Sicurezza sul lavoro

Sopralluogo ispettivo e obbligo di presenza del difensore: niente garanzie se il controllo è solo amministrativo

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L’attività di controllo amministrativo, posta in essere dai funzionari del dipartimento di prevenzione e sicurezza della USL, non richiede la necessità della presenza del difensore del titolare dell’impresa durante il sopralluogo.

Sintesi

Questione particolare quella affrontata dalla Cassazione con la sentenza in esame, riguardante il tema del rispetto delle garanzie difensive nello svolgimento delle attività di controllo poste in essere dagli organi di vigilanza nel corso delle ispezioni aziendali.

La Corte, dopo aver analizzato la singola fattispecie concreta sottoposta alla sua attenzione, pone bene in evidenza come, nel caso in cui l’attività espletata dall’organo di vigilanza abbia natura e contenuto “amministrativo”, nessuna delle garanzie difensive previste dal codice di procedura penale dev’essere assicurata al titolare dell’azienda soggetta ad ispezione, in particolare quella di essere assistito dal proprio difensore di fiducia al momento del sopralluogo.

Il caso

La vicenda processuale vedeva imputato il titolare di una ditta, dichiarato responsabile dei reati di cui agli artt. 111 e 134, 136, comma 6, e 96, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2008 per aver omesso di adottare dispositivi di protezione collettiva o individuali a protezione del perimetro del manto di copertura. In particolare:

a) per aver consentito a un dipendente di effettuare la posa della guaina liquida sul colmo dell’edificio in ristrutturazione, con esposizione a rischio di caduta da altezza superiore a 2 metri dal piano di campagna;

b) per aver omesso di provvedere ai fini della redazione del PIMUS (piano montaggio utilizzo e smontaggio) del ponteggio;

c) per aver affidato le operazioni di montaggio e di smontaggio del ponteggio presente in cantiere ai propri dipendenti, i quali non avevano proceduto alla formazione prevista dalla legge;

d) per aver omesso di provvedere ai fini della redazione del POS (piano operativo sicurezza) della impresa esecutrice i lavori.

Il ricorso

Proponeva ricorso per cassazione la difesa dell’imputato, prospettando, tra i vari motivi di ricorso, la violazione degli artt. 356, 180 e 182, comma 2, c.p.p. e 114 disp. att. c.p.p., rilevato che gli operatori del Dipartimento di Prevenzione della Azienda Usl avevano effettuato il sopralluogo senza riconoscere all’indagato la facoltà di nominare un difensore che potesse assistervi.

La decisione della Cassazione

La tesi difensiva è stata, però, respinta dai giudici della Cassazione che hanno, infatti, ritenuto infondata l’eccepita violazione delle garanzie difensive da parte della polizia giudiziaria in sede di sopralluogo ispettivo.

Soluzione, questa, in linea del resto con la più avvertita giurisprudenza di legittimità.

Sul tema, in particolare, gli Ermellini hanno chiarito che nel caso in cui gli ispettori procedono ad accertamenti amministrativi, non vengono applicate le norme garantiste dettate dal codice di procedura penale in merito alla presenza del difensore e, poiché, nel caso di specie, è fuor di dubbio che il funzionario del dipartimento di prevenzione e sicurezza dell’USL stesse svolgendo una attività di vigilanza, a carattere amministrativo, egli non era tenuto, in sede di accertamento delle rilevate violazioni, ad ottemperare al disposto di cui all’articolo 356 c.p.p. (in precedenza, in senso conforme: Cass. pen., Sez. II, 13 gennaio 1989, n. 15626 dep. 13 novembre 1989, imp. P., in Ced Cass. n. 182522).

In ossequio a tale orientamento giurisprudenziale non va dimenticato, infatti, che gli ispettori del lavoro hanno facoltà di visitare, in qualsiasi momento ed in ogni parte, i luoghi di lavoro e le relative dipendenze, di sottoporre a visita medica il personale occupato, di prelevare campioni di materiali o prodotti ritenuti nocivi, e, altresì, di chiedere al datare di lavoro, ai dirigenti, ai preposti e ai lavoratori le informazioni che ritengano necessarie per l’adempimento del loro compito, in esse comprese quelle sui processi di lavorazione.

Orbene, va rilevato che nel caso in cui gli ispettori procedono ad accertamenti amministrativi (cioè, se non è accaduto un infortunio o non si è verificata una malattia professionale o un incendio, o non c’è stata una segnalazione di probabile reato, nel qual caso trattasi di indagine preliminare nell’ambito del procedimento penale, e, dunque, di un accertamento giudiziario), non vengono applicate le norme garantiste dettate dal codice di procedura penale in merito alla presenza del difensore.

Di contro, qualora l’ispettore agisca nella sua veste di ufficiale di polizia giudiziaria è obbligato ad avvisare il destinatario dell’accertamento della facoltà di nominare un difensore di fiducia, che deve assistere all’interrogatorio.

Orbene, in relazione al caso sottoposto all’esame della Cassazione, è fuor di dubbio che il funzionario del dipartimento di prevenzione e sicurezza dell’USL stava svolgendo una attività di vigilanza, a carattere amministrativo, con la conseguenza che non era tenuto, in sede di accertamento delle rilevate violazioni, ad ottemperare al disposto di cui all’art. 356, cod. proc. pen.

Le norme che autorizzano gli ispettori del lavoro ad effettuare ispezioni dei libri paga e matricola, a visitare i laboratori, opifici, cantieri e locali annessi ai luoghi di lavoro – ha, del resto, statuito la Corte costituzionale con sentenza 2 febbraio 1971 n. 10 – sono conformi ai principi costituzionali dell’inviolabilità del diritto alla difesa e dell’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, fin tanto che l’attività degli ispettori del lavoro trovi i suoi limiti nelle funzioni di vigilanza ispettiva istituzionalmente propria dell’ispettorato del lavoro e non esorbiti nell’esercizio di poteri di inquisizione o di coercizione delineanti il compimento di veri e propri atti di polizia giudiziaria.

Nello svolgimento delle attività demandate specificatamente ai funzionari dell’ispettorato del lavoro (come, del resto, a quelli delle USL in materia prevenzionistica), è dunque, possibile dedurre, dalle disposizioni di legge relative alla materia in esame, che gli stessi esercitano, a seconda dei casi, una duplice funzione:

a) quella che già propriamente può definirsi di carattere amministrativo;

b) quella che riguarda l’esercizio di funzioni di polizia giudiziaria.

Perché si possa stabilire quando l’ispettore del lavoro (o il funzionario USL) svolga una attività puramente di carattere amministrativo, che non comporta l’osservanza delle norme processuali poste a salvaguardia del diritto di difesa, o quella di polizia giudiziaria in senso tecnico-giuridico, con la conseguente necessità di applicare le norme suddette, è peraltro necessaria un’approfondita indagine di fatto, e quindi attinente al merito, sulla natura e sui fini dell’atto in questione.

Sul tema, infine, intervento chiarificatore è quello delle Sezioni Unite della Cassazione che hanno bene precisato come il divieto di testimonianza sulle dichiarazioni dell’imputato o dell’indagato ed il connesso divieto di utilizzazione si applicano alla testimonianza resa da un ispettore del lavoro su quanto a lui riferito da persona nei cui confronti siano emersi, nel corso dell’attività ispettiva, anche semplici dati indicativi di un fatto apprezzabile come reato e le cui dichiarazioni, ciononostante, siano state assunte in violazione delle norme poste a garanzia del diritto di difesa, atteso che il significato dell’espressione “quando … emergano indizi di reato” – contenuta nell’art. 220 disp. att. c.p.p. e tesa a fissare il momento a partire dal quale, nell’ipotesi di svolgimento di ispezioni o di attività di vigilanza, sorge l’obbligo di osservare le disposizioni del codice di procedura penale per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire ai fini dell’applicazione della legge penale – deve intendersi nel senso che presupposto dell’operatività della norma sia non l’insorgenza di una prova indiretta quale indicata dall’art. 192 c.p.p., bensì la sussistenza della mera possibilità di attribuire comunque rilevanza penale al fatto che emerge dall’inchiesta amministrativa e nel momento in cui emerge, a prescindere dalla circostanza che esso possa essere riferito ad una persona determinata (Cass. pen., Sez. Un., 28 novembre 2001, n. 45477, Raineri, in Ced Cass. n. 220291).

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