Edilizia

Nuove costruzioni in zona vincolata, niente terzo condono edilizio

Il TAR Lazio ribadisce che non possono essere sanati, ai sensi del terzo condono, nuove costruzioni e ampliamenti in zona con vincolo assoluto o relativo
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Nuove costruzioni in zona vincolata, niente terzo condono edilizio
Ampliamenti e nuove costruzioni in zona vincolata: non si applica il “terzo condono”. Lo ha chiarito il Tar Lazio con un’articolata pronuncia del 25 settembre 2021, la n. 10909, relativa alla sanatoria per gli abusi commessi su un immobile sito nella fascia di rispetto di un corso d’acqua.

Il caso

La proprietaria di un immobile, situato nella fascia di rispetto di 150 mt da un corso d’acqua, aveva presentato domanda di condono edilizio in base alla normativa sul “terzo condono” (art. 32 D.l. 269/2003). Fra gli interventi abusivi descritti nella domanda, vi erano anche un piccolo ampliamento dell’edificio residenziale (per la realizzazione di un vano tecnico di mq2) e la costruzione ex novo di locali per complessivi mq 19,59. Il Comune aveva respinto il condono. Secondo l’ente, ampliamento e nuova costruzione sarebbero tipologie di interventi escluse dal condono del 2003, quando ricadono su un immobile in zona vincolata. La tesi del Comune è condivisa anche dal TAR Lazio, cui si era rivolta la proprietaria per chiedere l’annullamento del diniego di condono.

Immobili vincolati ed esclusione dalla sanatoria

La sentenza in commento, ricostruisce il quadro normativo e giurisprudenziale che regola le cause di esclusione del terzo condono edilizio. La norma di riferimento è l’art. 32 comma 27 lettera d) del D.l. 269/2003, secondo la quale “Fermo restando quanto previsto dagli articoli 32 e 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora…..d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici”.

Le opere sanabili

Gli illeciti suscettibili di sanatoria, in base al terzo condono edilizio, sono indicati analiticamente all’art. 32 comma 26 del D.l. 269/2003 che rinvia alle tipologie elencate nell’allegato 1. Nel caso in cui l’immobile sia soggetto a vincolo, la norma prevede che siano sanabili solamente le opere edilizie previste dai n. 4, 5 e 6 dell’allegato, e più precisamente:
  • n. 4 (restauro e risanamento conservativo … realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio, nelle zone omogenee A),
  • n. 5 (“restauro e risanamento conservativo … realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio)
  • n. 6 (manutenzione straordinaria … realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio; opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume”) dell’allegato,

Abusi “minori” e Abusi “maggiori”

Come si evince dalla lettura delle norme citate, il Terzo condono edilizio crea una distinzione tra “abusi maggiori” e “abusi minori”, consentendo la possibilità di condono solo per questi ultimi. La costante giurisprudenza, richiamata anche dalla sentenza in commento, prescrive che per condonare l’abuso su un immobile soggetto a vincoli, debbano essere contemporaneamente presenti i seguenti requisiti:
  • la realizzazione delle opere deve essere precedente all’imposizione del vincolo;
  • le opere devono essere conformi alle prescrizioni urbanistiche;
  • l’intervento edilizio deve essere qualificabile come “opera minore”, senza aumento di superficie (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria);
  • è necessario il previo parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo stesso.
Consolidato è anche il principio giurisprudenziale per cui “non possono essere comunque sanate le opere che hanno comportato la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, sia esso di natura relativa o assoluta, o comunque d’inedificabilità, anche relativa”. Questo tipo di opere sono infatti da annoverare tra gli abusi c.d. “maggiori”.

Il requisito della preesistenza del vincolo

Come si è visto, tra i requisiti indispensabili per il condono c’è quello della preesistenza del vincolo rispetto alle opere abusivamente eseguite. Nel caso esaminato dal TAR Lazio, la ricorrente si era difesa sostenendo che il vincolo paesistico per la protezione dei corsi de delle acque pubbliche era stato imposto dalla Regione Lazio con una legge successiva all’esecuzione delle opere. Tuttavia, per i giudici amministrativi la difesa della ricorrente non regge. Infatti, per essere ammessa al condono, l’opera deve avere contemporaneamente tutti i requisiti sopra richiamati. Nel caso esaminato dal Tribunale invece, la tipologia di abuso non rientrava tra i c.d. “abusi minori” trattandosi di un intervento di ampliamento e nuova costruzione di alcuni locali. Afferma il Tar che “ l’esclusione della condonabilità delle opere ai sensi del D.L. n. 269 del 2003 discende pianamente dalla circostanza che esse non rientrano nelle tipologie nn. 4, 5 e 6 previste dall’All. 1 al d.l. cit. (le uniche suscettibili di sanatoria ai sensi del ridetto art. 32, co. 26). Ne discende l’ininfluenza delle restanti questioni sollevate dall’interessata, ivi inclusa quella relativa alla pretesa posteriorità del vincolo (rispetto all’esecuzione delle opere), aspetto che avrebbe semmai potuto avere rilievo solo nel caso, non ricorrente nella specie, di abusi “astrattamente sanabili in area vincolata” (in quanto rientranti nelle tipologie 4, 5 e 6)”.

E se il vincolo è introdotto dopo il completamento dei lavori?

Il caso in esame presentava poi una particolarità. La Legge regionale applicabile (art. 3 comma 1 lett b) L.R. Lazio 12/2004) prevedeva tra le cause di esclusione del condono edilizio, anche l’ipotesi in cui le opere mancanti di titolo abilitativo edilizio e difformi sul piano urbanistico, fossero state realizzate prima dell’apposizione del vincolo. Per i giudici amministrativi era dunque irrilevante la difesa della ricorrente che sosteneva la preesistenza dell’abuso al vincolo. Il Tribunale amministrativo ha anche ricordato la recente pronuncia della Corte Costituzionale che ha dichiarato la legittimità costituzionale della norma regionale in questione. Con la sentenza del 30 luglio 2021, n. 181 la Corte ha stabilito che “introducendo un regime più rigoroso di quello disegnato dalla normativa statale, il legislatore regionale del Lazio non ha oltrepassato il limite costituito dal principio di ragionevolezza. Per un verso, infatti, la possibile sopravvenienza di vincoli ostativi alla concessione del condono risulta espressamente prevista dalla disposizione censurata, ciò che ne esclude la lamentata assoluta imprevedibilità. Per altro verso, il regime più restrittivo introdotto dalla legge regionale ha come obiettivo la tutela di valori che presentano precipuo rilievo costituzionale, quali quelli paesaggistici, ambientali, idrogeologici e archeologici, sicché non è irragionevole che il legislatore regionale, nel bilanciare gli interessi in gioco, abbia scelto di proteggerli maggiormente, restringendo l’ambito applicativo del condono statale, sempre restando nel limite delle sue attribuzioni”. E’ dunque possibile che la legge regionale restringa ulteriormente le maglie del condono, escludendone la concessione anche agli abusi preesistenti rispetto al vincolo.

La prova della preesistenza dell’opera al vincolo

In ogni caso, affermano i giudici amministrativi, la ricorrente non aveva neppure dato prova della data di fine lavori. Per costante giurisprudenza, ricorda il TAR “”in materia di abusi edilizi e del relativo regime sanzionatorio, l’onere di fornire la prova dell’epoca di realizzazione di un abuso edilizio e della sua consistenza incombe … sulla parte privata e non sull’amministrazione, la quale, in presenza di un’opera edilizia non assistita da un titolo che la legittimi, ha solo il potere-dovere di sanzionarla ai sensi di legge”. Per tutte queste ragioni, il TAR Lazio ha confermato la legittimità del diniego di condono e interamente respinto il ricorso. Tar Lazio sentenza n. 10909, 25 settembre 2021
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