La Corte di Cassazione, nella
sentenza n. 9097 del 5 marzo 2021, chiarisce aspetti procedurali dell’
accertamento di conformità e del provvedimento di
demolizione di opere abusive, trattando un ricorso per l’annullamento (o, in subordine, la revoca o sospensione) dell’ordine di demolizione, per violazione della disciplina dettata dal codice degli appalti.
L’impugnazione del provvedimento, già rigettata dal tribunale, si basava su tre motivi, puntualmente respinti in cassazione.
Omessa notifica dell’ordine di demolizione
I comproprietari dei beni da demolire si dichiaravano ignari della procedura esecutiva, pur avendo diritto – secondo loro – alla notifica della ingiunzione a demolire.
La sentenza chiarisce che l’omessa notifica dell’ordine di demolizione del manufatto abusivo al comproprietario del bene
non comporta alcuna nullità, dato che l’ordine di demolizione ha come suo
destinatario unicamente il condannato responsabile per l’abuso. Solo questi ha l’obbligo di attivarsi e di demolire il manufatto illecito, ripristinando lo stato dei luoghi. Se egli non ottempera all’ordine – come è avvento nella specie – è il pubblico ministero che dovrà curare l’esecuzione della sentenza secondo le procedure di legge.
Consegue che i terzi comproprietari estranei al reato non hanno invece nessun obbligo di fare alcunché, ma solo quello di non contrapporsi – al pari di qualsiasi altro soggetto che abbia eventualmente sull’immobile un diritto reale o personale di godimento – alla esecuzione dell’ordine di demolizione curata dal pubblico ministero.
Istanza di sanatoria ancora pendente
Un comproprietario dei beni da demolire aveva avanzato istanza di sanatoria e fiscalizzazione di illecito edilizio ex artt. 33 e 36 del
dpr n. 380/2001 in ordine alle opere oggetto di condanna. La pratica era ancora pendente, perciò si contestava l’
omessa verifica da parte del giudice dell’esecuzione volta ad accertare se e in quanto tempo fosse rilasciabile il titolo edilizio in sanatoria.
Secondo i giudici della Suprema Corte, al momento della decisione contestata la richiesta di sanatoria dedotta
doveva ritenersi in ogni caso respinta ex lege, in base all’art. 36 comma 3 del dpr n. 380/2001 secondo il quale la richiesta di permesso in sanatoria si intende
rifiutata ove sulla stessa non intervenga una decisione entro sessanta giorni dalla sua presentazione.
La domanda finalizzata all’accoglimento della istanza rivolta al giudice dell’esecuzione risulta manifestamente infondata sul piano giuridico e quindi
inidonea a fondare un vizio di motivazione in ragione del silenzio del giudice sul punto, dato che il vizio di motivazione non è configurabile riguardo ad argomentazioni giuridiche delle parti.
La competenza del giudice amministrativo
Si contestavano inoltre le modalità di affidamento dei lavori di demolizione nell’ambito della competenza del giudice amministrativo, con violazione degli artt. 31 e 63 del dlgs. n. 50/2016, codice degli appalti.
Il motivo è stato giudicato inammissibile per l’
estrema genericità nell’individuare la competenza a decidere della questione, senza indicare la specifica norma fondante la medesima bensì rinviando in modo estremamente indeterminato al “ruolo” del giudice dell’esecuzione come affidatogli dagli artt. 665 e ss. cod. proc. pen., in palese violazione del
principio per cui il requisito della specificità dei motivi implica non soltanto l’onere di dedurre le censure che la parte intenda muovere in relazione ad uno o più punti determinati della decisione, ma anche quello di
indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi che sono alla base delle censure medesime, al fine di consentire al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato.