Tutela del territorio
Recovery Fund e ACNA di Cengio: cosa accomuna due storie così diverse eppur simili?
Perché ancora oggi è necessario ricordare ciò che è accaduto all’ACNA di Cengio: la protezione dell’ambiente va fatta non soltanto attraverso dichiarazioni, ma con politiche proattive e contestualizzate
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Cengio si trova in provincia di Savona, al confine con il Piemonte. E qui, a due passi dal fiume Bormida che nasce questa fabbrica di dinamiti, nell’ormai lontanissimo 1882. Poi ad inizio ‘900 diventa ACNA, prima come Aziende Chimiche Nazionali Associate e poi come Azienda Coloranti Nazionali e Affini. E oggi una storia di bonifica ancora da chiarire.
Perché ancora oggi è necessario ricordare ciò che è accaduto all’ACNA di Cengio: la protezione dell’ambiente va fatta non soltanto attraverso dichiarazioni, più o meno roboanti, ma con politiche proattive e contestualizzate, che richiedono anche un’approfondita conoscenza di quanto successo in passato. Per evitare di ricadere nella stessa tipologia di errori e per creare, finalmente, un business sostenibile.
La comunicazione tranquillizzante e …
…la comunicazione … ambientale o “economica”?
La presunta bonifica
L’emblema della gestione ambientale italiana
Il management ambientale è un business
La transizione ecologica tramite il Recovery Fund, l’autorevolezza e la storia
Il tutto, per giungere alla conclusione, amara e distaccata allo stesso tempo, che hanno condotto alla bonifica. Una bonifica, tuttavia, soltanto “proclamata”.
Casi accomunati dal fatto di essere, fra l’altro, gestiti soltanto in una fase “ex post”, quando ormai il danno è stato fatto, e da un “finale aperto”. Non potendosi parlare di bonifica, non si possono, ad oggi, prevedere quali potrebbero essere le ulteriori conseguenze per la salute, in futuro.
E soprattutto, non è possibile, stando così le cose dal punto di vista burocratico-legislativo-amministrativo-tecnico (in una parola: gestionale), sperare di spostare l’attenzione dal governo emergenziale alla gestione preventiva.
La comunicazione tranquillizzante e …
Qualche mese fa – siamo nell’estate del 2020 – il Ministero dell’Ambiente ha emanato un comunicato con il quale annunciava la chiusura, dopo ben 11 anni, di una procedura di infrazione contro l’Italia (una delle tante), “per la mancata sottoposizione a VIA delle bonifiche nel sito industriale di Cengio”. Il “claim” del comunicato – nel quale sono state sintetizzate in poche righe le azioni meritorie del ministero in tal senso, e si è cercato di tranquillizzare in merito alle notizie secondo le quali proprio in quei giorni la Commissione avrebbe inviato ben due lettere di messa in mora al nostro Paese in relazione alle direttive NEC (National Emissions Ceilings) e sul danno ambientale. Sottolineando che “si tratta di procedure dovute ma che non ci preoccupano perché eravamo già al lavoro su entrambe le questioni e prevediamo di chiuderle entro l’anno” – era il seguente: “la Commissione europea ha riconosciuto positivamente l’impegno del nostro Ministero”.…la comunicazione … ambientale o “economica”?
Impegno per che cosa? Uno dei principali problemi delle politiche ambientali che si sono succedute nel corso dei decenni, a prescindere dalle appartenenze di chi reggeva pro tempore il dicastero, oggetto di una recente rimodulazione in ottica “transizione green”, è strettamente legato ad una non efficace, ma soprattutto, corretta, comunicazione ambientale. Non è questa la sede per parlare della comunicazione ambientale, di cui abbiamo diffusamente parlato nella rivista Ambiente & Sviluppo (N. 4/2020, in un articolo dal titolo cinematografico: La nuova comunicazione ambientale: mission impossible?); non si può, tuttavia, non sottolineare come le parole, sopra riportate fra virgolette, sembrino lasciar intravedere un obiettivo “meno nobile” rispetto a quello della tutela dell’ambiente in quanto tale. Quello relativo ai costi economici connessi alle procedure di infrazione, e non quello connesso alla bonifica del sito. Perché ancora oggi, nonostante siano passati tanti anni, non è possibile affermare che l’area dove sorgeva l’ACNA (e quella in Campania, dove sono stati “smaltiti” illegalmente gran parte dei fanghi contaminati provenienti proprio da Cengio) sia bonificata.La presunta bonifica dell’ACNA
Riassumere e ricostruire la triste vicenda che ha visto protagonista l’Azienda Coloranti Nazionali ed Affini richiederebbe uno spazio, e un tempo, inconciliabili con le dinamiche di lettura tipiche del web. Anche per il ruolo svolto dalla comunicazione giornalistica nel corso degli anni, non sempre così precisa. E tuttavia, una sintetica, ma efficace, ricostruzione, è stata data dal ricercatore Walter Ganapini, in un articolo pubblicato giusto un anno fa. Una sorta di risposta ad un precedente articolo – evidentemente non preciso, sul punto, tanto da costringere Ganapini “all’ennesimo intervento contro lo ‘sbianchettamento’ della memoria in tema ambiente, fidelizzato, come sono, al bridging the gap (colmare il gap) intergenerazionale come imperativo morale. Anche per evitare il facile alibi italiota (e non solo), tanto in voga, «se avessi saputo»”.Dalla nascita della fabbrica (un dinamitificio), nel 1882, fino alla chiusura avvenuta nel 1999, l’articolo – scritto da chi ha partecipato in prima persona ad alcune fasi della “tentata bonifica” – sintetizza le tappe salienti dei problemi che la fabbrica di esplosivi, prima, e quella di coloranti, che ne ha preso successivamente il posto attraverso successivi passaggi di proprietà, ha creato:
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L’emblema della gestione ambientale italiana
La storia riassunta da Ganapini è l’emblema del modo che finora ha avuto la politica italiana di (non) trattare le problematiche ambientali. E il riferimento allo “sbianchettamento della memoria” suona come un monito:- non solo per la politica, che oggi si trova a dover gestire una transizione ecologica che, considerati i presupposti, sembra tutt’altro che facile,
- ma anche per i cittadini, che tendono a dimenticare “vecchie storie” finite male, appunto, perché vecchie, come se lo sviluppo tecnologico, aumentato esponenzialmente nel corso degli anni, fosse di per sé stesso in grado di porre rimedio alle conseguenze nefaste di scelte non accorte.
| Bonifica: l’insieme degli interventi atti ad eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o a ridurre le concentrazioni delle stesse presenti nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee ad un livello uguale o inferiore ai valori delle concentrazioni soglia di rischio (CSR). |
| Concentrazioni soglia di contaminazione (CSC): i livelli di contaminazione delle matrici ambientali che costituiscono valori al di sopra dei quali è necessaria la caratterizzazione del sito e l’analisi di rischio sito specifica. |
| Concentrazioni soglia di rischio (CSR): i livelli di contaminazione delle matrici ambientali, da determinare caso per caso con l’applicazione della procedura di analisi di rischio sito specifica e sulla base dei risultati del piano di caratterizzazione, il cui superamento richiede la messa in sicurezza e la bonifica. I livelli di concentrazione così definiti costituiscono i livelli di accettabilità per il sito. |
| Messa in sicurezza permanente: l’insieme degli interventi atti a isolare in modo definitivo le fonti inquinanti rispetto alle matrici ambientali circostanti e a garantire un elevato e definitivo livello di sicurezza per le persone e per l’ambiente. In tali casi devono essere previsti piani di monitoraggio e controllo e limitazioni d’uso rispetto alle previsioni degli strumenti urbanistici. |

