Sicurezza sul lavoro

Prescrizione di regolarizzazione e prescrizione di legge: quali differenze?

Condividi
Interessante sentenza della Corte di cassazione sul tema dei rapporti intercorrenti tra la prescrizione di lenti prevista, in generale, dal decreto legislativo 19 dicembre 1994 n.758 e, in particolare, la cosiddetta prescrizione di regolarizzazione, disciplinata specificamente dall'articolo 20 del medesimo decreto legislativo.

La Corte, infatti, dopo essersi ampiamente soffermata sull’analisi della disciplina dettata dal predetto decreto legislativo, ha ritenuto opportuno fare chiarezza sulla nozione di prescrizione di regolarizzazione, precisando, a tal fine, come l’organo di vigilanza può e non deve adottare quest’ultima.

La sentenza, si distingue, inoltre, per aver la Cassazione precisato la scansione procedimentale tipica dettata dalla disciplina in tema di regolarizzazione; inoltre, dopo aver operato un’interessante ricognizione della giurisprudenza costituzionale intervenuta sul decreto legislativo n. 758/1994, ha chiarito come la circostanza che l’organo di vigilanza, nel comunicare al pubblico ministero la notizia di reato, non abbia impartito alcuna prescrizione di regolarizzazione all’imputato, non impedisce a quest’ultimo, nell’immediato, proprio in ragione della constatazione dell’avvenuta regolarizzazione, di chiedere all’organo di vigilanza di essere comunque ammesso all’oblazione in sede amministrativa ovvero non impedisce, successivamente, all’imputato di chiedere al giudice di essere ammesso all’oblazione ordinaria in sede giudiziaria nella stessa misura agevolata dell’oblazione in sede amministrativa.

Il fatto

La vicenda processuale che ha offerto l’occasione alla Corte per affermare tale importante principio di diritto, trae spunto da un interessante procedimento penale per il reato previsto dagli articoli 14 e e 18 bis del decreto legislativo n. 66/2003, in quanto il datore di lavoro non sottoponeva alcuni lavoratori notturni alle prescritte visite mediche iniziali e periodiche nel periodo in cui svolgevano l’attività lavorativa di portieri di notte.

Il ricorso

Il ricorrente, in particolare, proponeva vari motivi di ricorso. Tra questi anzitutto deduceva la mancata attivazione della procedura di regolarizzazione di come previsto dall’articolo 20, comma 1, del decreto legislativo n. 758 del 1994, applicabile, in relazione al reato contestato, in virtù del disposto dell’articolo 15 del decreto legislativo 23 aprile 2004 n. 124, ciò che avrebbe, secondo l’imputato, comportato l’improcedibilità dell’azione penale.

La decisione della Cassazione

La Corte, nel risolvere la questione proposta, dopo aver chiarito come la improcedibilità sussiste e non è emendabile (si noti, però, sul punto l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale, in quanto accanto a talune decisioni che ritengono che è legittima la concessione da parte del giudice del dibattimento, dopo la verifica della omessa comunicazione agli interessati della facoltà di provvedere al pagamento della sanzione amministrativa, di un termine per l’adempimento, sospendendo il processo, anche in assenza di richiesta del P.M. e in una fase di giudizio diversa da quella preliminare, v. Cass. pen., Sez. 3, n. 6331 del 17/02/2006, P., in Ced Cass. 233486; ve ne sono altre, invece, secondo cui l’omessa fissazione, da parte dell’organo di vigilanza, di un termine per la regolarizzazione, comporta l’improcedibilità dell’azione penale, dovendosi escludere che alla suddetta omissione possa sopperirsi mediante la concessione di un termine da parte del giudice, v. Cass. pen., Sez. 3, n. 34900 del 17/09/2007, L., in Ced Cass. 237199), conseguendone che nei casi in cui nessuna di prescrizione di regolarizzazione possa essere data dall’organo di vigilanza, vi sarebbe una situazione di “blocco”, il che renderebbe palesemente incostituzionale la disciplina per violazione dell’art. 112 Cost., che sancisce la obbligatorietà dell’azione penale.

Da qui, le interessanti considerazioni svolte dalla Cassazione sulla differenza tra prescrizione di regolarizzazione e prescrizione di legge.

Sul punto, la corte ritiene opportuno illustrare la disciplina dettata in tema di regolarizzazione dal decreto legislativo 19 dicembre 1994 n. 758. In particolare, la Corte distingue due ipotesi: a) la prima, è quella che vede protagonista l’organo di vigilanza; b) la seconda è quella che invece presuppone che la notizia di reato pervenga direttamente al pubblico ministero.

Orbene, in questo secondo caso in cui è il P.M. che informa l’organo di vigilanza e non viceversa, è indubbio -secondo la Corte- che una determinazione dell’organo di vigilanza possa essere quella di non adottare alcuna prescrizione perché ciò è espressamente contemplato dall’art. 23 nella parte in cui prevede: “il procedimento riprende il suo corso quando l’organo di vigilanza o il pubblico ministero che non ritiene di dover impartire una prescrizione”.

Parimenti, pure è possibile che l’organo di vigilanza, ove sia quest’ultimo ad informare il pubblico ministero, possa sin dall’inizio determinarsi a non adottare alcuna prescrizione, e quindi possa limitarsi a comunicare la notizia di reato al pubblico ministero, o indicando espressamente di non aver impartito alcuna prescrizione al contravventore, o semplicemente non indicando la prescrizione impartita: ciò che – secondo la Corte – implica la determinazione dell’organo di vigilanza di non impartire alcuna prescrizione.

Ed allora, sia nel primo in secondo caso, c’è comunque un termine finale massimo che, in ogni caso, fa cessare la sospensione del procedimento penale qualunque sia stata o meno l’attività dell’organo di vigilanza. In altre parole, il fatto che l’organo di vigilanza non impartisca una prescrizione di regolarizzazione è ipotesi possibile e legittima e non condiziona affatto l’esercizio dell’azione penale, che invece è condizionata, per un limitato periodo di tempo, solo nel caso in cui, all’opposto, l’organo di vigilanza impartisca al trasgressore una prescrizione di regolarizzazione.

Ma in cosa consiste questa prescrizione di regolarizzazione?

In sintesi, il Supremo Collegio precisa come la regolarizzazione non consiste semplicemente nell’eliminazione della condotta penalmente rilevante, ove a carattere permanente, accertata dall’organo di vigilanza in sede ispettiva ovvero nella mera reiterazione della stessa ove si tratti di una condotta ad effetto istantaneo o esaurita.

Ciò secondo la Corte, è dovuto in ogni caso dal datore di lavoro, in quanto non occorre alcuna prescrizione da parte dell’organo di vigilanza: il contravventore deve far cessare la permanenza della sua condotta illecita ovvero non deve più reiterarla. Secondo la Corte, si tratta null’altro che della prescrizione di legge che il contravventore ha violato e che non deve più violare provvedendo a “regolarizzare” la sua condotta senza necessità di alcuna specifica prescrizione a non violare la legge penale.

La “regolarizzazione” alla quale riferisce la disciplina normativa dettata dagli articoli 20-24 del decreto legislativo n. 758 del 1994 è un qualcosa più. Si tratta, secondo i giudici di piazza Cavour, di prescrizioni di dettaglio (che possono consistere anche in “specifiche misure atte a far cessare pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro”: articolo 20, comma 3) che rappresentano una modalità particolare di adempimento della prescrizione di legge sanzionata penalmente.

In altri termini, accanto alla cosiddetta prescrizione di legge che deve essere comunque adempiuta dal contravventore, quest’ultimo è chiamato ad adempiere ad una prescrizione ulteriore (quella impartitagli singolarmente dall’organo di vigilanza), e questo aggravio della sua posizione, quale possibile conseguenza ulteriore del reato commesso, è bilanciato – secondo la Cassazione – dalla misura premiale dell’oblazione in sede amministrativa del reato a condizioni più favorevoli dell’oblazione di cui agli articoli 162 e 162 bis c.p.

A chiusura di questa distinzione, inoltre, la Corte precisa come tale quadro normativo ha trovato conferma nell’articolo 15 del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124.

La Corte, conclude, dunque, il suo argomentare, affermando tre fondamentali principi:

1) che la prescrizione di regolarizzazione può, e non deve, essere impartita dall’organo di vigilanza, il quale inizialmente – ma pure successivamente – può determinarsi a non impartirne alcuna;

2) che la sospensione del processo penale prevista dall’articolo 23, ove la prescrizione di regolarizzazione venga impartita dall’organo di vigilanza, come nel caso in cui la stessa possa ancora essere impartita, non è mai , ma comunque è soggetta un limite temporale massimo che chiude la parentesi mirata alla conformazione da parte del trasgressore alla prescrizione di regolarizzazione, impartita dall’organo di vigilanza;

3) infine, affermazione questa di rilevante interesse, che non c’è alcun diritto del contravventore a ricevere la prescrizione di regolarizzazione dall’organo di vigilanza con assegnazione del relativo termine per adempiere.

Quest’ultimo, infatti, è comunque tenuto a regolarizzare (ossia a rispettare le norme di prevenzione in materia di sicurezza e di igiene del lavoro) anche se alla prescrizione di legge non si aggiunga la prescrizione dell’organo di vigilanza di rispettarla adottando in particolare “specifiche misure”. Ma, in ogni caso, ove quest’ultimo abbia regolarizzato, adottando misure equiparabili a quelle che l’organo di vigilanza avrebbe potuto impartirgli in sede di prescrizione di regolarizzazione, può comunque chiedere al giudice di essere ammesso all’oblazione in misura ridotta, beneficio che non gli è precluso dal fatto che nessuna prescrizione di regolarizzazione gli sia stata impartita dall’organo di vigilanza.

Tale soluzione, secondo gli ermellini, trova conforto anche nella interpretazione regolatrice indicata dalla giurisprudenza costituzionale. Il riferimento è alla sentenza n. 19/1998 nonché all’ordinanza n. 192/2003, con cui la Corte Costituzionale ha chiarito come l’organo di vigilanza possa impartire la prescrizione “ora per allora” oppure limitarsi a verificare l’avvenuta eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione, allorché in entrambe le ipotesi il contravventore può essere ammesso all’oblazione in sede amministrativa.

E allora, conclusivamente, ritiene la Cassazione che la circostanza che l’organo di vigilanza, in sede di invio al pubblico ministero della notizia di reato, non abbia impartito alcuna prescrizione di regolarizzazione all’imputato, non impedisce, nell’immediato, al trasgressore, proprio in ragione della constatazione dell’avvenuta regolarizzazione, di chiedere l’organo di vigilanza di essere comunque ammesso all’oblazione in sede amministrativa, ovvero non impedisce, successivamente, all’imputato di chiedere al giudice di essere ammesso all’oblazione ordinaria in sede giudiziaria nella stessa misura agevolata della oblazione in sede amministrativa (v., inoltre, sul tema: Cass. pen., Sez. 3, n. 26758 del 12/07/2010, C. e altri, in Ced Cass. 248097, secondo cui l’omessa indicazione, ad opera dell’organo di vigilanza, delle prescrizioni di regolarizzazione in riferimento alla riscontrata violazione in materia di prevenzione infortuni e igiene del lavoro non impedisce la procedibilità dell’ azione penale).

Condividi