Rassegna di giurisprudenza penale 19 marzo – Prevenzione infortuni
prevenzione infortuni – residenza turistico alberghiera – omissione della necessaria segnaletica di sicurezza – continuità normativa con la previgente disciplina
Estremi
Cass. pen., sez. III, 29 febbraio 2012, n. 7904
Massima
La residenza turistico alberghiera è soggetta alle prescrizioni della normativa in materia di segnaletica di sicurezza ed antincendio; ne consegue che risponde, in caso di violazione, l’amministratore della struttura, sussistendo peraltro continuità normativa tra i reati contemplati dalle abrogate disposizioni di cui agli artt. 2 e 3 del D. Lgs. n. 493 del 1996 e l’art. 34, comma 1, lett. c) del d.P.R. n. 547 del 1955 e quelle, oggi disciplinate, dal nuovo T.u. sicurezza (D. Lgs. n. 81 del 2008).
Sintesi
La Suprema Corte prosegue la sua opera di comparazione esegetica tra la previgente disciplina contemplata dal T.U.S. del 2008 e le “vecchie” disposizioni incriminatrici in materia di prevenzione infortuni e sicurezza sul lavoro contenute nella decretazione degli anni cinquanta. La vicenda processuale in esame vedeva imputato l’amministratore di una residenza turistico alberghiera, cui era stato contestato di non aver apposto la segnaletica di sicurezza indicante divieti e condizioni di esercizio, percorsi di fuga ed uscite di emergenza, planimetrie del piano di emergenza ad ogni piano e nei locali ad uso comune e nelle camere, nonché le attrezzature antincendio ed, inoltre, di non aver provveduto alla installazione degli estintori antincendio né alla formazione in materia di sicurezza ed informazione di un dipendente.
Condannato in sede di merito, l’imputato tentava di resistere con ricorso per cassazione fondando, in sostanza, la tua tesi sul dubbio inquadramento giuridico dei fatti sotto le nuove disposizioni dettate dal decreto 81 abrogative di quelle originariamente contestate. La Corte, diversamente, con dovizia analitica, dopo aver effettuato la comparazione tra le vecchie e le nuove previsioni sanzionatorie, ha concluso che quella contestate, pur se abrogate, trovano applicazione nel caso in esame, continuando ad applicarsi le norme più favorevoli ai sensi dell’art. 2, co. 3, c.p., nell’ipotesi di continuità normativa tra le fattispecie di reato previste dalla legislazione abrogata dall’art. 304 del D. Lgs. n. 81/2008 e quelle introdotte dal citato decreto legislativo. In precedenza, sulla continuità normativa, in materia di disposizioni antincendio (Cass., Sez. III, n. 16313 del 25/02/2009, dep. 17/04/2009, imp. D.P., in Ced Cass., n. 243470, relativamente all’omessa richiesta ai Vigili del fuoco della visita preventiva di collaudo per un’attività sottoposta a prevenzione incendi).
prevenzione infortuni – morte di un lavoratore autonomo– art. 589 c.p. – botola non adeguatamente protetta e caduta al piano seminterrato – responsabilità del titolare della ditta esecutrice dei lavori – sussiste
Estremi
Cass. pen., sez. III, 1 marzo 2012, n. 8015
Massima
Risponde della morte di un lavoratore autonomo, incaricato dal committente di visionare gli infissi per la loro sostituzione, il titolare della ditta appaltatrice dei lavori per aver lasciato, all’interno di un appartamento in costruzione, un’apertura nel pavimento del piano terra priva di protezione idonea a prevenire i rischi di caduta al piano seminterrato.
Sintesi
Triste vicenda quella affrontata dalla Cassazione nel caso in esame, riguardante il tema della responsabilità dei soggetti operanti in contemporanea all’interno di un immobile, ciascuno chiamato ad assumere una peculiare posizione di garanzia rispetto agli altri lavoratori operanti in collaborazione nell’esecuzione dell’attività lavorativa appaltata.
La vicenda, in fatto, vedeva imputato l’amministratore di un società del delitto di omicidio colposo commesso, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (art. 4, D. Lgs. n. 626 del 1994; art. 68, d.P.R. n. 164 del 1956) in danno del titolare di un’impresa individuale omonima, incaricato di visionare infissi danneggiati e da riparare; in particolare, la colpa specifica contestata consisteva nell’avere lasciato, all’interno di un appartamento in costruzione, un’apertura nel pavimento del piano terra priva di protezione idonea a prevenire i rischi di caduta al piano seminterrato, apertura attraverso la quale era precipitato il malcapitato lavoratore autonomo, che, piombato nel piano inferiore da un’altezza di metri 2.75, aveva riportato lesioni rivelatesi mortali.
Condannato in sede di merito, a seguito di un annullamento con rinvio della Suprema Corte per carenze motivazionali della sentenza d’appello, l’imputato veniva nuovamente ritenuto colpevole, proponendo nuovo ricorso per cassazione.
La Corte non lo ha però ritenuto fondato. In particolare, i giudici di legittimità hanno affermato che non era idonea a prevenire incidenti la sommaria copertura provvisoria della botola e che non era ravvisabile alcun comportamento abnorme del lavoratore autonomo nell’occorso. Nel ricorso, infatti, era stato espressamente riconosciuto che quest’ultimo, senza il consenso del titolare dell’appaltatore, aveva aperto l’appartamento ove doveva effettuare dei rilievi, recandosi in loco a un orario differente da quello concordato con l’imputato e sottraendo le relative chiavi, circostanza, questa, confermativa dell’agevole possibilità d’accesso ai locali, anche dopo la chiusura della porta, come in effetti, era avvenuto nel caso in esame.
Bene, quindi, per la Cassazione era stata riconosciuta la colpevolezza dell’imputato il quale non aveva attuato un’adeguata protezione dell’apertura affinché la stessa non costituisse pericolo per chi si trovasse nell’appartamento. Trattasi di un principio corretto, già peraltro applicato dalla Suprema Corte in un caso in cui è stata riconosciuta la responsabilità del datore di lavoro per le lesioni subite in seguito alla caduta dal ponteggio utilizzato da un lavoratore autonomo, cui non era stata fornita la prevista cintura di sicurezza e che non era stato informato sui rischi conseguenti all’avvenuto parziale smontaggio della struttura da parte dei dipendenti dell’impresa esecutrice (Cass., Sez. IV, n. 29204 del 20/06/2007, dep. 20/07/2007, imp. D.F., in Ced Cass., n. 236904).
prevenzione infortuni – delega di funzioni – dispositivi di protezione individuale – installazione di condizionatori e infortunio mortale – responsabilità di un socio e dei proprietari dell’immobile.
Estremi
Cass. pen., sez. IV, 7 marzo 2012, n. 9122
Massima
Il socio di una società di persone, munito di delega in materia di prevenzione infortuni, assume la posizione di garanzia tipica del datore di lavoro in relazione agli altri soci, essendo il destinatario degli obblighi in materia di prevenzione antinfortunistica (Nella specie, un altro socio, intento ad installare dei condizionatori all’interno di un immobile, era precipitato al suolo in quanto sprovvisto di dispositivo anticaduta, in particolare di una cintura di sicurezza,; la Corte ha ritenuto che al socio “delegato alla sicurezza” incombesse l’obbligo di fornire le dotazioni individuali atte a garantire all’altro socio l’accesso al tetto, in condizioni di sicurezza).
Sintesi
Di estremo interesse il caso affrontato dalla Corte di Cassazione con la sentenza in esame, innestandosi la questione nell’ambito del tema dell’individuazione del soggetto responsabile ove il soggetto giuridico sia costituito da una società di persone. La vicenda processuale vedeva imputati tre soggetti, condannati per la morte di un lavoratore durante l’installazione di tre condizionatori in un immobile. La vittima, durante le operazioni prodromiche all’installazione stessa, precipitava da circa 7 metri di altezza dal suolo, in totale assenza di adeguate misure anticaduta, essendo la copertura del capannone costituita da lastre di fibrocemento non calpestabili. Di tanto erano risultati al corrente, sia i proprietari del capannone (parzialmente locato alla società di cui la vittima ed il socio “delegato alla sicurezza” erano soci) sia lo stesso socio appositamente investito della delega in materia di prevenzione degli infortuni.
Limitando l’attenzione alla sola posizione del socio “delegato”, la sentenza di condanna viene confermata sia in sede di merito che in Cassazione. La Corte, infatti, nel valutare le ragioni poste a sostegno della tesi del ricorrente socio “delegato”, afferma che seguendo un percorso argomentativo lineare e del tutto conforme ai canoni della logica, la Corte distrettuale ha ritenuto il socio delegato responsabile dell’evento a titolo di colpa generica e specifica (in relazione alla violazione espressamente contestatagli, degli artt. 7, 8 e 9 d.P.R. n. 303/1956) siccome investito della posizione di garanzia propria del datore di lavoro nei confronti degli altri soci di società di persone, in materia di prevenzione antinfortunistica, come affermato, con insegnamento prevalente, dalla stessa Corte e siccome titolare, peraltro, nel caso di specie, della delega in materia di prevenzione degli infortuni.
A ciò, poi, si aggiunge la colposa omissione consistente nell’aver consentito al socio lavoratore di salire sul tetto, privo di presidi anticaduta o di altri mezzi antinfortunistici analoghi: ulteriore circostanza fattuale pacificamente accertata, di cui comunque la vittima avrebbe dovuto incondizionatamente esser dotata, a prescindere, com’è ovvio, dal fatto che il socio delegato fosse o meno consapevole della calpestabilità della copertura del capannone. In precedenza, nel senso che “qualora il socio di una società di persone subisca lesioni a seguito di un infortunio verificatosi, a seguito della violazione di norme antinfortunistiche, mentre lavora per conto della società stessa gli altri soci rispondono per le lesioni da lui patite”: Cass., Sez. 4, n. 12643 del 05/07/1990, dep. 21/09/1990, imp. P., in Ced Cass., n. 185425).
prevenzione infortuni – art. 590 cp – lesioni colpose – omessa informazione sulla procedura di lavoro – colpa specifica – violazione dell’art. 141 DPR 547/55 – sussiste – comportamento abnorme – esclusione.
Estremi
Cass. pen., sez. IV, 8 marzo 2012, n. 9173
Massima
La condotta incauta del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l’evento quando sia comunque riconducibile all’area di rischio propria della lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore, e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità, dell’esorbitanza.
Sintesi
La Suprema Corte torna a pronunciarsi, con la sentenza in esame, sul tema della responsabilità del datore di lavoro per eventi di natura infortunistica di cui rimanga vittima il proprio dipendente che, nell’esecuzione della prestazione, si esponga a rischio a seguito di un comportamento poco diligente.
La vicenda processuale vedeva imputato per il delitto di lesioni colpose in danno di un’operaia il suo datore di lavoro, cui era addebitato di aver consentito, anche per scarsa informazione, che quest’ultima provvedesse alla rimozione di rolle sui tamburi della macchina denominata “filatoio ad anelli”, mentre era in moto e senza presidi idonei per intervenire a tale finalità, così determinando l’asportazione di due falangi della mano sinistra.
Condannato in sede di merito, l’imputato proponeva ricorso per cassazione lamentando l’erronea applicazione della legge ed il difetto di motivazione, laddove il capo di imputazione aveva contestato la violazione dell’art. 141 del d.P.R. 547 del 1955 relativo al “montaggio”, mentre invece con la condanna si era affermato che l’infortunio era avvenuto mentre l’operaia stava eliminando un ostacolo al funzionamento della macchina, sicché insussistente era da ritenersi l’addebito di colpa specifica.
La Cassazione non ha tuttavia seguito il ragionamento difensivo e, pur annullando per prescrizione la sentenza, ne ha confermato le statuizioni civili, non privando dunque del risarcimento del danno la malcapitata lavoratrice. In particolare, bene ha osservato la Corte come l’operaia avesse patito l’infortunio mentre svolgeva la sua ordinaria attività di lavoro presso la macchina che gli ha procurato l’infortunio e che era priva di adeguati dispositivi di protezione.
Pertanto, la circostanza – sostenuta dalla difesa – che la persona offesa, presa dalla routine del lavoro e da un eccesso di sicurezza ed in adempimento di prassi aziendali, avesse avvicinato imprudentemente la mano agli organi in movimento della filatrice, non costituiva comportamento abnorme idoneo ad interrompere il nesso causale tra la condotta omissiva del datore di lavoro e l’evento, condotta connotata da colpa, tenuto conto che le cautele omesse erano proprio preordinate ad evitare il rischio specifico (lesione alla mano sinistra) che poi concretamente si è materializzato nell’infortunio in danno dell’operaia.
Trattasi di soluzione condivisibile e sostenuta con orientamento ormai consolidato della Suprema Corte (v., tra le tante, da ultimo: Cass., Sez. IV, n. 23292 del 28/04/2011, dep. 09/06/2011, imp. M. e altri, in Ced Cass., n. 250710, che ha ribadito come abnorme è soltanto il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all’applicazione della misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, e che tale non è il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un’operazione comunque rientrante, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli).