Professione

Il progettista non può impugnare il diniego di permesso di costruire

Non sussiste un interesse, neppure morale, in capo al professionista progettista all'impugnazione del diniego di concessione edilizia
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Il progettista non può impugnare il diniego di permesso di costruire

Il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 3455 del 16 aprile 2024, ribadisce che non sussiste un interesse, neppure morale, in capo al professionista progettista, all’impugnazione del diniego di concessione edilizia, richiesta da una impresa di costruzioni e respinta dal Comune.

Diniego di concessione edilizia: il caso

Il diniego di permesso di costruire era stato impugnato non da parte della società costruttrice ma dal suo stesso progettista, ma il Tar Calabria dichiarava inammissibile il ricorso per carenza di interesse a ricorrere.

Il progettista impugnava la sentenza per i seguenti motivi:

  1. violazione dei principi in tema di legittimazione attiva in quanto sarebbe leso il prestigio professionale del progettista: di qui la sussistenza quanto meno di un interesse morale al ricorso;
  2. omessa considerazione della violazione dei principi in materia di standard urbanistici;
  3. omessa considerazione circa la violazione dei principi di efficienza e di non aggravio del procedimento amministrativo;
  4. incompetenza.

Il Consiglio di Stato ha condiviso le conclusioni del giudice di primo grado, citando una giurisprudenza piuttosto costante, in base alla quale non sussiste un interesse, neppure morale, in capo al professionista progettista all’impugnazione del diniego di concessione edilizia, richiesta da una impresa di costruzioni e respinta dal Comune, in quanto tale diniego incide sullo ius aedificandi e non sull’esercizio della professione del progettista né sulle sue qualità e il suo prestigio.

La giurisprudenza sul caso

Al riguardo, il Consiglio Stato, sez. V, nella sentenza n. 1250 del 5 marzo 2001, ha affermato che le qualità e il prestigio del professionista “non possono reputarsi chiamate in causa da un rilievo tecnico operato dalla p.a. per scopi del tutto diversi, come il perseguimento del corretto uso del territorio, tant’è che l’eventuale annullamento dell’atto produrrebbe effetti solo sulla sfera giuridica del concessionario e sulle sue facoltà inerenti all’edificazione, mentre nulla toglierebbe o aggiungerebbe alle doti professionali del progettista stesso”.

La copiosa giurisprudenza citata nella sentenza sottolinea la non titolarità del progettista ad impugnare gli atti che non abilitano la parte interessata alla edificazione e ritiene inammissibile il ricorso proposto dal progettista dell’opera non assentita avverso l’atto che ha denegato la relativa abilitazione, difettando questi di legittimazione attiva, che spetta soltanto a coloro che sono titolari di un interesse legittimo differenziato; tra costoro non rientra il progettista che è, invece, titolare di un mero interesse semplice o di fatto alla realizzazione dell’opera secondo il progetto, per cui non può impugnare in via autonoma il diniego di concessione edilizia.

La legittimazione del direttore dei lavori

Quanto alla legittimazione del direttore dei lavori, se essa in astratto è ammissibile quando si colleghi ad atti e comportamenti che la legge direttamente riconnette alla responsabilità del direttore dei lavori, nella fattispecie non può ritenersi sussistente, così come anche per l’interesse a ricorrere, perché difetta il necessario collegamento tra l’atto che si censura di illegittimità e la posizione giuridica di detto direttore dei lavori, sia nel contesto della generale procedura di abilitazione all’edificazione.

Il direttore dei lavori non è portatore di alcun interesse diretto, attuale e concreto al conseguimento delle abilitazioni, permessi ed autorizzazioni richieste dalla legge per la legittima edificazione di manufatti edilizi, siccome tutte riconducibili, invece, esclusivamente alla posizione giuridica del proprietario dell’area o del committente (se diverso dal primo) che ha richiesto alle competenti Autorità i relativi provvedimenti.

Né può valere l’eventuale posizione di responsabilità sotto il profilo sanzionatorio, anche penale, del direttore dei lavori poiché essa rileva su un distinto ed autonomo piano ed in ragione di altrettanta distinta ed autonoma responsabilità personale per gli atti ed i comportamenti posti in essere in violazione di norme vigenti.

Alla luce di queste considerazioni, il Consiglio di Stato ha rigettato l’appello del progettista.

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