghi magistrali. Ad un anno dalla laurea, infatti, il tasso di disoccupazione tra gli ingegneri “iuniores” è pari al 15,5% tra i laureati del gruppo “Architettura e Ingegneria civile” e al 12,7% tra quelli del gruppo “Ingegneria industriale e dell’informazione”, mentre tra i laureati magistrali i corrispondenti valori sono pari rispettivamente al 7,4% e al 4,2%. Altra criticità per i laureati di primo livello in ingegneria sta nella differenza di retribuzione in base al genere: una laureata di primo livello delle discipline ingegneristiche guadagna ad un anno dalla laurea mediamente circa il 20% in meno di un collega uomo. “I laureati di primo livello in ingegneria, a quasi 25 anni di distanza dall’introduzione del titolo di laurea, ancora non hanno trovato una collocazione chiara all’interno del mercato del lavoro – ricorda il curatore della ricerca del Centro Studi CNI Emanuele Palumbo –  talvolta vengono assunti dalle imprese per mansioni specializzate, altre volte alla stregua di figure più specificatamente tecniche, con uno sminuimento dunque delle proprie competenze”. Il rapporto del Centro Studi CNI fornisce alcune informazioni sul peso degli ingegneri iuniores nell’Albo professionale. Al momento risultano iscritti alla sezione B poco più di 12.500 ingegneri, pari al 5% del totale. Un valore che, seppur in costante crescita, non raggiunge i livelli che ci si potrebbe attendere, soprattutto se rapportato al numero di laureati che ogni anno escono dall’università (oltre 25mila). In ogni caso, sebbene manchi l’exploit, negli ultimi 7 anni si è comunque registrata una consistente spinta soprattutto dall’universo femminile che ha visto aumentare il numero di iscritte del 51,5% rispetto al 2016 a fronte del 36,5% rilevato tra gli uomini.
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