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Rapporto Svimez 2022: il Sud tra rischio povertà e opportunità Pnrr

Il Rapporto Svimez 2022, giunto alla sua 49esima edizione, fornisce un quadro della situazione socio-economica delle regioni meridionali e le prospettive: il divario crescente con il Centro-Nord potrebbe essere recuperato realizzando nei tempi previsti i progetti Pnrr
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Rapporto Svimez 2022: il Sud tra rischio povertà e opportunità Pnrr

Nel 2023 il Pil meridionale si contrarrebbe fino a -0,4%, mentre quello del Centro-Nord, pur rimanendo positivo a +0,8%, segnerebbe un forte rallentamento rispetto al 2022. Il dato medio italiano dovrebbe attestarsi invece intorno al +0,5%. È quanto emerge dal Rapporto Svimez 2022, giunto alla sua 49esima edizione, presentato alla Camera dei Deputati.

La ripresa del 2021

Il “rimbalzo” del Pil nel 2021, +6,6% a livello Paese, è stato sostenuto dalla ripresa degli investimenti, soprattutto quelli in costruzioni, e dalla domanda estera, interessando tutte le aree del Paese, ma è stata più rapida nel Nord (+7,5% nel Nord-Est; +7% nel Nord-Ovest). Il Mezzogiorno ha però partecipato alla ripartenza nel 2021: il Pil meridionale è cresciuto infatti del 5,9%, superando la media dell’Ue-27 (+5,4%).

Il valore aggiunto dell’agricoltura ha segnato nel 2021, a prezzi costanti, un ulteriore arretramento (–0,8%) dopo il calo del 2020 (–4,7%), dovuto da un lato alla crescita dell’agricoltura nel Mezzogiorno (+3,6%) e dall’altro al calo del Centro-Nord (–3,6%).

La crescita del valore aggiunto del settore industriale si è attestata nel 2021 all’11,9%. Il tessuto industriale meridionale ha invece mostrato una minore capacità di ripresa: il +8,0% del 2021 ha lasciato un gap di circa 2 punti percentuali rispetto ai livelli pre-pandemia. Appare particolarmente significativo il dato della Basilicata (+7,8%); seguono Sardegna, Puglia e Campania (rispettivamente (+6,5%, +6,5% e +6,3%); più distanziate, Calabria (+5,5%), Abruzzo (+5,1%), Sicilia (+4,9%) e Molise (+4,2%).

Alla congiuntura favorevole delle costruzioni nel Mezzogiorno hanno contribuito, soprattutto, Calabria (+30,3%), Basilicata (+27,7%) e Sicilia (+27,5%). Sempre nel Mezzogiorno, i migliori andamenti nell’industria in senso stretto hanno interessato Molise (+12,4%), Basilicata (+11,3%), Puglia (+9,7%) e Campania (+8,8%); nel comparto dei servizi, si segnala la crescita estremamente contenuta del Molise (+1,6%), mentre sono superiori alla media meridionale i valori di Sardegna (+5,9%), Basilicata (+5,5%) e Campania (+5,3%).

Mettere in sicurezza l’attuazione del Pnrr è cruciale: consolidandone la finalità di coesione economica, sociale e territoriale; potenziando le misure di accompagnamento degli Enti territoriali nella realizzazione delle opere; rafforzando il coordinamento del Piano con la politica di coesione europea e nazionale e con la politica ordinaria.

Le previsioni

Secondo le stime Svimez, il Pil dovrebbe crescere del +3,8% a scala nazionale nel 2022, con il Mezzogiorno (+2,9%) distanziato di oltre un punto percentuale dal Centro-Nord (+4,0%). Nel 2023 ci sarà rischio di una contrazione del Pil nel Mezzogiorno dello 0,4%, un peggioramento della congiuntura determinata soprattutto dalla contrazione della spesa delle famiglie in consumi, a fronte della continuazione del ciclo espansivo, sia pure in forte rallentamento nel Centro-Nord (+0,8%).

Il 2024 dovrebbe essere un anno di ripresa sulla scia del generale miglioramento della congiuntura internazionale, unitamente alla continuazione del rientro dall’inflazione. Si stima che il Pil aumenti nel 2024 dell’1,5% a livello nazionale, per effetto del +1,7% nel Centro-Nord e dello +0,9% al Sud.

I sistemi produttivi

I sistemi produttivi delle regioni meridionali si sono mostrati meno pronti ad agganciare la domanda globale in risalita, registrando un ritmo di crescita dell’export più contenuto del resto del Paese. Gli investimenti delle imprese orientati all’ampliamento della capacità produttiva, inoltre, sono stati meno reattivi nel Mezzogiorno. Sono stati soprattutto quelli in costruzioni a crescere nel Sud, grazie allo stimolo pubblico (Ecobonus 110% e interventi finanziati dal Pnrr).

Nei settori dei servizi, quelli che a metà 2022 evidenziavano le maggiori perdite erano chiaramente quelli legati ai viaggi e agli spettacoli; i best performers erano invece in parte quelli legati alla logistica (servizi postali, trasporto ferroviario, trasporto e magazzinaggio). Il terziario ha generato un valore aggiunto in crescita del +4,5% sull’anno precedente (valori concatenati al 2015); un risultato positivo, di poco inferiore alla media dell’Area euro (+4,8%). La ripresa del 2021 è stata territorialmente uniforme, segnando un +4,5% al Mezzogiorno come al Centro-Nord.

L’inflazione

Nel corso del 2022, Svimez ipotizza una crescita media dei prezzi al consumo dell’8,5%; dato che racchiude una significativa differenziazione territoriale: + 8,3% al Centro-Nord e +9,9% nel Mezzogiorno, con un differenziale sfavorevole al Sud dovuto in larga parte a un effetto composizione.

Nel “carrello della spesa” del consumatore medio del Sud è, infatti, prevalente l’acquisto di beni di consumo, più colpiti dal rincaro delle materie prime; viceversa, al Centro-Nord assume un peso rilevante l’acquisto dei servizi, interessati da una crescita dei prezzi significativamente minore.

Il rischio povertà

Nelle regioni meridionali, senza sussidi l’incidenza della povertà assoluta fra le famiglie avrebbe raggiunto un picco drammatico di circa 13 famiglie ogni 100 (13,2% al Sud e 12,9% nelle Isole), che grazie agli interventi cala di 3,4 punti al Sud e 4,5 punti nelle Isole. Svimez valuta che a causa dei rincari dei beni energetici e alimentari l’incidenza delle famiglie in povertà assoluta potrebbe crescere di circa un punto percentuale salendo all’8,6%, con forti eterogeneità territoriali: + 2,8 punti percentuali nel Mezzogiorno, contro lo 0,3 del Nord e lo 0,4 del Centro.

In valori assoluti si stimano 760 mila nuovi poveri causati dallo shock inflazionistico (287 mila nuclei familiari), di cui mezzo milione al Sud. In base alle stime Svimez, l’aumento dei prezzi di energia elettrica e gas si traduce in un aumento in bolletta annuale di 42,9 miliardi di euro per le imprese industriali italiane; il 20% circa (8,2 miliardi) grava sull’industria del Mezzogiorno, il cui contributo al valore aggiunto industriale nazionale è tuttavia inferiore al 10%.

Occupazione: precarietà e lavoro povero

Il confronto tra i dati 2022 rispetto a quelli del 2019 evidenzia come tra le regioni del Mezzogiorno abbiano recuperato ampiamente i livelli di occupazione pre-crisi in Calabria, Campania e Puglia; la Sicilia si colloca viceversa sostanzialmente sugli stessi valori della prima metà del 2019. Restano ancora decisamente al di sotto del periodo pre-pandemia Molise (–4,5%), Sardegna (– 2,1%) e Abruzzo (–1,8%). Il risultato di Campania e Puglia riflette una crescita particolarmente accentuata nell’ultimo anno (rispettivamente +5,2% e +6,1%).

Nel Mezzogiorno, il tasso di disoccupazione è sceso di oltre 2 punti tra il secondo trimestre 2019 e lo stesso trimestre 2020, per poi salire di nuovo al 17,1% all’inizio del 2021 e scendere gradualmente fino al 14% nel secondo trimestre del 2022. Gli occupati nelle regioni meridionali sono 6 milioni 160 mila, 46 mila in più (+0,8%) rispetto al corrispondente periodo del 2019. Nel Mezzogiorno l’occupazione è tornata sui livelli pre-pandemia, ma è stata di bassa qualità.

Anche La precarietà è tornata sui livelli pre-pandemia: nelle regioni del Mezzogiorno si raggiunge il valore massimo di quasi un lavoratore a termine su 4 (23,8%), quasi 11 punti in più della quota che si registra al Nord (13%) e superiore di oltre 7 punti a quella del Centro. La quota di lavoro a termine nelle regioni del Sud supera nel 2022 anche quella della Spagna. Gli addetti a part time involontario, nel Mezzogiorno, sono passati da 490mila a 870mila, raggiungendo una percentuale dell’80% del totale dei lavoratori a tempo parziale.

Cresce anche il fenomeno del lavoro povero: in Italia, nel 2021 gli occupati dipendenti extragricoli privati con bassa retribuzione (inferiore a 10.700 euro) erano 3,2 milioni, di cui 2,1 milioni al Centro-Nord (il 18% degli occupati) e 1,1 milioni al Sud, ben il 34,3% degli occupati. I working poor in Italia sono, nell’accezione dell’indagine EU_SILC circa 3 milioni, il 13% degli occupati, rappresentando nel Mezzogiorno circa il 20% degli occupati locali, contro circa il 9% del Centro-Nord.

La filiera dell’istruzione

Tra i divari tra Nord e Sud rimangono preoccupanti quelli nella filiera dell’istruzione. In Italia la percentuale dei bambini di età compresa fra i 3 e i 5 anni che frequenta una struttura educativa (93,2%) è più alta della media europea (89,6%). Nella scuola d’infanzia, la carenza d’offerta a sfavore del Mezzogiorno riguarda soprattutto gli orari di frequenza. Nel Mezzogiorno è molto meno diffuso l’orario prolungato (offerto solo al 4,8% dei bambini); viceversa è più diffuso l’orario ridotto (20,1%) rispetto al Centro-Nord: 17,0% e 3,6% rispettivamente per orario prolungato e ridotto. Mentre nella scuola primaria la percentuale di alunni che frequenta a tempo pieno è più bassa nelle regioni meridionali (18,6%)

Rispetto al resto del Paese (48,5%). Nel Mezzogiorno circa 650mila alunni delle scuole primarie statali (79% del totale) non beneficiano di alcun servizio mensa. Circa 550 mila allievi delle scuole primarie del Mezzogiorno (66% del totale) non frequentano scuole dotate di una palestra. Solo il 18% degli alunni del Mezzogiorno accede al tempo pieno a scuola, rispetto al 48% del Centro-Nord. Gli allievi della scuola primaria nel Mezzogiorno frequentano mediamente 4 ore di scuola in meno a settimana rispetto a quelli del Centro-Nord.

Un numero crescente di iscritti universitari residenti nel Mezzogiorno tende a preferire le Università del Centro-Nord. Gli studenti meridionali che si trasferiscono per motivi di studio universitario sono passati dal 20% del 2010 al 27% del 2021. Le Università del Mezzogiorno hanno visto contrarsi nell’ultimo triennio il numero di iscritti complessivamente del 12% rispetto al primo triennio degli anni Dieci.

Sul fronte della dispersione scolastica, il Mezzogiorno e, soprattutto, Campania, Calabria e Sicilia, presentano tassi di abbandono più elevati: nel 2021, ultimo anno per cui sono disponibili i dati, gli early leavers meridionali erano il 16,6% a fronte del 10,4% delle regioni del Centro-Nord.

L’incidenza dei giovani under 35 NEET (Not in education, employment or training) è circa doppia nelle regioni meridionali (quasi 1,6 milioni) rispetto al Centro-Nord. Per le giovani donne meridionali si arriva al 40%.

La questione femminile

Il tasso di occupazione femminile nel Mezzogiorno è molto lontano dalla media europea. In Italia il gap con l’Europa, di circa 10 punti all’inizio del secolo, è ulteriormente aumentato, avvicinandosi ai 15 punti nel 2022. In Italia sono circa 4 milioni, di cui circa 1,8 milioni nel Mezzogiorno, le donne più o meno vicine al mercato del lavoro ma che non vengono impiegate. Nelle regioni meridionali, solo la metà delle donne potenzialmente disponibili a lavorare trovano occupazione. Per le donne, i problemi familiari sono tra le principali cause di dimissioni volontarie: nel 2020 oltre il 77% delle convalide di dimissioni di genitori di figli tra 0 e 3 anni è ascrivibile alle donne. In tutte le circoscrizioni si registra una spiccata prevalenza delle convalide relative a lavoratrici madri, che rappresentano il 93% nel Mezzogiorno e il 72% nel Nord.

Lo squilibrio demografico

L’Italia è nel pieno di una crisi demografica tra le più profonde e durature nell’ambito dei paesi del mondo occidentale. Ma gli effetti negativi più intensi si riscontrano e si aggraveranno nel Mezzogiorno. Negli ultimi venti anni, la popolazione italiana è cresciuta di 1 milione e 990 mila residenti, ma nel Mezzogiorno si è registrato un calo di oltre 673mila abitanti a fronte di un aumento di 2 milioni e 663mila residenti nel Centro-Nord. Il calo della popolazione nel Mezzogiorno, dovuto anche all’emigrazione interna verso le regioni del Centro-Nord, è stato solo in parte compensato dalle migrazioni internazionali.

Alla fine del 2021 risiedevano in Italia 58 milioni e 983 mila abitanti, 253mila in meno rispetto all’inizio dell’anno. La perdita, sia in termini assoluti che relativi, è risultata più intensa nel Mezzogiorno: -130 mila unità (-6,5‰) a fronte di -122,8 mila (-3,1‰) nel Centro-Nord. La diminuzione della popolazione ha riguardato solo gli italiani (-7,5‰ nel Mezzogiorno e -3,8‰ nel Centro-Nord); la presenza straniera è risultata in crescita.

Dal 2002 al 2020, hanno lasciato il Mezzogiorno quasi 2 milioni e 500 mila persone: per oltre la metà, giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni, e per un quinto di laureati. Il flusso in direzione opposta è stato di circa 1 milione 17 e 370 mila. La Lombardia è da sempre la regione di destinazione preferita da chi lascia una regione del Mezzogiorno (oltre il 27% del totale), segue l’Emilia-Romagna (17,3%) e il Lazio (15,9%).

La Blue Economy

Il Mezzogiorno è la maggiore macro-regione europea per popolazione residente in prossimità della costa. Dal che consegue la posizione di assoluto rilievo dell’Italia e del Mezzogiorno nelle filiere dell’economia del mare (Blue Economy), che in Italia, nel 2020, ha prodotto 51,2 miliardi di euro di valore aggiunto. A livello territoriale, il Mezzogiorno risulta l’area che contribuisce maggiormente alla formazione del valore aggiunto dell’economia del mare italiana, con 15,6 miliardi di euro di prodotto nel 2020.

Data la grande concentrazione di porti, imprese armatoriali e relative flotte, autotrasportatori e altre imprese dell’economia del mare, la transizione verso l’intermodale marittimo costiero potrebbe coniugarsi con la transizione ecologica nel Mezzogiorno. A condizione che venga favorita l’intermodalità strada-mare, con la creazione di Corridoi Intermodali Marittimi Costieri (COIMCO) tra porti gateway, su un impianto di linee con più toccate portuali e con offerta in continuo nei due sensi lungo le coste dei mari Adriatico, Tirreno e Ionio (modello di “Ascensori del Mare” integrati con le Autostrade del Mare).

Il Pnrr prevede interventi e investimenti nei sistemi portuali e nelle Zone Economiche Speciali (Zes) del Sud-Italia, allocando ai primi 1,2 miliardi di euro e alle seconde 630 milioni,  con interventi in attesa di realizzazione o fermi da anni per vari motivi. Il Pnrr rappresenta un buon approccio di sistema integrato di misure e azioni. Riforme amministrative e investimenti sulla portualità del Mezzogiorno sono in linea con le più urgenti necessità di modernizzazione degli scali per la competizione globale (cold-ironig, elettrificazione delle banchine, connessioni di ultimo miglio ferroviarie e stradali, interventi per i green port, digitalizzazione della logistica, ecc.).

Dotazioni infrastrutturali

Il divario Nord-Sud è particolarmente rilevante per la parte ferroviaria e per quella autostradale, meno per la rete stradale di rango nazionale e regionale. Ma sono i fattori prestazionali e localizzativi delle medesime reti a penalizzare molto il Mezzogiorno soprattutto in termini di accessibilità ai bacini di destinazione per la mobilità delle persone (e ai bacini di mercato per la mobilità delle merci). Nettamente più ampi sono invece i differenziali nell’infrastrutturazione per la mobilità urbana e di corto raggio (metropolitane, tram, piste ciclabili, aree pedonali) dove non si sono registrati molti progressi negli ultimi anni.

Nel Paese, e nel Mezzogiorno di più, mancano da parte delle Amministrazioni locali la capacità e la determinazione per accompagnare i modelli di mobilità dei cittadini verso equilibri più avanzati in chiave di riduzione del traffico e dell’inquinamento, nonché di incremento della sicurezza. Restano i nodi strutturali di congestione e bassa qualità dello spazio pubblico nelle aree urbane e locali, un aspetto critico molto accentuato nel Mezzogiorno

Il Superbonus

La gran parte degli interventi di riqualificazione energetica agevolati con il Superbonus 110% (comprensivo sia dell’Ecobonus che del Sismabonus), pari a oltre i 2/3 del totale (43 miliardi di euro), è stato utilizzato dal Centro-Nord: nel Mezzogiorno sono stati infatti ammessi a detrazione 14 miliardi di investimenti dei quali circa 8 miliardi già realizzati e le detrazioni previste ammontano a 15,5 miliardi. In entrami i casi le quote di accesso del Mezzogiorno sono risultate pari al 32,7%.

La “quota Sud” del Pnrr

La priorità assegnata dal Pnrr al riequilibrio territoriale ha preso forma quantitativa nell’impegno a riservare alle otto regioni del Mezzogiorno almeno il 40% delle risorse allocabili territorialmente, la cosiddetta “quota Sud”, una riserva di spesa per investimenti contabilmente favorevole alle regioni meridionali. Secondo un monitoraggio aggiornato al 30 giugno 2022, la stima delle risorse destinate al Mezzogiorno si attestava su 86,4 miliardi di euro, pari al 41% dei 210,6 miliardi con destinazione territoriale. Tra i Ministeri che gestiscono dotazioni finanziarie più corpose, il più distante dal rispetto della quota Sud è lo Sviluppo Economico (24,5%); viceversa, il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili riporta la quota più elevata (48,2%).

Le fragilità del Mezzogiorno nel recepire le potenzialità del Pnrr emergono dall’analisi dei tempi di realizzazione effettivamente osservati per oltre 87 mila opere pubbliche in infrastrutture sociali realizzate tra il 2011 e il 2022: la fase iniziale – ossia quella di progettazione che coincide con la predisposizione della gara di appalto e l’affidamento dei lavori – si potrebbe protrarre fino alla fine del 2023 (novembre 2023 per le Isole e dicembre 2023 per il Sud), la fase più estesa è quella dell’esecuzione materiale dei lavori, per la quale sono impiegati mediamente 873 giorni nelle Isole e 785 giorni al Sud, e che potrebbe concludersi non prima della fine del 2025 (marzo 2026 per le Isole e gennaio 2026 per il Sud). A quel punto, rimarrebbe a disposizione circa un semestre per concludere le opere entro il termine di rendicontazione.

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