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Truffa Superbonus: il cessionario può evitare il sequestro preventivo solo se è soggetto “distante” dal reato

La Cassazione definisce con chiarezza il contenuto della condotta di buona fede utile ad evitare la confisca
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Truffa Superbonus: il cessionario può evitare il sequestro preventivo solo se è soggetto “distante” dal reato
Il tematismo della truffa Superbonus sempre più protagonista delle cronache del 2022. La Corte di Cassazione torna ad occuparsi nuovamente delle ipotesi di cessioni del credito nel superbonus, che siano frutto di attività illecite realizzate da uno o da entrambi i soggetti coinvolti nelle operazioni di cessione di crediti fittizi. Questa volta, dopo la sentenza n. 42012 depositata l’8 novembre ultimo scorso, con la quale gli ermellini hanno legittimato il sequestro dei crediti esistenti sul cassetto fiscale del cedente e del cessionario per operazioni mai eseguite, in quanto conseguenti a false fatturazioni reciproche, e dopo la pronuncia n. 42010 del 13 ottobre ultimo scorso, con la quale si disponeva il blocco dei crediti a carico del professionista asseveratore, complice nelle operazioni di cessione in frode allo Stato, l’attenzione del massimo Collegio si sposta sul requisito della buona fede del terzo cessionario, quale unico elemento utile ad evitare il sequestro finalizzato alla confisca.

La vicenda processuale

Con ordinanza del 23 maggio 2022, il Tribunale del Riesame di Parma, accogliendo la richiesta proposta da una società cessionaria, alla quale, nell’ambito dei controlli relativi ad una procedura di superbonus, erano stati sequestrati dal GIP del Tribunale emiliano crediti d’imposta per un importo pari a quasi sette milioni di euro, ne disponeva il dissequestro, annullando, altresì, la perseguita finalità della confisca. Contro l’ordinanza, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Parma, ha proposto Ricorso per Cassazione sulla base di un unico ed articolato motivo, di seguito sommariamente indicato.

Le ragioni del ricorso della Procura contro il dissequestro

La Procura ha censurato la decisione dei giudici del riesame per avere, questi ultimi, aderito in maniera pedissequa all’ardita e non condivisibile ricostruzione difensiva, secondo la quale, il cessionario del credito acquisirebbe i crediti dal cedente a titolo originario e non derivativo, per cui, non essendo oggetto d’indagine il medesimo, identico, credito, rispetto a quello originariamente generato dal primo beneficiario, non potrebbe in nessun caso darsi luogo alla confisca (ed al preliminare sequestro preventivo). Ad avviso del Procuratore Generale, tanto sarebbe ancora più evidente sulla base delle indicazioni contenute nella circolare dell’Agenzia delle Entrate del 23 giungo 2022, nella quale si sostiene che le comunicazioni inviate alla Piattaforma per le cessioni dei crediti dell’Agenzia, non rappresentano in alcun modo, né sostituiscono gli atti contrattuali di cessione del credito intervenuti tra le parti, che restano, viceversa, disciplinati dalle relative disposizioni civilistiche La circolare dell’ADE, dunque, secondo la Procura, farebbe venir meno qualsiasi valenza argomentativa delle tesi dell’acquisto a titolo originario da parte del cessionario, restando, al contrario, la cessione del credito un atto contrattuale tra le parti, meramente comunicato all’Agenzia delle Entrate, con le relative conseguenze in termini di esistenza del credito e di sua compensabilità. Nemmeno, secondo la procura, l’operatività del sequestro può desumersi dalla ratio dei commi 5 e 6 dell’articolo 121 del D.L. n. 34 del 2020. Il Legislatore, infatti, ha voluto rendere recuperabile l’importo della detrazione solo a carico del beneficiario, in quanto è proprio quest’ultimo che ha creato il meccanismo illecito di un credito non dovuto ed è, dunque, nei confronti di tale beneficiario, che l’Agenzia delle Entrate può e deve rivolgersi, a condizione, però, che il terzo cessionario (che, in caso contrario diviene solidalmente responsabile) possa dimostrare di essere del tutto estraneo alla violazione e, dunque, soggetto in assoluta buona fede. Puntuale conferma di ciò, secondo il Procuratore ricorrente, emerge dalla lettura del comma 6 dell’articolo 121 del Decreto Rilancio, ai sensi del quale l’Agenzia delle Entrate può estendere il “recupero” al cessionario, come pure al fornitore del beneficiario, solo allorquando emerga un concorso nella violazione. Per ottenere il riconoscimento di un proprio diritto, quindi, il terzo deve allegare elementi idonei a rappresentare non solo la sua buona fede, intesa come estraneità all’attività illecita in precedenza realizzata dal soggetto colpito dal sequestro, ma anche il suo affidamento incolpevole, inteso come positivo adempimento dell’obbligo di informazione imposto dal caso concreto (sulla condotta del primo beneficiario), volto a escludere una imputabilità (anche) di tipo colposo in capo al predetto cessionario (Corte di Cassazione, sentenza n. 38608/2019) Più semplicemente, dunque, ad avviso della Pubblica accusa ricorrente, con la conclusione che è configurabile la buona fede del terzo – cessionario del credito inesistente, unicamente quando quest’ultimo, considerata la particolare attività svolta dal medesimo nel caso concreto, sia possibile dimostrare elementi specifici, quali:
  • l’estraneità del terzo a qualsiasi collusione o compartecipazione all’attività criminosa;
  • l’inconsapevolezza credibile, in ordine alle attività svolte dal soggetto dal quale è pervenuto il credito acquistata;
  • un errore scusabile, sulla base della situazione apparente, in relazione al caso concreto (Sez. 6, n. 50018 del 17/09/2015).
Nel caso di specie, il Tribunale del riesame ha, per contro, omesso ogni valutazione relativa alla posizione del terzo, non facendo buon governo dei principi di diritto sopra richiamati ed ha reso una pronuncia con una motivazione assolutamente carente, sul piano logico/giuridico. La difesa della cessionaria, costituitasi innanzi alla Suprema Corte, ha sostenuto, tra l’altro, che i crediti d’imposta fraudolentemente originati dall’opzione per la cessione esercitata da chi non aveva il diritto alla detrazione fiscale corrispondente, una volta transitati nel cassetto fiscale di chi li abbia acquisiti in buona fede (rimanendo, quest’ultimo, estraneo al reato commesso dall’apparente beneficiario), non potrebbero assolutamente essere confiscati.

La pronuncia della Cassazione

La Cassazione, con la sentenza n. 45558 del 16 novembre 2022, nell’accogliere il ricorso della Procura, preliminarmente ribadisce l’opportunità di dare continuità a quell’orientamento secondo cui, nell’ipotesi di cessione del credito, acquisito nelle procedure del superbonus, non si riscontra l’estinzione di un diritto alla detrazione (in capo al primo beneficiario) e la contestuale costituzione ex novo di un altro e differente credito (in capo al cessionario), come, erroneamente, sostenuto dall’ordinanza impugnata  emessa dal Tribunale del Riesame di Parma. In particolare, riafferma la Cassazione, come, nelle ipotesi simili, si sia solo in presenza di un espediente tecnico necessario per consentire quella cessione a terzi ritenuta dal legislatore un fattore ulteriormente incentivante la procedura, e, dunque, uno strumento finalizzato alla ripresa economica del Paese, messo in ginocchio dalla pandemia. In secondo luogo, la Suprema Corte, pur condividendo l’assunto della cessionaria/resistente, per il quale le circolari interne dell’Agenzia delle entrate non hanno contenuto vincolante nei confronti del contribuente, che resta pienamente libero di non adottare un comportamento ad esse uniforme, dedica una lunga ed articolata disamina in ordine alla differenza esistente tra (diritto alle detrazione e conseguente) credito d’imposta non spettante e (diritto alla detrazione e conseguente) credito d’imposta inesistente. Mentre nel primo caso, il diritto ha una sua entità patrimoniale e giuridica oggettiva, ma è fruito da un soggetto non avente titolo, per poter qualificare un credito come inesistente è necessario che lo stesso sia ancorato ad una situazione non reale o non vera, “ossia priva di elementi giustificativi fenomenicamente apprezzabili, se non anche con connotazioni di fraudolenza” (Corte di Cassazione, sentenza n. 34443 del 16/11/2021.) Nel caso in esame, evidentemente particolarmente insidioso sotto il profilo della responsabilità, ricorre proprio il caso del credito inesistente, o fittizio, che in quanto tale ben può essere oggetto della misura del sequestro preventivo, finalizzato alla conquista.

La definizione e la rilevanza della buona fede del cessionario

Resta, infine, da esaminare il delicato profilo afferente al tema della buona fede, rilevante in questa sede non solo perché l’intera prospettazione difensiva della resistente è fondata (proprio) sulla dichiarata inesistenza di un “concorso nella violazione” (ex art. 121, comma 6, D. L.  n. 34 del 2020), ma anche perché nella specie, si tratta, come anticipato, di un’ipotesi di sequestro funzionale alla confisca, ai sensi dell’articolo 321, comma 2, c.p.p., che, per poter operare nei confronti del terzo estraneo al reato, richiede che questi non abbia ricavato vantaggi ed utilità dal reato e che non versi in una situazione di buona fede. La giurisprudenza della Corte, osserva la Cassazione, è, sul punto, stabile e consolidata nell’affermare che, in tema di confisca, rientra nella nozione di “persona estranea al reato”, in danno della quale non possono essere confiscate cose o beni ad essa appartenenti, il soggetto che non ha concorso alla commissione del reato, né ha tratto vantaggio dall’altrui attività criminosa, mantenendo una condotta in buona fede, da accertarsi sempre in relazione all’ipotesi concreta. Nel caso di specie, a far propendere per la non configurabilità di una tale condotta, emerge la decisiva circostanza per la quale si è determinato, per effetto dell’intervenuto negozio tra le parti, un indubbio utile in capo al cessionario, atteso che quest’ultimo ha acquistato il credito di imposta, versando al cedente, a titolo di corrispettivo, un valore notevolmente inferiore rispetto a quello nominale del credito ceduto, realizzando, così, un utile illegittimo su tutti i singoli crediti acquistati. Ed allora, proprio alla luce di tali considerazioni, è indubbio che la posizione del cessionario che lucra un vantaggio consistente dall’operazione di cessione, non possa assolutamente essere qualificato come persona estranea al reato, proprio perché, non solo specula sull’operazione di cessione, ma, per effetto della stessa, trae vantaggio dall’altrui attività criminosa. Deve, in questo caso, addirittura riconoscersi la sussistenza di un vero e proprio collegamento funzionale tra la posizione del terzo e la commissione del fatto-reato.

Il rinvio per la decisione sull’eventuale assenza di concorso nella violazione

Alla luce dei predetti rilievi, pertanto, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso della Procura, annulla l’ordinanza del Tribunale del Riesame e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Parma, competente ai sensi dell’art. 324, co. 5, c.p.p. Il giudice del rinvio dovrà, quindi, stabilire se mantenere o meno il vincolo reale esistente sui crediti sequestrati, atteso che la liberazione (a seguito di dissequestro degli stessi) potrà avvenire solo laddove gli elementi di conoscenza disponibili portino alla qualificazione della terza cessionaria come “persona estranea” al reato, ossia una in una condizione di effettiva “distanza” dalla condotta illecita, con possibile rilevanza, in senso impeditivo, anche di atteggiamenti di tipo colposo. A sostegno di tale assunto, deve richiamarsi quanto già affermato dalla Corte di Cassazione (con la sentenza n. 29586 del 17 febbraio 2017), secondo cui è persona estranea al reato (nei cui confronti non può essere disposta la confisca) solo il soggetto che non abbia ricavato vantaggi ed utilità dal reato e che sia in buona fede, non potendo conoscere, con l’uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta, l’utilizzo del credito per finalità illecite. La sentenza della Corte di Cassazione n. 45558 del 16 novembre 2022 è disponibile qui di seguito in free download.
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