Edilizia

La sanatoria degli abusi nel terzo condono: analisi di un caso di specie

Una sentenza riapre la questione sull’interpretazione proposta delle norme relative al c.d. terzo condono
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La sanatoria degli abusi nel terzo condono: analisi di un caso di specie

È giunta in redazione un’interessante segnalazione da parte di un nostro lettore relativa ad una pronuncia del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana relativa all’applicazione dei limiti quantitativi e qualitativi del cd. terzo condono previsto dalla l. n. 326/2003.

Analisi di un caso di specie

La sentenza in commento (n.198/2022) veniva resa a seguito di un ricorso per revocazione. Ricorso che, per questioni puramente processuali, veniva dichiarato inammissibile. Ciò che interessa, però, è l’interpretazione proposta delle norme relative al c.d. terzo condono.

La sentenza ha ribadito che i presupposti previsti dalla l. n. 326/2003 sarebbero tra loro alternativi e non cumulativi ed ammetterebbero la condonabilità di opere che costituiscono un ampliamento del manufatto in una misura superiore al 30% ma con un volume lordo inferiore a 750 mc (ossia con un volume realizzato abusivamente inferiore a 750 mc). In altre parole: il volume massimo ampliabile è pari a 750 mc.

La sanatoria degli abusi edilizi nel cd. terzo condono

Ai sensi dell’art. 32 della legge n. 326/2003 è ammessa la possibilità di ottenere il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria delle opere esistenti non conformi alla disciplina vigente (all’epoca di emanazione della legge).

Su tale disciplina generale, poi, si sono innestate le singole normative regionali al fine di individuarne, in concreto, le condizioni, i limiti e le modalità del rilascio del predetto titolo abilitativo.

La vicenda, tutt’altro che pacifica, ha visto il coinvolgimento anche della Corte Costituzionale che, con la sent. n. 196/2004 ha ritenuto costituzionalmente illegittima la norma nella parte in cui conteneva una preclusione della facoltà per le Regioni di determinare i limiti volumetrici per la sanatoria.

L’utilizzazione di criteri in percentuale ed assoluti era stata introdotta dal legislatore del cd. secondo condono edilizio: in tale occasione, l’art. 39, comma 1, della l. n. 724/1994 aveva previsto la possibilità di sanatoria per le opere abusive comportanti un ampliamento del manufatto superiore al 30% della volumetria della costruzione originaria ovvero, indipendentemente dalla volumetria iniziale, un ampliamento superiore a 750 metri cubi.

Identici limiti sono poi contenuti nell’art. 32, comma 25, della l. n. 326/2003.

L’interpretazione di questo duplice criterio di calcolo è stata fornita dalla citata sentenza della Corte Costituzionale nel senso di ritenere che “la previsione massima di cubatura di 750 metri cubi è un limite assoluto ed inderogabile, che si aggiunge come norma di chiusura al limite di ampliamento che deve essere contenuto nel trenta per cento della volumetria originaria, ad evitare che fabbricati, inizialmente, di cubatura considerevole possano ampliarsi in modo ulteriormente notevole” (sent. n. 196/2004).

La richiesta di sanatoria di opere realizzate abusivamente

Nel caso di richiesta di sanatoria di opere realizzate abusivamente, il limite massimo volumetrico deve essere individuato nel valore assoluto, a nulla rilevando, nel caso costruzioni di maggiori dimensioni, il mancato superamento del limite percentuale indicato dalla norma.

Ciò si deve in ragione della natura eccezionale e di stretta interpretazione della normativa sul condono tale da escluderne l’applicabilità in termini estensivi.

I limiti volumetrici (pari a 750 mc) fissati dal comma 25 del richiamato art. 32 l. n. 326/2003 operano non già disgiuntamente, bensì congiuntamente. Per tali motivi gli incrementi consentiti non devono essere superiori al 30% della cubatura della costruzione originaria e non possono in ogni caso eccedere i 750 metri cubi (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 17 dicembre 2013, n. 6042 e 12 settembre 2017, n. 4322).

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