Edilizia

Il mutamento d’uso urbanisticamente rilevante va valutato in concreto

Per il mutamento di destinazione d'uso senza opere basta la SCIA, mentre per le modifiche con passaggio di categoria il permesso di costruire
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Il mutamento d’uso urbanisticamente rilevante va valutato in concreto
La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 13491 del 12 aprile 2021, tratta il tema del mutamento d’uso urbanisticamente rilevante (art. 23-ter dpr n. 380/2001), precisando che “è solo quello tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico – non quello edilizio – tenuto conto che nell’ambito delle stesse categorie possono aversi mutamenti di fatto, ma non diversi regimi urbanistico-contributivi, stanti le sostanziali equivalenze dei carichi urbanistici nell’ambito della medesima categoria”. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso che un proprietario di un immobile aveva presentato contro il sequestro dell’intero fabbricato dopo le verifiche su lavori di demolizione e ricostruzione in corso, sostenendo la legittimità dei  permessi di costruire. In quanto i giudici di merito non avevano verificato la tipologia del mutamento di destinazione d’uso prodotta dai lavori sul fabbricato mediante i lavori.

Mutamento d’uso urbanisticamente rilevante, alcuni distinguo

Occorre infatti distinguere tra mutamento di destinazione d’uso senza opere, per cui basta la Segnalazione certificata di inizio attività (Scia). Mentre serve il permesso di costruire per le modifiche di destinazione che comportino il passaggio di categoria o se il cambio d’uso è eseguito nei centri storici, anche all’interno di una stessa categoria omogenea. Quindi, il Tribunale del Riesame dovrà analizzare di nuovo la vicenda applicando l’art. 23-ter del Testo Unico Edilizia, per stabilire se i lavori in questione hanno comportato mutamento rilevante della destinazione d’uso. Cioè “ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall’esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra residenziale, turistico-ricettiva, produttiva e direzionale, commerciale, rurale”. La destinazione d’uso di un immobile – precisa la sentenza – non si identifica con l’uso che se ne fa in concreto dal soggetto utilizzatore, ma con quella impressa dal titolo abilitativo assentito.

Il sequestro preventivo: condizioni e requisiti

Inoltre, il provvedimento di sequestro preventivo dell’intero fabbricato abitato è, secondo i giudici della corte di Cassazione, contrario ai principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità per le misure cautelari personali, principi che “impongono al giudici di motivare adeguatamente sull’impossibilità di conseguire il medesimo risultato attraverso una cautela alternativa meno invasiva, al fine di evitare un’esasperata compressione del diritto di proprietà e di libera iniziativa economica privata”. Non è sufficiente la motivazione del presunto aumento volumetrico per giustificare l’intero sequestro. Tanto più che l’incidenza della carica urbanistico non era stata valutata in concreto, in relazione al regolare assetto del territorio, ai luoghi, all’aggravio del traffico veicolare, all’impatto dell’insediamento sul tessuto abitativo. La giurisprudenza, nei casi di sequestro preventivo, afferma che questo è consentito “anche nel caso di ipotesi criminosa già perfezionatasi (come nel caso specifico), purché il pericolo della libera disponibilità della cosa stessa, presenti i requisiti della concretezza e dell’attualità e le conseguenze del reato consistano nel volontario aggravarsi o protrarsi dell’offesa al bene protetto, in rapporto di stretta connessione con la condotta penalmente illecita, e possano essere rimosse con l’accertamento irrevocabile del reato”. Nel caso specifico, per la Cassazione, è stata fatta una valutazione “in astratto”. Perché “non rapportata all’aumento di profondità delle logge, del volume esterno, dell’utilizzo in concreto di tali beni”. Corte di Cassazione, sentenza n. 13491 del 12 aprile 2021
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