La repressione degli abusi edilizi è un atto dovuto che non prevede specifici obblighi di motivazione
L’attività di repressione degli abusi edilizi tramite l’emissione dell’ordine di demolizione di cui all’art. 31 del D.P.R. 380 del 2001 (TU edilizia) costituisce attività di natura vincolata; essa, pertanto, non è assistita da particolari garanzie partecipative, tanto da non ritenersi necessaria, ai fini della trasparenza e correttezza dell’azione amministrativa, la previa comunicazione di avvio del procedimento di cui all’art. 7 (e seguenti) della Legge 241 del 1990 agli interessati.
Questo il principio di diritto che si ricava dalla sentenza n. 87 del 03 gennaio 2023 emessa dal Consiglio di Stato, nella quale il massimo Collegio amministrativo effettua una puntuale ricognizione delle norme di carattere procedimentale che governano l’attività amministrativa, in materia di repressione degli abusi edilizi.
Abusi edilizi e precarietà dell’opera
Nella pronuncia in commento, peraltro, si ribadisce un altro pacifico arresto della giurisprudenza del Palazzaccio, ossia quello per il quale il carattere precario di un manufatto (non necessitante di apposito titolo abilitativo) deve essere valutato, non con riferimento al tipo di materiale utilizzato per la sua realizzazione, ma avendo riguardo all’uso cui lo stesso è destinato.
Se, infatti, le opere abusive oggetto di provvedimento demolitorio sono dirette al soddisfacimento di esigenze stabili e permanenti, deve escludersi la natura precaria dell’opera, a prescindere dai materiali utilizzati e dalla tecnica costruttiva applicata.
La precarietà non va, inoltre, confusa con la stagionalità dell’opera, vale a dire con l’utilizzo annualmente ricorrente della struttura, poiché un utilizzo siffatto non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo.
La vicenda processuale
L’appellante, affittuario e gestore di un parcheggio, impugnava la sentenza del Tar Campania n. 5416/2017 del 16 novembre 2017, che, in primo grado, aveva confermato l’ordinanza n. 195 del 2011 con la quale il Comune aveva ordinato, ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. 380/01, la demolizione delle opere abusive realizzate nel parcheggio, dal momento che le stesse ricadevano, secondo lo strumento urbanistico vigente, in aree vincolate e, più precisamente, in parte in zona sottoposta a vincolo paesaggistico ed in parte in zona di urbanizzazione primaria.
L’interessato articolava il proprio ricorso su tre motivi fondamentali, mentre si costituiva ritualmente la pubblica amministrazione intimata, insistendo per il rigetto del gravame.
Con il primo motivo, si censurava l’azione della P.A. resistente per non aver fornito adeguata motivazione circa il rigetto delle osservazioni proposte dal soggetto passivo dell’ordine di demolizione, avverso la mancata comunicazione di avvio del procedimento di emissione dell’ordinanza impugnata.
Con il secondo motivo, il ricorrente deduceva il vizio della contraddittorietà della motivazione del provvedimento adottato, essendo quest’ultimo indirizzato non contro il proprietario dell’area sulla quale sono stati realizzati gli abusi, ma contro l’affittuario/gestore del parcheggio.
Infine, con la terza censura, si contestava il merito dell’ordine di demolizione adottato, non essendo le opere interessate dal provvedimento soggette a permesso a costruire, in virtù della precarietà delle stesse.
La decisione del Consiglio di Stato
Il massimo collegio amministrativo, con la pronuncia in commento, ha rigettato tutti i motivi di ricorso, sulla base delle seguenti, puntuali, osservazioni di diritto.
Quanto alla prima censura, nel ritenerla non meritevole di accoglimento, i giudici hanno osservato che l’attività di repressione degli abusi edilizi, mediante l’emissione dell’ordine di demolizione di cui all’art. 31 del D.P.R. 380 del 2001, costituisce attività di natura vincolata e, pertanto, la stessa non è assistita da particolari garanzie partecipative, in relazione ai destinatari dell’azione repressiva della P.A. procedente.
Non si ritiene necessaria, infatti, né la previa comunicazione di avvio del procedimento di cui all’articolo 7 (e seguenti) della Legge n. 241 del 1990 agli interessati né, tantomeno, la previsione di particolari facoltà ai soggetti passivi, come quella di presentare osservazioni, con conseguente obbligo per l’amministrazione di prenderle in considerazione prima di assumere la decisione finale (Consiglio di Stato, sentenza n. 3971/2019).
Ciò in quanto, l’ordine di demolizione è un atto vincolato, che presuppone unicamente la sussistenza di opere abusive e non richiede una specifica motivazione circa la ricorrenza di un interesse pubblico concreto alla rimozione, neppure quando sia trascorso un notevole lasso di tempo dalla sua realizzazione.
Quanto alla mancata notifica dell’ordine di demolizione al proprietario, sebbene la circostanza dedotta dal ricorrente sia rimasta non dimostrata, quand’anche la stessa si fosse effettivamente verifica, ciò non pregiudicherebbe in alcun modo la validità dell’ordine di demolizione.
L’unica conseguenza che potrebbe discendere dalla mancata notifica al proprietario è l’impossibilità di pretendere l’esecuzione del provvedimento da parte di quest’ultimo, restando, al contrario, sempre e comunque tenuto alla demolizione ordinata l’autore materiale dell’abuso realizzato.
Infine, quanto alla dedotta precarietà delle opere (ossia un capannone in metallo e lamiera, adibito a deposito; una struttura metallica coperta da lamiere termoisolanti, utilizzata per il ricovero di autovetture ed un piccolo container), il Collegio si rifà al consolidato orientamento del Consiglio di Stato, di seguito riportato.
Sussiste, per la P. A. procedente, l’obbligo di valutare l’opera alla luce della sua obiettiva ed intrinseca destinazione naturale: ne consegue, che rientrano nella nozione giuridica di costruzione per la quale occorre la concessione edilizia (ed il titolo abilitativo), tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente infissi nel suolo o pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e non meramente occasionale (Consiglio di Stato, sentenza n. 6768/2020).
Tale ipotesi non si verifica nel caso di specie, anche perché le aree occupate dai manufatti abusivi erano zone sottoposte a vincoli di natura inderogabile, con il conseguente rigetto del gravame, la conferma dell’ordine di demolizione e la condanna dell’incauto ricorrente alle spese di lite.

