Professione

Nell’affidamento di incarichi a professionisti, anche la PA deve rispettare l’equo compenso

Una sentenza del Consiglio di Stato considera sia il caso in cui la prestazione non preveda la corresponsione di alcun compenso, sia che lo stesso venga previsto
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Nell’affidamento di incarichi a professionisti, anche la PA deve rispettare l’equo compenso

Il Consiglio di Stato, sezione V, con la sentenza n. 2084 del 28 febbraio 2023, si esprime sul tema dell’equo compenso e affidamento incarichi a professionisti mediante criterio del prezzo più basso, trattando il caso di un professionista che aveva proposto ricorso contro la determinazione del dirigente comunale, che aveva conferito l’incarico a un avvocato per il patrocinio e l’assistenza legale dell’amministrazione comunale in un giudizio proposto dinanzi al Tar, lamentando l’illegittimità dell’affidamento per violazione:

  • dell’articolo 19, quaterdecies, comma 3, del dl n. 148 del 16 ottobre 2017 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 172 del 4 dicembre 2017, secondo cui la corresponsione di tariffe corrispondenti all’equo compenso costituisce “attuazione dei principi di trasparenza, buon andamento ed efficacia” dell’azione amministrativa,
  • dell’articolo 37 del Codice Deontologico Forense, per difetto di motivazione, violazione dei principi di correttezza e buona fede, eccesso di potere per sviamento, disparità di trattamento e ingiustizia manifesta.

Il Comune non aveva espletato alcuna indagine di mercato, né alcuna procedura negoziata e, nella richiesta di preventivo, non aveva posto alcun limite all’importo proponibile, precisando che il giudizio per il quale aveva prestato assistenza difensiva si era consumato in una sola udienza. La procedura seguita dal Comune nella scelta del professionista era orientata dalla scelta del prezzo più basso, senza neppure una previa determinazione e comunicazione dei correlativi criteri. Il fatto che il Comune si sia limitato a richiedere i preventivi, scegliendo quello meno oneroso, è considerato dal ricorrente lesivo della sua professionalità e della dignità della professione forense.

Respinto in primo grado, il ricorso del professionista è stato invece accolto in appello, poiché “pur essendo stata prevista la corresponsione di un compenso, la scelta del professionista è avvenuta avuto riguardo al criterio del prezzo più basso, senza previo accertamento del rispetto dell’equo compenso, atto a tutelare non sola la categoria forense da fenomeni anticoncorrenziali, ma anche ad assicurare la qualità della prestazione ma anche ad assicurare la qualità della prestazione”.

Per il Consiglio di stato, la scelta del professionista non è stata ancorata alla predeterminazione di alcun criterio né preceduta da alcuna procedura in grado di assicurare nel contempo l’imparzialità ed il buon andamento, oltre che la trasparenza dell’agere amministrativo ed il rispetto del principio di buona fede.

La sentenza afferma che “Non è astrattamente escluso che, per la scelta del difensore, la Pubblica Amministrazione possa anche svolgere una procedura concorsuale, purché dia preventivamente conto dei criteri assunti, restando comunque escluso che – anche in simili casi – possa essere decisivo il criterio del massimo ribasso sul prezzo o, quanto meno, che quest’ultimo possa essere oggettivamente privo di limiti. La valutazione di convenienza non può mai finire con il coincidere con il minor costo della prestazione professionale”.

L’equo compenso nella disciplina della professione forense

Sebbene la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense (legge n. 247 del 31 dicembre 2012, art. 13-bis comma 3) non escluda il (e nemmeno implichi la rinuncia al) potere di disposizione dell’interessato, che resta libero di rinunciare al compenso – qualunque esso sia, anche indipendentemente dalla equità dello stesso – allo scopo di perseguire od ottenere vantaggi indiretti o addirittura senza vantaggio alcuno, nemmeno indiretto, il Comune non avrebbe potuto scegliere il professionista cui affidare l’incarico sulla base del solo criterio del prezzo più basso, essendo principio immanente nel sistema il criterio di aggiudicazione fondato sul rapporto qualità/prezzo.

Laddove il compenso è previsto, deve necessariamente essere equo. La disciplina sull’equo compenso ha completato e colmato quello scarto negativo che, nel tempo e a causa di svariati fattori, ha provocato nel settore delle libere professioni una minor tutela per coloro che prestano attività professionale al di fuori degli schemi tipici del rapporto dipendente e della tutela costituzionale salariale e retributiva.

Se è vero che le prestazioni professionali degli avvocati devono essere espletate con professionalità anche indipendentemente dalla misura dell’onorario, non può tuttavia negarsi che l’interesse ad assumere incarichi per l’Amministrazione da parte dei professionisti più qualificati dipenda largamente anche dall’adeguatezza del corrispettivo offerto e dal rispetto della dignità professionale della classe forense.

Sia che la prestazione non preveda la corresponsione di alcun compenso sia che lo stesso venga previsto, la la pubblica amministrazione deve rispettare il criterio dell’equo compenso, quale normativamente determinato. La scelta del professionista cui affidare l’incarico non può che essere fondata su criteri predeterminati e resi noti agli offerenti.

Ciò in quanto “la funzione amministrativa, da svolgere nel rispetto dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento, non può non incentrare la sua concreta azione sui cardini della prevedibilità, certezza, adeguatezza, conoscibilità, oggettività ed imparzialità dei criteri di formazione dell’elenco al quale attingere e di affidamento degli incarichi”.

Il rapporto qualità/prezzo come criterio di aggiudicazione

Il Comune non avrebbe potuto scegliere il professionista cui affidare l’incarico sulla base del solo criterio del prezzo più basso, essendo principio immanente nel sistema il criterio di aggiudicazione fondato sul rapporto qualità/prezzo.

Pertanto la Pubblica amministrazione deve prevedere un meccanismo procedimentale che dia idonee garanzie circa il fatto che la concreta azione amministrativa sia ispirata a criteri, canoni e regole di assoluta imparzialità nella selezione e nella scelta dei professionisti, di modo che in questo “nuovo mercato” delle libere professioni nessuno abbia ad avvantaggiarsi a discapito di altri.

Le modalità pratiche ed operative più opportune per attuare tali principi devono essere:

  1. efficaci, cioè produrre un effetto utile per i soggetti interessati;
  2. oggettive, cioè basate su criteri verificabili e attinenti ai dati curriculari;
  3. trasparenti, cioè basate su dati e documenti amministrativi accessibili;
  4. imparziali, cioè tali da consentire la valutazione equa ed imparziale dei concorrenti;
  5. procedimentalizzate, cioè idonee ad assicurare, anche mediante protocolli e modelli di comportamento, che non si verifichino favoritismi o, all’inverso, discriminazioni, nella selezione e nella attribuzione degli incarichi;
  6. paritarie, cioè che le distinzioni di trattamento debbono rispondere a criteri di stretta necessità, proporzionalità ed adeguatezza del mezzo rispetto allo scopo;
  7. proporzionali, cioè tali da assicurare la rispondenza relazionale tra il profilo professionale scelto e l’oggetto dell’incarico, anche sulla base del dato curriculare e di esperienza;
  8. pubbliche, cioè prevedibili e conoscibili;
  9. rotative, compatibilmente con la necessità di rendere efficace ed effettiva l’azione amministrativa”.

La sentenza n. 2084 del 28 febbraio 2023 si trova a questo link.

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