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Donne in architettura: Christiane Bürklein e lo stile degli studi

Intervistiamo Christiane Bürklein, Senior Communication Expert presso lo studio olandese KCAP. Con lei, parliamo di comunicazione, di brand e di stile comunicativo negli studi di architettura
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Donne in architettura: Christiane Bürklein e lo stile degli studi
Intervistiamo Christiane Bürklein, Senior Communication Expert presso lo studio olandese KCAP. Nata in Germania nel 1967, vive in Italia dal 1986. Laurea con lode in Lingue e Letterature Straniere Moderne all’Università di Genova, Italia. Madre di due figli. Arriva al mondo dell’architettura per passione e per DNA (tra i suoi avi Friedrich Bürklein, l’architetto del Re Massimiliano di Baviera, mentre suo padre, Klaus-Dieter Bürklein, è stato l’architetto paesaggista della rinascita del bacino della Ruhr). Inizia la sua carriera come consulente linguistico presso lo studio di Renzo Piano RPBW , lavorando al progetto di rinnovamento urbano della Potsdamer Platz. Sarà impegnata come traduttrice, interprete e consulente per aziende come Ansaldo, RINA, NUSSLI. Nel 2011, entra a far parte del team di Floornature, ove tiene un blog sull’architettura sostenibile. Dal 2014, è la PR Manager del fotografo tedesco Ken Schluchtmann e collabora ad alcuni libri con il Prof. Paolo Schianchi sul tema della comunicazione. Entra a far parte del FuBULous Team di Herbert Wright, arrivando tra i 5 finalisti per la curatela della Triennale di Architettura di Oslo 2019. Come membro del Team Emotionalist, guidato da Herbert Wright e Tszwai So (Spheron Architects), è shortlisted per la curatela della TAB2022. Da febbraio 2019 a giugno 2020 ha lavorato nell’ufficio PR di MVRDV a Rotterdam come Online Editor, occupandosi anche dell’edizione speciale della rivista Baumeister curata da Winy Maas. Ora lavora come Senior Communication Expert presso lo studio KCAP, sempre a Rotterdam. A seguire, con lei parliamo di comunicazione, di brand e di stile comunicativo negli studi di architettura.

Christiane Bürklein – ph. Gianluca Giordano

Christiane, dopo molteplici esperienze nel campo della comunicazione, ti ritroviamo in una nuova primavera lavorativa che ti ha portato, a 51 anni, a divenire Online Editor presso MVRDV. Una storia non banale la tua, considerando anche le prospettive del mercato lavorativo italiano, dove la valutazione delle competenze sembra andare con difficoltà oltre i meri discorsi anagrafici …

Grazie per darmi la possibilità di raccontare un’esperienza che è molto lontana da quello che ci si aspetta da una “signora di mezz’età”… Quando ho visto il post che MVRDV stava cercando una persona per la posizione di Online Editor nell’ufficio di Rotterdam, ero incuriosita perché era affine a quello che faccio dal 2012 come blogger. Inoltre, sono una fan di MVRDV. Adoro l’apparente leggerezza dei loro progetti, ho avuto modo di incontrare Winy Maas e anche di intervistare Jacob van Rijs. Comunque pensavo che non facesse per me, sia per il fatto della famiglia basata in Italia, sia per l’aspetto anagrafico. Così l’ho condiviso tra i miei contatti più giovani, ma una mia amica spagnola, fotografa di architettura, mi ha suggerito di candidarmi. Ho seguito il suo consiglio e… il 1 febbraio 2019 ho iniziato nello studio PR di MVRDV, diretto da Jan Knikker. Jan è Head of Strategy e l’unico partner non-architetto dello studio, con un background simile al mio in quanto veniamo entrambi dal mondo della comunicazione. In ogni caso, in MVRDV non hanno guardato alla mia età, ma alle mie competenze, accumulate in oltre 25 anni di lavoro tra mediazione linguistica, consulenze per fotografi ed eventi, oltre la mia attività di blogger. Questa stima della persona, a prescindere dalle contingenze, mi ha gratificato molto e mi ha anche dato conforto quando viaggiavo tra Rotterdam e Montemarzino, il piccolo comune nelle colline tortonesi, dove vive la mia famiglia che mi ha sostenuto nella mia decisione. Diciamoci la verità, mi sono lasciata trasportare dal mio “entusiasmo giovanile”, ho voluto provare e… quasi 2 anni dopo sono ancora a Rotterdam, avendo ora una nuova mansione come Senior Communication Expert presso lo studio KCAP.

Parliamo del tuo lavoro: cosa significa curare la comunicazione del brand di studi di architettura di tali dimensioni? Come ti muovi nello specifico della tua pratica quotidiana?

Come dici tu, si tratta di comunicare un brand. Magari una parola che in molti non vogliono sentire, fa così “marketing”, lontano anni luce dall’immagine stereotipata dell’architetto costruttore di opere uniche e creatore del mondo che ci circonda. A guardare bene, la curatela della comunicazione di uno studio di architettura esula dalla grandezza dello studio. Chiaramente cambia l’impatto, il “reach” della propria strategia comunicativa, ma alla fine siamo sempre lì. Sia che io sia la professionista che lavora da sola, sia che io abbia uno studio dalla fama internazionale con oltre 250 persone, ho bisogno di una strategia che mi aiuti a condividere quello che faccio, per essere percepito come voglio io. Bisogna considerare la comunicazione di uno studio di architettura alla stregua di un progetto architettonico. Quello che sembra spontaneo è, ovviamente, frutto di una pianificazione precisa. Rimando al libro del mio mentore Paolo Schianchi, professore di Visual Communication and Interaction Design presso lo IUSVE, “Architecture on the Web. A critical approach to communication”.  Lì, già nel 2014 abbiamo raccolto testimonianze di studi di architettura grandi e piccoli, insieme alle nostre esperienze di redattori per il web. Per essere visti, seguiti e per raggiungere il proprio target, bisogna decidere chi si vuole essere, che “personalità” si vuole scegliere, meglio se autentica. Una decisione che implica la scelta anche di come e di cosa si comunica, cioè la strategia che aiuta nel processo decisionale. Chiaramente in uno studio grande come MVRDV queste decisioni avvengono prima, a livello di management. La realizzazione della comunicazione è poi compito di un team multidisciplinare di esperti nei vari campi, per far sì che tutto sia coordinato: dalle parole, ovvero lo stile di scrittura, alla grafica dei diagrammi, dal mood dei render ai colori, fino alle prospettive delle fotografie a fine progetto. Per non dimenticare la ricerca rivolta ai social media, specialmente Instagram. Bisogna comprendere il pubblico, indirizzare gli sforzi in modo preciso, facendo molta attenzione anche alle varie culture con cui si interagisce. Questo processo è molto complesso, in quanto implica che tutto va ponderato: dalle figure nei rendering alla presenza di persone nelle immagini quando il progetto è stato consegnato, persino il tipo di font che si usa. Un aspetto che non va trascurato e di cui mi occupavo anche, è l’attività di lectures per un architetto, ossia la propria presenza a conferenze ed eventi, sia come speaker che come ascoltatore. E’ un momento di condivisione del proprio know-how che ora, con la pandemia, ha ovviamente perso ma che considero molto importante. Va bene la comunicazione online, ma anche offline bisogna sapersi mettere in gioco. Perché alla fine della fiera lo scopo di uno studio di architettura, come di qualunque altro brand, è vendere il proprio prodotto. La realizzazione di un’architettura, di qualunque scala essa sia, significa avere dei rapporti con molteplici entità, dal committente agli investitori, agli enti pubblici i cui rappresentanti si possono incontrare in quelle occasioni.

Christiane Bürklein – mostra Norvegia a Milano

Traslando questo discorso alla realtà italiana, quali consigli ti sentiresti di dare a chi intenda individuare il brand del proprio studio, in primis, per poi migliorarne anche lo stile comunicativo?

Per individuare il brand, ci sono molte linee guida per chi avesse bisogno di un consiglio. Personalmente, mi piace Simon Sinek, l’esperto inglese che mette in evidenza il “perché” di un brand piuttosto del “cosa, come, chi”. Niente è più tedioso di una comunicazione autoreferenziale. Un problema che si può evitare elegantemente appunto individuando il perché, per esempio, si fa architettura o perché si vuole comunicare e soprattutto a chi ci si vuole rivolgere. Ciò risulta in una strategia che, come abbiamo detto, dovrebbe essere presa sul serio in quanto comprende tutti gli elementi della comunicazione online e offline. In primis, da come si scrive (solo italiano o anche in inglese? E se in inglese, per favore chiamate un traduttore professionista!), alle immagini usate per raccontare qualcosa visivamente (la scelta del fotografo per me è cruciale e vedo già da lì se uno studio ci crede o meno), alla frequenza con la quale si condividono post sui vari social media. Tutto ciò è troppo spesso sottovalutato e se mi guardo attorno, vedo molta improvvisazione. Sembra che tutto si possa risolvere postando due foto fatte con il telefonino o magari delegando il compito al famoso “cugino”, con siti obsoleti dalle grafiche improbabili. Vedo invece molti studi giovani, italiani, bravissimi nel raccontare sé stessi e il loro lavoro, creando quindi una rete di relazioni ben oltre i confini nazionali. Secondo me, gioverebbe a molti studi di architettura più affermati, o magari attivi da più tempo, prendere spunto dai loro colleghi più giovani. Professionisti che interagiscono, condividono spunti interessanti e che sanno usare le varie piattaforme “social”. Perché trovo imbarazzante quando vedo gli stessi post su Instagram, Facebook e LinkedIn. Bisogna diversificare proprio perché gli utenti sono differenti. Purtroppo il “one size fits all” non vale per la comunicazione, in quanto perde l’autenticità che è un valore importante, non solo nel web.

Nelle realtà lavorative olandesi in cui hai operato e operi (MVRDV, KCAP), come hai vissuto e vivi i rapporti inter-generazionali tra colleghi/e? Come si può andare fattivamente oltre alla tentazione di rapporti verticali di tipo “top-down”, per stimolare un ambiente di lavoro creativo?

Una domanda bellissima, perché sono proprio questi rapporti inter-generazionali che mi hanno dato molta energia. Se pensi che avevo già 51 anni quando ho iniziato a lavorare presso MVRDV, le uniche persone più grandi di me nello studio erano i 3 fondatori e l’assistente personale di Winy Maas. Tutti gli altri, non solo gli architetti, ma anche gli studio directors e i partners sono più giovani di me. Però, devo dire che non sono mai stata discriminata per la mia età, al contrario, i miei colleghi hanno apprezzato la mia esperienza, non solo di lavoro ma anche di vita. Sono diventata un pochino la “vecchia zia” a cui si vuole bene, anche se è pasticciona. All’inizio dovevo capire come funzionavano tutte queste app di planning, le varie agende, ma grazie al sostegno paziente da parte dei miei giovani colleghi ho imparato. Senza di loro, tutto ciò non sarebbe stato possibile e ammiro le infinite competenze che la generazione dei millennials possiede. Persone ambiziose, pronte a fare sacrifici per realizzare qualcosa di “meaningful”. Come me del resto e quindi, a ben guardare, ci sono molte più cose che ci accomunano che non quelle che ci dividono. Ovviamente bisogna essere aperti e curiosi, ma credo questo sia un’atteggiamento per me naturale. E devo dire che avere qualche anno in più può essere una vera risorsa in ambito lavorativo, in particolare modo di fronte a situazioni impreviste che, come ben sappiamo, succedono molto spesso nel mondo della comunicazione. Avendo visto e vissuto molte situazioni del genere, posso reagire con una certa calma, lavorare ad una soluzione e trovare un compromesso che possa soddisfare tutti, trasmettendo questo know-how ai miei colleghi. E se adesso lavoro presso KCAP, lo devo ad un giovane professionista, Bastiaan van der Sluis, che ha lavorato prima presso MVRDV e Studio Roosegaarde. Ha creduto nelle mie competenze comunicative, senza guardare ai capelli grigi, e mi ha voluto nel team di comunicazione e business development dove sono, come ci si può aspettare, la più vecchia. Così è nato un gruppo poliedrico, dove combiniamo le nostre esperienza per lavorare ad un obiettivo comune. Quindi, questa diversità anagrafica diventa stimolante e porta a maggiore creatività. Fermo restando che almeno negli studi che io conosco i rapporti non sono mai stati “top-down”, ma ognuno ha voce in capitolo.

Christiane Bürklein – in dialogo con Mario Cucinella – FAB Berlino – courtesy horsthansmax

Infine, chiudiamo con una considerazione: quale stile comunicativo ti piace particolarmente tra quelli adottati nello scenario internazionale da studi di architettura e perché?

La risposta per me è: quello di MVRDV. Non perché io abbia lavorato lì, ma perché grazie a Jan Knikker e al suo team lo studio ha una “consistency” unica. Il sito web, i social media, il tono di voce, le immagini, le idee, i progetti stessi, tutto trasmette la filosofia dello studio. “Serious fun”, se mi concedi di chiamarla così, un termine che prendo in prestito dall’architetto paesaggista canadese Claude Cormier che, con le sue opere, consegue un fine simile: intrattenere gli utenti in maniera divertente ma intelligente, e trasmettere il proprio messaggio con leggerezza e quindi riuscire ad avere ascolto. Un’altro stile comunicativo che mi piace, ma è diverso da MVRDV, è quello di Snøhetta. Uno dei miei studi di architettura preferiti in generale devo dire, sia per le sue opere, per lo spirito che si respira nello studio ad Oslo sul fjord, sia per l’immediatezza e il calore della comunicazione. Sono “user-friendly” e si percepisce una sensazione genuina che trovo molto bella in un mondo in cui tanti si atteggiano, chi da diva, chi da guru.

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