Professione

Equo compenso, disciplina inclusiva per non discriminare tra professionisti

L’allarme lanciato da ProfessionItaliane. Gli Ingegneri lombardi si spingono oltre: “Ripristinare i minimi tariffari”
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Equo compenso, disciplina inclusiva per non discriminare tra professionisti
No ad un equo compenso applicato “ad personam”. Il rischio? Creare professionisti di serie A e di serie B. È questo l’allarme lanciato da ProfessionItaliane, l’associazione che racchiude al proprio interno le rappresentanze professionali che aderiscono al Comitato Unitario delle Professioni e alla Rete delle Professioni Tecniche. Un messaggio gridato con forza, all’indomani della conclusione dei lavori in Commissione Giustizia della Camera dei Deputati. “ProfessionItaliane prende atto dell’intervento con il quale si dispone che le imprese alle quali si applicherà la disciplina saranno quelle che, nell’ultimo anno, hanno occupato più di 50 dipendenti. E non più 60 in 3 anni, come originariamente proposto”, si legge in una nota dell’associazione. Una decisione che “non può dirsi soddisfacente e va assolutamente modificata”. Criticità emergono anche dai sindacati degli ingegneri e degli architetti. 

L’equo compenso

Il riferimento è alla proposta di legge (n. 3179) presentata il 25 giugno scorso(“Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali”) dai deputati Giorgia Meloni (FdI), Jacopo Morrone (Lega) e Andrea Mandelli (FI). L’obiettivo del nuovo Pdl è dare senso al principio già sancito dall’articolo 2233 del Codice Civile, secondo il quale “la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione”. L’ambito di applicazione concerne lo svolgimento, anche in forma associata o societaria, di attività professionali svolte in favore di imprese bancarie e assicurative. Inoltre, di consulenze ad attività corrisposte per quelle imprese che nel triennio precedente al conferimento dell’incarico hanno occupato alle proprie dipendenze più di 60 lavoratori o hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro. Una disposizione che in Commissione è stata ridotta a 50 dipendenti nell’ultimo anno.

Le richieste di ProfessionItaliane

Una soluzione che non trova d’accordo ProfessionItaliane, che spera nel passaggio in Aula del pdl n. 3179 per arrivare ad una disciplina più “inclusiva”. L’equo compenso, infatti, è un principio trasversale e, come tale, “dovrebbe applicarsi alla generalità delle imprese e dei rapporti da queste intrattenuti con i professionisti”. L’associazione, in ogni caso, saluta con favore la rinnovata attenzione verso le professioni e l’impatto economico delle attività professionali. “Bene anche la modifica che contempla un ruolo proattivo dei Consigli nazionali nell’aggiornamento dei parametri di riferimento delle prestazioni professionali”. ProfessionItaliane ritiene, però, “necessari ulteriori interventi a sostegno di un tessuto professionale già messo a dura prova dalla crisi pandemica”.

La posizione del Croil

Argomentazioni condivise in larga parte anche da Augusto Allegrini, presidente della Consulta regionale degli Ordini degli Ingegneri della Lombardia. Che però si spinge più in là: “L’equo compenso deve partire dalle tariffe. Perché non pensare di ripristinare i minimi tariffari? Non sono in contrasto con i dispositivi Ue e funzionano benissimo in paesi importanti come Francia e Germania”. Anche perché “l’equo compenso dovrebbe essere legato alle prestazioni che determinate attività richiedono. Insomma, bisogna rendere misurabile il lavoro, introducendo anche il concetto del valore orario del lavoro”. Se quindi esiste un principio generale di equo compenso, secondo Allegrini è necessario “declinarlo in base alle professioni. Fare l’ingegnere è diverso dal commercialista: credo che i compensi, anche minimi, potrebbero essere differenti a seconda del tipo di mansione svolta”.

Le associazioni sindacali

Criticità al Pdl 3179 arrivano dalle associazioni sindacali di ingegneri e architetti. In una nota congiunta, i presidenti nazionali di ALA, ANTEC, Asso Ingegneri e Architetti, FIDAF e INARSIND, Bruno Gabbiani, Amos Giardino, Alberto Molinari, Andrea Sonnino e Carmelo Russo, hanno espresso perplessità sul provvedimento. La questione verte intorno alla rappresentanza: “Chiediamo che agli Ordini sia demandato il controllo dei professionisti, a difesa della società civile; alle associazioni sindacali la giusta rappresentatività dei professionisti”. “Gli Ordini professionali – prosegue la nota – ricoprono un ruolo di controllo e di gestione della professione, ai quali tutti i professionisti che vogliono esercitare la professione sono, obbligati ad iscriversi”. Un’obbligatorietà che “è la negazione del fondamento democratico sul quale si fonda la rappresentanza, che presuppone la volontarietà di adesione”. Nessun Ordine pertanto, “può svolgere rappresentanza dei liberi professionisti”.

Class Action e Osservatorio

Un’attività di rappresentanza che non compete neanche ai Consigli Nazionali o alla Rete delle Professioni Tecniche. Tanto meno alle Casse di Previdenza privatizzate. “Gli unici organismi cui compete la rappresentanza dei professionisti sono i loro sindacati e le libere associazioni cui essi hanno aderito liberamente”. Altra questione: la proposta di tutela dei diritti attraverso la Class Action. Una contraddizione in essere, in quanto “ne riserva la facoltà dell’iniziativa all’Ordine Professionale Nazionale, ovvero ad una diretta emanazione dello Stato, invece che a enti e sindacati che rappresentano liberamente i loro iscritti professionisti”. Ancora: “L’istituzione di un Osservatorio sull’equo compenso, demandato al Ministero della Giustizia e costituito solo con la partecipazione dei Consigli Nazionali degli Ordini, rappresenterebbe un organo di controllo a presenza unica, quella dello Stato”.

Sindacati e Ordini

In sostanza, secondo le associazioni sindacali, “riconoscere la rappresentanza degli iscritti al sistema ordinistico creerebbe un palese conflitto del ruolo istituzionale proprio degli Ordini”. Il loro compito è “dare il parere di congruità della prestazione professionale, come correttamente previsto all’art. 5 della proposta di legge, in forza della propria terzietà istituzionale. Terzietà che verrebbe mancare se gli stessi al tempo stesso dovessero certificare la congruità del compenso”. Procedendo con l’attivazione delle class action in rappresentanza degli iscritti”. Il messaggio finale è chiaro: “Gli unici organismi cui compete la rappresentanza dei professionisti sono i loro sindacati costituiti in libere associazioni cui essi hanno aderito liberamente”. Articolo pubblicato il 16.07.21 – aggiornato il 23.07.21
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