Sicurezza sul lavoro

Responsabilità penale nel caso di attività lavorative svolte in appalto e “rischio interferenziale”

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Interessanti le questioni affrontate dalla Suprema Corte nelle due sentenze in commento, che affrontano, in entrambi i casi, il tema della responsabilità penale nel caso di attività lavorative svolte in appalto, con conseguente insorgere del c.d. rischio interferenziale. Nel primo caso (n. 5018/11), la Corte, in una fattispecie nella quale in cui il datore di lavoro del dipendente infortunatosi durante lo svolgimento delle operazioni di carico di materiali pesanti su un autotreno, ha considerato irrilevanti, al fine di escludere la responsabilità penale del datore di lavoro, le generiche direttive ed i meri richiami, anche in forma di divieti, imposti al personale dipendente al rispetto delle norme di sicurezza durante lo svolgimento delle manovre lavorative. Nel secondo caso (n. 5032/11), invece, ha ritenuto sussistere la responsabilità penale, per omesso coordinamento dell’attività svolta dalle imprese compresenti sul luogo di lavoro, del mandatario speciale di un’associazione temporanea di imprese.

I fatti

La vicenda processuale che ha dato origine al primo caso affrontato dalla Corte (5018/11) vedeva imputati il titolare di una ditta appaltatrice dei lavori consistenti nell’attività di trasporto materiali e, dall’altro, il titolare della ditta subappaltatrice dei lavori di movimentazione dei materiali, attività da svolgersi all’interno di uno stabilimento di una ditta terza.

Ai due titolari veniva contestato di aver cooperato colposamente al verificarsi dell’infortunio di cui era rimasta vittima un’autista alle dipendenze della ditta esercente l’attività di trasporto materiali, provocatasi una trauma da schiacciamento alle gambe a causa della rovinosa caduta del carico dovuta ad un’errata manovra del gruista incaricato della movimentazione.

In particolare, l’addebito consisteva nell’aver i due datori di lavoro omesso di individuare, descrivere e portare a conoscenza dei rispettivi dipendenti (l’autista, dipendente della ditta di trasporti, e il gruista, dipendente della ditta addetta alla movimentazione del carico) le misure tecniche, organizzative e procedurali idonee ad eliminare o ridurre al minimo i rischi connessi alle operazioni di orientamento, posizionamento e sganciamento di carichi movimentati a mezzo carroponte, così non impedendo che, in occasione del caricamento su un autocarro della ditta di trasporti di alcuni pacchi laminati, il carico, movimentato dal gruista a mezzo carroponte, colpisse l’autista dell’autotreno che in quel momento si trovava sul pianale del mezzo per operare il posizionamento del carico e lo sganciamento dello stesso.

Quale profilo di colpa specifica veniva, in particolare, individuata la violazione dell’art. 35, comma 4, D.Lgs. n. 626/1994, per l’omessa adozione nelle operazioni di sollevamento dei carichi delle misure organizzative idonee a garantire lo svolgimento nella massima sicurezza delle operazioni di sganciamento manuale dei carichi stessi.

Nel secondo caso (n. 5032/11) l’infortunio era invece avvenuto all’interno di un cantiere edile; in particolare, un dipendente di una delle società svolgenti attività lavorativa all’interno del cantiere e costituite in A.T.I. (associazione temporanea di imprese), si trovava posizionato sulla sponda di un canale sovrastato da linea elettrica aerea e, mentre era intento ad orientare il getto di calcestruzzo condotto dal braccio meccanico di una beton pompa collocata su di un vicino ponte, subiva folgorazione a causa dell’insufficiente distanza dal suddetto braccio meccanico sulla linea elettrica.

La causa dell’infortunio veniva, quindi, individuata nel mancato rispetto del divieto di eseguire i lavori in prossimità di linee elettriche aeree a distanza minore di 5 metri, in difetto delle precauzioni necessarie ad evitare accidentali contatti o pericolosi avvicinamenti ai conduttori; ai due imputati, mandatari speciali dell’impresa capogruppo con rappresentanza esclusiva dell’A.T.I. nonché appaltatrice e subappaltante i lavori in questione (il primo con funzioni di direttore tecnico e, il secondo, con funzioni di responsabile della sicurezza e direttore di cantiere) veniva addebitato il mancato assolvimento all’obbligo di cooperazione con le ditte operanti in subappalto all’attuazione delle misure di prevenzione, protezione e sicurezza riguardanti l’attività lavorativa specifica e, in particolare, riguardante la presenza di linee elettriche.

I ricorsi

Nel primo caso (n. 5018/11) il datore di lavoro dell’autista contestava l’affermazione di responsabilità evidenziando come il compito del dipendente fosse solo quello di verificare la stabilità della merce, non certo quello di svolgere le operazioni di carico e scarico della merce, spettanti alla ditta esercente le attività di movimentazione, posto che tra la società di cui egli era titolare aveva stipulato solo un contratto di trasporto dei materiali che non comprendeva anche la loro movimentazione; anzi, aggiungeva il titolare, era stato dimostrato che presso la sua ditta erano stati svolti anche corsi di formazione nei quali era stato fatto espresso divieto agli autisti anche di salire sui mezzi o di rimanere in cabina durante le operazioni di carico e scarico dei materiali; da ciò, dunque, l’esclusione di qualsiasi profilo di colpa addebitabile, essendo avvenuto l’infortunio a causa dell’imprudente ed inosservante manovra dell’autista, salito sul mezzo in aperto spregio alle direttive impartitegli.

Nel secondo caso (n. 5032/11), i due imputati contestavano la loro responsabilità, anzitutto, sostenendo che la norma cautelare specifica che si assumeva violata (art. 11 D.P.R. n. 164/1956) non era addebitabile a chi gestiva e coordinava il cantiere nel suo complesso, ma solo a colui che aveva materialmente eseguito l’operazione con la beton pompa; in secondo luogo, poi, contestavano la mancata presenza di due figure essenziali della sicurezza, il committente ed il responsabile dei lavori, cui si aggiungeva il contenuto del contratto di subappalto stipulato con l’impresa di cui era dipendente il lavoratore infortunatosi, che poneva a carico di quest’ultima l’obbligo di rispettare le norme antinfortunistiche, sicché mai gli imputati avrebbero potuto ingerirsi sul personale della ditta subappaltatrice

infine, si sosteneva che la veste di mandatari speciali riguardava soltanto l’esecuzione di alcuni e non di tutti i lavori svolti all’interno del cantiere, sicché con riferimento all’operazione di getto di calcestruzzo, non era individuabile alcun ruolo gestionale di entrambi gli imputati, in quanto attività subappaltata ad altra ditta rispetto alla quale gli stessi non rivestivano alcun ruolo in tema di sicurezza per quella parte di gestione di subappalto, non essendo delegati alle specifica funzione di responsabili della sicurezza di quella lavorazione.

Le soluzioni della Cassazione

Quanto al primo caso (n. 5018/11), la Corte ha buon gioco nel respingere le doglianze difensive, dichiarando addirittura inammissibile il ricorso per manifesta infondatezza. Sul punto, bene evidenzia la Cassazione come i tentativi della difesa di fornire una spiegazione alternativa dei fatti ovvero di procedere ad una diversa ricostruzione degli stessi costituiscono inconsistenti tentativi di imporre al giudice di legittimità una rilettura degli stessi più favorevole al condannato, operazione questa preclusa davanti alla Corte di Cassazione.

Infatti, consolidato è l’orientamento di legittimità secondo cui il sindacato della Cassazione resta tuttavia quello di sola legittimità sì che continua ad esulare dai poteri della stessa quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione anche laddove venga prospettata dal ricorrente una diversa e più adeguata valutazione delle risultanze processuali (Cass. Pen., 14 giugno 2007, n. 23419, V., in Ced Cass. 236893).

A ciò, poi, si aggiunge l’incontestabile dato secondo cui, anche in presenza di mere direttive o prescrizioni impositive di generici richiami al rispetto delle norme di sicurezza ai dipendenti, sussiste pur sempre la responsabilità penale del datore di lavoro, in quanto il debito di sicurezza cui è tenuto il datore di lavoro nei confronti del lavoratore comprende l’obbligo di informare i dipendenti dei rischi specifici per la sicurezza e la salute in relazione all’attività svolta nell’impresa, non solo attraverso la esplicitazione di divieti, ma anche attraverso la indicazione delle conseguenze che determinate modalità di lavoro possono comportare (Cass. Pen., sez. 4, 27 settembre 2010, n. 34771, O., in Ced Cass. 248346).

In merito, poi, al secondo ricorso (n. 5032/11), la Cassazione, lungi dal farsi coinvolgere nell’abile tentativo difensivo di allontanare la responsabilità degli imputati con il “gioco” dell’intreccio delle mansioni e funzioni dagli stessi svolte in seno alla complessa gestione del cantiere, ha invece condivisibilmente precisato che la disciplina antinfortunistica impone ai datori di lavoro, ai committenti e agli appaltatori, in caso di cantieri mobili, specifici obblighi di coordinamento per la tutela della sicurezza e dell’incolumità dei lavoratori con riferimento ai rischi connessi alle specifiche lavorazioni che si svolgono nel cantiere.

In tal senso, i due imputati, secondo la Corte, avevano la responsabilità di garantire, anche attraverso il coordinamento delle varie imprese operanti nel cantiere, la sicurezza dei lavoratori; non avendo adempiuto al loro dovere di coordinamento, entrambi devono essere considerati penalmente responsabili dell’infortunio.

I giudici di Piazza Cavour operano, in tal senso, una coerente applicazione del principio secondo cui in caso di concentramento della posizione di garanzia ovvero dell’obbligo di impedire l’evento, il soggetto costituito garante è per intero destinatario dell’obbligo di tutela imposto dalla legge fino a quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della suddetta posizione di garanzia. E, nel caso di specie, la veste di mandatario speciale con rappresentanza dell’A.T.I., imponeva l’obbligo di coordinamento tra più imprese per l’evidente sussistenza dei rischi interferenziali esistenti.

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