Sardegna, incostituzionali due disposizioni della legge regionale n. 9/2023
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 151 del 26 luglio 2024, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di due articoli della legge regionale della Sardegna n. 9 del 23 ottobre 2023, (Disposizioni di carattere istituzionale, ordinamentale e finanziario su varie materie); nello specifico:
- l’art. 75, nella parte in cui dispone che “sono conferiti, inoltre, alle province e città metropolitane le funzioni e i compiti amministrativi attribuiti alla Regione dall’articolo 250 del decreto legislativo n. 152 del 2006“;
- l’art. 130, comma 1, lettera a), limitatamente alle parole “e, qualora l’edificio ricada nelle ipotesi di esclusione e in aree tutelate, anche senza il mantenimento di sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente“.
Potere sostitutivo per le bonifiche ambientali
Il giudizio di legittimità costituzionale era stato promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, che contestava l’attribuzione ai Comuni, per le aree insistenti interamente nel territorio di competenza, e alle province e alle città metropolitane, per i siti ricadenti tra più comuni della stessa provincia o città metropolitana, delle funzioni e dei compiti amministrativi indicati negli artt. 242, 249 e 250 del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 (Codice dell’ambiente) in materia di bonifiche ambientali, che non sono espressamente annoverate tra quelle rese delegabili dalla citata disciplina statale.
Nel ricorso si argomentava che, poiché, le Regioni non possono, in contrasto con il codice dell’ambiente, attribuire agli enti territoriali infra-regionali le loro competenze in materia di bonifica dei siti contaminati, stante la natura unitaria e primaria del bene tutelato, le disposizioni impugnate invaderebbero la competenza esclusiva del legislatore statale ex art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Legge regionale Sardegna: la contestazione di illegittimità costituzionale
Per la Corte costituzionale, la contestazione di parte dell’art. 75 è fondata perché l’art. 250 Codice ambiente attribuisce alla Regione un potere di sostituzione del Comune per l’ipotesi in cui detto ente non provveda, in via suppletiva, all’esecuzione diretta delle operazioni di bonifica, ove il responsabile della contaminazione si sia reso inadempiente o non sia individuabile e neppure il proprietario del sito e gli altri soggetti interessati abbiano messo in opera gli interventi necessari al ripristino ambientale.
Il potere-dovere di intervento suppletivo attribuito, in via primaria, al comune e, ove detto ente non provveda, in via sostitutiva alla Regione, ha un contenuto sui generis, in quanto non concerne funzioni e compiti di amministrazione attiva, ma l’esecuzione d’ufficio degli interventi che l’art. 242 Codice ambiente impone al responsabile della contaminazione e, dunque, in definitiva, delle stesse operazioni di messa in sicurezza, di indagine conoscitiva e di ripristino ambientale alle quali questi si è sottratto.
Il potere sostitutivo, quindi, non figura tra le funzioni amministrative, di competenza della Regione, né può ammettersi la sua implicita delegabilità. Detto potere presenta, infatti, significative differenze contenutistiche rispetto alle funzioni – di controllo e di approvazione delle attività del soggetto inquinatore – attribuite alla regione dalle norme che regolano i procedimenti di bonifica. Esso non si estrinseca in atti di controllo e di approvazione, ma ha ad oggetto le stesse operazioni di bonifica che avrebbe dovuto compiere il responsabile della contaminazione, e, dall’altro, presenta la connotazione strumentale tipica della sostituzione amministrativa, in quanto sorge in conseguenza dell’inerzia dell’ente pubblico ordinariamente competente ed è volto a sopperirvi attraverso lo svolgimento di attività obbligatorie per legge e a tutela di un interesse pubblico, quale è quello al sollecito ripristino ambientale, che il perdurare dell’inadempimento potrebbe pregiudicare.
Semplificazione urbanistica ed edilizia
Per quanto riguarda l’art. 130, in tema di semplificazione e riordino di disposizioni in materia urbanistica ed edilizia e per il miglioramento del patrimonio edilizio, la contestazione riguardava la reintroduzione della possibilità di ricostruire i fabbricati siti nella fascia di trecento metri dalla linea di battigia marina anche senza conservarne la conformazione e l’ubicazione originarie (sagoma, prospetti, sedime), esentando, altresì, dall’obbligo di mantenere le “caratteristiche planivolumetriche e tipologiche” dell’edificio demolito. Tale facoltà opera nonostante il fabbricato da demolire e ricostruire ricada in un’area tutelata dal piano paesaggistico e dal codice dei beni culturali e del paesaggio.
Secondo l’Avvocato dello Stato, l’art. 130 inciderebbe sul regime degli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici siti nella fascia costiera di trecento metri dalla linea di battigia, la quale è tutelata in maniera pregnante dal d.lgs. n. 42 del 2004, oltre che alla stregua del vigente piano paesaggistico regionale. La previsione censurata travalicherebbe, pertanto, i limiti della potestà legislativa regionale in materia di edilizia e urbanistica, modificando unilateralmente, e in senso deteriore, la disciplina di un bene paesaggistico, quale è la fascia costiera, assoggettato a rigorosa tutela per la peculiarità delle sue caratteristiche naturali e ambientali.
La questione è stata ritenuta fondata dalla Corte costituzionale in quanto l’inciso “senza l’obbligo del rispetto dell’ubicazione, della sagoma e della forma del fabbricato da demolire“, contenuto nella contestata disposizione, amplia in modo irragionevole l’ambito applicativo degli interventi di demolizione e ricostruzione, destinati ad incidere anche su beni paesaggistici. Il legislatore regionale ha travalicato i limiti della potestà legislativa sancita dallo statuto speciale, modificando unilateralmente, e per di più in senso deteriore, la disciplina della fascia costiera, bene paesaggistico assoggettato a rigorosa tutela, per la peculiarità delle caratteristiche naturali e ambientali. Pertanto, ne è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale.

