Digital Tax: a gennaio la tassa per i giganti del web
È arrivata la conferma del Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri: “Com’è noto l’Italia ha la Digital Tax, noi la faremo entrare in vigore dal primo gennaio, è uno dei componenti della Manovra. Siamo tra i Paesi di punta tra quelli che vogliono andare avanti nel rafforzamento dei principi dell’equità”. La Digital Tax varata nel 2018 dal governo gialloverde diventerà, allora, pienamente operativa dal 1° gennaio 2020.
I rimbalzi della Digital Tax
Il decreto attuativo sarebbe dovuto arrivare entro il 30 aprile 2019, ma è slittato per ragioni tecniche e a causa di una linea comune difficile da trovare a livello europeo. All’Ecofin di marzo si è concretizzato un nuovo fallimento della trattativa per una Web Tax condivisa. Irlanda, Svezia, Danimarca e Finlandia hanno votato contro. La questione è stata rimbalzata all’Ocse. L’organizzazione internazionale si è data il 2020 come deadline per una proposta condivisa e per far sì che i colossi del web paghino le tasse nei paesi presso i quali generano fatturati e utili.
L’Italia intanto seguirà l’esempio della Francia – che si è mossa anticipando tutti varando la propria Digital Tax a luglio e rendendola operativa questo ottobre – e si attiverà in modo indipendente, pur attendendo sviluppi sul versante accordi europei e internazionali. La Digital Tax italiana tassa punta a raccogliere circa 600 milioni di euro l’anno.
Geopolitica, web e ritorsioni
Gualtieri ha precisato che: “non vogliamo solo la Digital Tax italiana ma vogliamo che sia collocata dentro una misura definita sul piano internazionale. Noi faremo comunque la nostra, ma siamo parte attiva del negoziato che proseguiremo a Washington al G20“.
La Digital Tax italiana dovrebbe riproporre il contenuto dell’omologa francese: tassa con una aliquota unica al 3% sui ricavi delle imprese con oltre 750 milioni di fatturato di cui almeno 5,5 derivanti da prodotti online. I bersagli principali, manco a dirlo, le varie supernove del web USA (e non solo). Google, Amazon, Facebook e Apple, in primis. Il provvedimento francese è già stato ribattezzato “GAFA taxe”, dall’acronimo risultante dalle iniziali. Oltre a tutta la galassia di “minori” (per modo di dire): Tripadvisor, Airbnb, eBay e svariati altri. Più in generale toccherà le vendite online, la pubblicità, la trasmissione dati e le piattaforme digitali, quindi anche le imprese editoriali e alcune partecipate pubbliche.
Le pressioni dei GAFA su Trump
I “GAFA”, che sin qui hanno sfruttato la propria posizione di apolidi fiscali e di fornitori di servizi immateriali per pagare tasse ben al di sotto del corrispettivo per i fatturati e gli utili generati, sono già sul piede di guerra, supportati dall’ormai onnipresente Amministrazione Trump. Così un funzionario vicino al Presidente USA: “ È un’ingiusta discriminazione nei confronti delle aziende statunitensi, che sarebbero le vittime principali di questa tassa. Se le aziende statunitensi venissero prese di mira in questo modo, non avremmo altra scelta a parte quella di rispondere per difendere il business Usa”. Nuovi dazi all’orizzonte?
Lobbies vs stati sovrani sulla Digital Tax
“I rapporti con l’Italia sono ottimi – ha detto Trump accogliendo Mattarella alla Casa Bianca il 16 ottobre – non sono mai stati così buoni“. “Mi auguro – ha replicato il Presidente della Repubblica Italiana riferendosi all’ampio tema dei dazi e al contempo alla complessa situazione geopolitica attuale – che sia possibile trovare un metodo di confronto collaborativo che eviti una spirale di ritorsioni. E bisogna e cercarlo subito“.
Amazon ha già annunciato che aumenterà la commissione a carico delle piccole e medie imprese francesi del 3 per cento. “Non si tratta solo del caso francese – ha detto Jennifer McCloskey, vicepresidente della lobby dell’industria digitale statunitense – ma di prevenire un’escalation di iniziative unilaterali”. Come quella italiana.

