Tetto al subappalto incompatibile con la normativa europea
Sul fronte dei contratti pubblici una nuova ‘tegola’ sul tetto al subappalto. La Corte di Giustizia Europea, con la sentenza n. C-63/18 del 26 settembre 2019, interviene sulla normativa italiana che limita la possibilità di subappaltare nella misura del 30% dell’importo complessivo del contratto (art. 105, comma 2, del D.Lgs. n. 50/2016), dichiarandola non compatibile con la direttiva 2014/24.
La pronuncia pregiudiziale era stata richiesta dal Tar Lombardia il 1° febbraio 2018. Questo nell’ambito di una controversia tra una società esclusa da una procedura ristretta per l’affidamento, mediante gara, di un appalto pubblico. Aveva superato il limite del 30% previsto in materia di subappalto.
La questione pregiudiziale
Il ricorso alla Corte di Giustizia Europea verteva sul seguente quesito:
Se i principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi (articoli 49 e 56 Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, Tfue) l’articolo 71 della direttiva 2014/24, il quale non contempla limitazioni quantitative al subappalto, e il principio di diritto dell’Unione europea di proporzionalità, ostino all’applicazione della normativa italiana contenuta nell’articolo 105, comma 2, terzo periodo, del decreto legislativo n. 50/2016, secondo la quale il subappalto non può superare la quota del 30% dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture.
La sentenza riafferma che il subappalto è uno strumento che favorisce l’accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici. E contribuisce al perseguimento di un interesse fondamentale dell’Unione, ossia il fatto che la concorrenza ad una gara di appalto sia la più ampia possibile. Il legittimo obiettivo del contrasto al fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici non può giustificare una restrizione ai principi generali del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue). E deve essere perseguito attraverso misure idonee.
I principi europei che non contemplano il tetto al subappalto
L’aggiudicazione degli appalti pubblici da o per conto di autorità degli Stati membri deve rispettare i principi del Tfue; in particolare:
- la libera circolazione delle merci,
- la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi,
- la parità di trattamento e la non discriminazione,
- il mutuo riconoscimento,
- la proporzionalità e la trasparenza.
La tutela delle PMI
Per il legislatore europeo, è opportuno che gli appalti pubblici siano adeguati alle necessità delle piccole e medie imprese (Pmi). Anche avvalendosi del Codice europeo di buone pratiche del 25 giugno 2008. Questo fornisce orientamenti sul modo in cui le amministrazioni possono applicare la normativa sugli appalti pubblici in modo tale da agevolare la partecipazione delle Pmi. A tal fine e per rafforzare la concorrenza, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero suddividere in lotti i grandi appalti. Con l’obbligo di fornire una motivazione della decisione di non suddividere in lotti o rendendo la suddivisione in lotti obbligatoria in determinate condizioni. Per lo stesso fine, gli Stati membri dovrebbero creare meccanismi per il pagamento diretto ai subappaltatori.
La direttiva 2014/24
L’articolo 18 della direttiva 2014/24 dispone che “le amministrazioni aggiudicatrici trattano gli operatori economici su un piano di parità e in modo non discriminatorio e agiscono in maniera trasparente e proporzionata“.
Principi degli articoli cardine
C’è l’articolo 57 secondo il quale le amministrazioni aggiudicatrici escludano un operatore economico dalla partecipazione a una procedura d’appalto qualora abbiano stabilito attraverso una verifica o siano a conoscenza in altro modo del fatto che tale operatore economico sia stato condannato con sentenza definitiva per uno dei motivi elencati in tale disposizione.
L’articolo 63 dispone che “un operatore economico può, se del caso e per un determinato appalto, fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi“.
L’articolo 71 prevede che “nei documenti di gara l’amministrazione aggiudicatrice può chiedere o può essere obbligata da uno Stato membro a chiedere all’offerente di indicare, nella sua offerta, le eventuali parti dell’appalto che intende subappaltare a terzi, nonché i subappaltatori proposti“.
Gli Stati membri possono prevedere che, su richiesta del subappaltatore e se la natura del contratto lo consente, l’amministrazione aggiudicatrice trasferisca i pagamenti dovuti direttamente al subappaltatore per i servizi, le forniture o i lavori forniti all’operatore economico cui è stato aggiudicato l’appalto pubblico (il contraente principale).
La normativa italiana e il tetto al subappalto
L’articolo 105 del decreto legislativo n. 50 del 18 aprile 2016, Codice dei contratti pubblici, prevede che “l’eventuale subappalto non può superare la quota del 30 per cento dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture“.
La legge n. 55/2019, di conversione del decreto n. 32/2019 (cd. Sblocca Cantieri) ha elevato la quota al 40%, lasciando scegliere alle stazioni appaltanti la percentuale esatta, fino al 31 dicembre 2020. Entro lo stesso termine, è sospeso l’obbligo di indicazione della terna dei subappaltatori in gara (comma 6 art. 105 Codice appalti) e l’indicazione della terna dei subappaltatori in caso di concessioni (comma 2 dell’articolo 174), nonché le verifiche in sede di gara (articolo 80) riferite al subappaltatore.
Una modifica permanente del Codice riguarda l’inserimento, a tutela dei subappaltatori, della lettera c-quater all’art. 80 comma 5, che prevede l’esclusione dalla gara dell’operatore economico che “abbia commesso grave inadempimento nei confronti di uno o più subappaltatori, riconosciuto o accertato con sentenza passata in giudicato”.
Il contrasto all’infiltrazione mafiosa
Il governo italiano sostiene che la limitazione del ricorso al subappalto è giustificata alla luce delle particolari circostanze presenti in Italia. Nel nostro Paese il subappalto ha da sempre costituito uno degli strumenti di attuazione di intenti criminosi. Limitando la parte dell’appalto che può essere subappaltata, la normativa nazionale renderebbe il coinvolgimento nelle commesse pubbliche meno appetibile per le associazioni criminali. Questo consentirebbe di prevenire il fenomeno dell’infiltrazione mafiosa nelle commesse pubbliche e di tutelare così l’ordine pubblico.
La lettura dei giudici europei sul subappalto in Italia
Secondo i giudici europei, il contrasto al fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici costituisce un obiettivo legittimo che può giustificare una restrizione alle regole dell’Unione nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici. Ma una restrizione come quella in esame, che si applica indipendentemente dal settore economico interessato dall’appalto, dalla natura dei lavori o dall’identità dei subappaltatori, non lascia alcuno spazio a una valutazione caso per caso da parte dell’ente aggiudicatore. E pertanto eccede quanto necessario al raggiungimento di tale obiettivo.
Il diritto italiano già prevede numerose attività interdittive . Hanno l’obiettivo di impedire l’accesso alle gare pubbliche alle imprese sospettate di condizionamento mafioso. O comunque collegate a interessi riconducibili alle principali organizzazioni criminali operanti nel paese.
Le motivazioni della sentenza sul tetto al subappalto
La direttiva 2014/24 non prevede limiti quantitativi al subappalto, pertanto, secondo i giudici europei, la previsione di un limite generale del 30% per il subappalto, con riferimento all’importo complessivo del contratto, può rendere più difficoltoso l’accesso delle imprese, in particolar modo di quelle di piccole e medie dimensioni, agli appalti pubblici. Tale limite è fissato in maniera astratta in una determinata percentuale del contratto, a prescindere dalla possibilità di verificare le capacità di eventuali subappaltatori e senza menzione alcuna del carattere essenziale degli incarichi di cui trattasi.
Una clausola del capitolato d’oneri di un appalto pubblico di lavori che impone limitazioni al ricorso a subappaltatori per una parte dell’appalto fissata in maniera astratta in una determinata percentuale dello stesso, e ciò a prescindere dalla possibilità di verificare le capacità di eventuali subappaltatori e senza menzione alcuna del carattere essenziale degli incarichi di cui si tratterebbe, è incompatibile con l’interesse dell’Unione Europea alla libera concorrenza.
La sentenza sottolinea che durante tutta la procedura, le amministrazioni aggiudicatrici devono rispettare i principi di aggiudicazione degli appalti, tra i quali figurano, in particolare, i principi di parità di trattamento, di trasparenza e di proporzionalità.
Pronuncia della Corte di Giustizia Europea
La direttiva 2014/24/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014 sugli appalti pubblici, deve essere così interpretata. Osta a una normativa nazionale che limita al 30% la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi. Cioè il tetto al subappalto.
Il commento dell’Ance sul tetto al subappalto
L’Associazione nazionale costruttori edili (Ance) ha espresso soddisfazione per la sentenza che ritiene non conforme il tetto al subappalto. “Una decisione – si legge in una nota – che conferma la tesi sostenuta dall’Ance sin dall’entrata in vigore del Codice appalti del 2016 con un esposto presentato alla Commissione europea, che vede in questa norma una grave violazione della libertà di organizzazione d’impresa incompatibile con le direttive Ue sugli appalti“. Secondo Gabriele Buia, Presidente Ance, “non è più rinviabile un intervento complessivo del legislatore per allineare la normativa italiana a quella europea a tutela di tutte le tipologie d’impresa, nessuna esclusa“.

