Partono dal mare le prossime sfide economico-ambientali
Tutela del territorio
Partono dal mare le prossime sfide economico-ambientali
I mari e gli oceani sono di vitale importanza in quanto costituiscono il “polmone blu” del Pianeta e insieme all’atmosfera costituiscono un sistema unico, per cui i danni causati ai primi si ripercuotono sulla seconda, e viceversa
I mari sono al centro delle politiche internazionali
Se qualcuno ci chiedesse di elencare le prime 10 cose che ci vengono in mente associate alla parola (meglio: al concetto di) mare, alla stragrande maggioranza verrebbero in mente solo ricordi piacevoli.
Perché il mare è per molti la meta delle agognate vacanze, forse, o perché l’orizzonte si confonde con l’infinito e le infinite possibilità (il mare rappresenta quello spazio non del tutto conosciuto, amato ma al tempo stesso temuto per la sua estrema imprevedibilità), o per le mille personali ragioni, per il mare che ognuno ha “dentro al cuore”, come canta da trent’anni Luca Carboni.
O, per dirla con le parole di Baricco, perché “il mare è senza strade, il mare è senza spiegazioni”.
Ma il mare è anche molto di più.
Nel presente, caratterizzato dalle continue emergenze climatiche, in cui sono sempre di più i luoghi che subiscono le conseguenze nefaste tanto della scarsità d’acqua, quanto dei nubifragi e delle c.d. “bombe d’acqua”, i mari (e gli oceani!) sono al centro delle politiche internazionali, perché mantenerli in salute è fondamentale per contrastare efficacemente il cambiamento climatico e preservare il Pianeta e molte attività antropiche, fonte di sostentamento per milioni di persone, come la pesca, il turismo, i trasporti e le attività energetico – estrattive.
Il problema è che il mare è di tutti e, quindi, di nessuno.
E quindi, chi lo gestisce, e come?
Il trattato Alto Mare
A marzo 2023, dopo un lunghissimo negoziato, i Paesi Membri dell’Organizzazione delle Nazioni Unite hanno concordato il testo di un accordo sulla protezione e la gestione sostenibile dell’Alto Mare, “cioè – per usare le parole dell’ONU – le zone oceaniche che non appartengono a nessun Paese”, un “tesoro fragile e vitale che copre quasi la metà del Pianeta”.
Alto Mare, specifica l’ONU, “è l’area di mare che si trova al di là della Zona Economica Esclusiva (ZEE) nazionale e occupa circa due terzi dell’oceano. Questa zona fa parte delle acque internazionali, quindi al di fuori delle giurisdizioni nazionali, in cui tutti gli Stati hanno il diritto di pescare, navigare e fare ricerca. Allo stesso tempo, l’Alto Mare svolge un ruolo vitale nel sostenere le attività di pesca, nel fornire habitat a specie molto importanti per la salute del pianeta e nel mitigare l’impatto della crisi climatica”.
Fragile, anche perché nessuno si è assunto la responsabilità della sua cura e della sua protezione: nessuno ha capito che occorreva gestire in modo sostenibile le risorse del mare (e degli oceani).
Dopo oltre tre lustri di negoziati, l’High Seas Treaty si pone proprio l’obiettivo di assicurare la conservazione e l’uso sostenibile della diversità biologica marina delle aree al di fuori della giurisdizione nazionale (Areas Beyond National Jurisdiction – ABNJ), per le quali nessuna nazione ha responsabilità esclusiva.
“The ocean is the lifeblood of our planet, and today, you have pumped new life and hope to give the ocean a fighting chance” (A. Guterres)
Salutato in modo elegiaco dal Segretario generale dell’ONU, Antònio Guterres, come un “risultato storico”, il trattato è strutturato in cinque punti chiave:
Fresh protection beyon borders, una nuova forma di protezione “oltre i confini”, al di fuori, cioè, delle giurisdizioni nazionali.
Mentre i singoli Paesi, infatti, sono responsabili della conservazione e dell’uso sostenibile dei corsi d’acqua sotto la loro giurisdizione nazionale, l’«Alto mare» ora ha una “nuova protezione aggiuntiva” da tendenze distruttive come l’inquinamento e le attività di pesca insostenibili, e l’omonimo trattato, con i suoi 75 articoli, mira:
a proteggere, prendersi cura e garantire l’uso responsabile dell’ambiente marino, mantenere l’integrità degli ecosistemi oceanici e conservare il valore intrinseco della diversità biologica marina;
ad assumere la gestione dell’oceano per conto delle generazioni presenti e future, in linea con la Convenzione sul diritto del mare
Cleaner oceans
Il trend esponenziale
Più di 17 milioni di tonnellate di plastica sono entrate negli oceani del mondo nel solo 2021: si tratta dell’85% dei rifiuti marini. Secondo le proiezioni, tali rifiuti dovrebbero raddoppiare o triplicare ogni anno entro il 2040, secondo l’ultimo rapporto sugli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG), tanto che, entro il 2050, in mare potrebbe esserci più plastica che pesce, a meno che non si intervenga.
In questo caso, il trattato vuole “rafforzare la resilienza” attraverso disposizioni “basate sul principio chi inquina paga” e nuovi “meccanismi per la gestione delle controversie”, per invertire il trend che ha visto negli ultimi anni aumentare esponenzialmente il livello di plastica nel mare.
Sustainably managing fish stocks
In relazione alla gestione sostenibile degli “stock ittici”, finora sfruttati eccessivamente, il trattato sottolinea l’importanza dell’uso della tecnologia marina, da un lato, e lo “sviluppo e il rafforzamento” della capacità gestionale istituzionale (volendo riassumere in questi termini la frase contenuta sul sito dell’ONU, “development and strengthening of institutional capacity and national regulatory frameworks or mechanisms”).
Lowering temperatures
L’abbassamento delle temperature è direttamente proporzionale all’efficacia delle politiche contro il cambiamento climatico, al netto dell’inerzia del clima, che non si può fermare per editto, o nel breve periodo con un colpo di bacchetta magica; dal canto suo, il trattato “offre una guida, anche attraverso un approccio integrato alla gestione degli oceani che costruisce la resilienza dell’ecosistema per affrontare gli effetti negativi dei cambiamenti climatici e dell’acidificazione degli oceani e mantiene e ripristina l’integrità dell’ecosistema, compresi i servizi di ciclo del carbonio”.
Vital for realizzing 2030 Agenda
Il nuovo accordo “è fondamentale per far fronte alle minacce che devono affrontare l’oceano e per il successo degli obiettivi relativi all’oceano, inclusa l’Agenda 2030”, e consentirà “la creazione di strumenti di gestione territoriale, comprese le aree marine protette, per conservare e gestire in modo sostenibile habitat e specie vitali in alto mare e nei fondali marini internazionali”.
Di vitale importanza: perché?
Messa in questi termini – quelli sintetizzati sul sito dell’ONU – la “vitale importanza” sembra essere un concetto tautologico (è ovvio che il benessere del mare contribuisce al raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030), e gli strumenti di gestionale territoriale un auspicio.
Che cos’è, allora (o meglio: perché è) di vitale importanza?
Il fatto che le sostenibilità – lo sottolineiamo ancora una volta – sono tutte interconnesse fra di loro: anche quelle relative ai singoli, e diversi, contesti di riferimento.
I mari e gli oceani sono di vitale importanza perché, in estrema sintesi:
costituiscono il “polmone blu” del Pianeta;
insieme all’atmosfera costituiscono un sistema unico, per cui i danni causati ai primi si ripercuotono sulla seconda, e viceversa, con effetti domino a catena;
L’effetto domino (solo un esempio)
L’aumento della temperatura e l’acidificazione dell’acqua, ad esempio, provocano le migrazioni di alcune specie, che si spostano verso nord o verso l’estremo sud dell’emisfero meridionale perché cercano le temperature loro necessarie. Con la tropicalizzazione dei mari, inoltre, si diffondono le specie dei tropici che vanno a interferire con le specie autoctone, anche nel Mediterraneo. La dissoluzione del diossido di carbonio in mare, poi, altera gli equilibri chimici con sali presenti in mare; al suo aumentare diminuisce il Ph dell’acqua, che diventa più acida, con ovvie conseguenze sulla vita sottomarina.
danno vita all’“economia blu” (l’insieme di attività che in modo diretto o a volte anche indiretto sono supportate da mare ed oceani), che tuttavia non può esistere senza i c.d. servizi eco-sistemici, le risorse provenienti dagli ecosistemi marini: se non c’è pesce in mare, non si pesca, e…un altro effetto domino sulle sostenibilità;
rappresentano (anche) un’opportunità per contribuire in modo massiccio al cambio di paradigma dello sviluppo finora insostenibile.
Cosa fare?
Domanda da un milione di dollari.
Ha provato a dare una risposta – una serie di risposte – l’Ocean Panel, il quale stima che “avere un oceano sano, proteggendo almeno il 30% dei suoi habitat, potrebbe portare alla riduzione del 20% delle emissioni di carbonio necessarie per rispettare gli obiettivi degli accordi di Parigi del 2015 e limitare a 1,5 gradi l’aumento delle temperature globali rispetto ai livelli preindustriali; a un incremento del 40% della produzione di energia rinnovabile rispetto a quella generata nel 2018; a enormi ricadute di carattere economico e professionale. Per ogni euro investito in oceani sostenibili, secondo lo studio, ci potrebbe essere un ritorno di circa 5 euro in benefici economici, sociali, ambientali e sanitari. Inoltre, la gestione sostenibile degli oceani in tutto il mondo potrebbe creare circa 12 milioni di nuovi posti di lavoro”.
Sono sostanzialmente cinque le tipologie di interventi individuati dal Panel, e riguardano:
il divieto della pesca illegale, unito all’eliminazione dei sussidi alla “pesca dannosa” e al ripristino degli stock ittici;
(di conseguenza), il passaggio ad una pesca sostenibile;
la “decarbonizzazione” delle spedizioni via mare e la “protezione delle mangrovie, dei prati di fanerogame e delle paludi salmastre, capaci di catturare carbonio fino a dieci volte di più degli ecosistemi terrestri”;
arrestare la perdita di biodiversità;
investire in economia oceanica per creare posti di lavoro, incrementare il turismo, migliorare la salute delle persone e limitare le emissioni di gas serra.
Tutti interventi che “richiedono un approccio sistematico che tenga conto di tutti gli aspetti collegati a ogni singolo intervento. Per proteggere in modo efficace, produrre in modo sostenibile e crescere in modo equo, sarà necessario essere più intelligenti negli usi degli oceani, essere più efficienti, utilizzare tecnologie avanzate e farsi guidare dalle evidenze scientifiche”.
Siamo in alto mare
Per quanto autorevole sia la fonte, le proposte sembrano…evanescenti, specie se accompagnate al richiamo della necessità di aver un “approccio sistematico” che tenga conto di… (segue elenco).
La “verità” è che non esiste (mai) un «decalogo universale» da seguire (in ogni circostanza e in ogni dove): sarebbe troppo semplice.
Specie adesso, che non siamo in una fase preventiva, in cui ci possiamo “sbizzarrire” con soluzioni che possono essere pianificate: oltre al “cosa” e al “come” fare ed intraprendere le “azioni” (che in ogni caso devono essere contestualizzate: i problemi non sono gli stessi dappertutto, e le soluzioni proposte non possono che essere modellate sulla base del contesto di riferimento), dobbiamo fare i conti con la variabile tempo, che non gioca a nostro favore, per almeno tre ordini di motivi:
perché ne abbiamo sprecato troppo, di tempo, finora;
perché in certi casi potrebbe già essere toppo tardi, e
perché il clima ha un grado di inerzia molto alto (c’è un ritardo significativo tra le cause e le conseguenze osservate del cambiamento climatico), e quindi per vedere i risultati di azioni intraprese oggi occorre aspettare tempo (e questo è un aspetto psicologico da non sottovalutare, e/ma da spiegare per bene).
Forse è quest’ultimo l’aspetto più grave, perché è collegato all’efficacia intrinseca delle azioni da mettere in campo (ehm: che dovrebbero già essere state implementate, e migliorate nel tempo), figlia della cultura, che dovrebbe fungere da propulsore ad ogni cambiamento.
Se manca una cultura ambientale, circolare, sostenibile di fondo, diffusa, capillare… una cultura tout court, qualsiasi azione “decisa” e calata dall’alto non avrà, non potrà avere alcun effetto pratico, specie se questi “risultati storici” hanno bisogno di ulteriore tempo per essere “recepiti”.
Senza cultura non si va da nessuna parte: ma anche per quella, soprattutto per quella, ci vuole tempo, la variabile che non abbiamo a disposizione.
Che dire?
Siamo in alto mare…