Edilizia
Distanze minime, quando vale il principio di prevenzione?
Il Consiglio di Stato chiarisce che quando le le norme tecniche consentono deroghe al rispetto della distanza di 5 metri, vale il principio di prevenzione
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Distanze e minime e principio di prevenzione. Il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 5496 del 21 luglio 2021, fa chiarezza. Stabilendo che quando le norme tecniche di attuazione non prevedono un obbligo inderogabile di rispettare la distanza di cinque metri ma ammettono talune deroghe, esse consentono l’operatività del principio di prevenzione, in base al quale il confinante che costruisce per primo ha una triplice facoltà, potendo edificare:
- rispettando una distanza dal confine pari alla metà di quella imposta dal codice civile;
- sul confine;
- a una distanza dal confine inferiore alla metà di quella prescritta.
Il caso: tettoie abusive e distanze minime
Il caso riguarda una domanda di accertamento di conformità urbanistica, presentata dalla proprietaria e dalla comodataria di un fondo agricolo su cui insistono varie tettoie abusive, aperte o parzialmente aperte a uso pollaio, deposito attrezzi e macchinari agricoli. ripostigli e servizio igienico. Il Comune aveva respinto la domanda perché le opere in questione si porrebbero in contrasto con quanto disposto dall’art. 4.2. delle norme tecniche di attuazione, il quale impone a chi costruisce di rispettare la distanza minima di cinque metri dal confine. A seguito del rigetto della suddetta domanda, il Comune aveva disposto la demolizione delle opere. Le interessate avevano impugnato i suddetti provvedimenti, il Tribunale amministrativo del Piemonte aveva rigettato il ricorso, ma in appello il Consiglio di Stato ha dato ragione alle ricorrenti, ritenendo fondato il motivo principale: l’erroneità della sentenza e l’illegittimità del provvedimento impugnato nella parte in cui hanno ritenuto che le norme tecniche di attuazione, prescrivendo la distanza minima di cinque metri dal confine, vietassero l’operatività del principio di prevenzione. In particolare, le ricorrenti sostenevano che la prescrizione contenuta nelle suddette norme, non prevedendo un obbligo inderogabile di rispettare la distanza di cinque metri ma ammettendo talune deroghe, consentirebbe l’operatività del predetto principio. La sentenza prende le mosse dall’art. 36 del d.lgs. n. 380 del 2001, “accertamento di conformità”, che dispone, tra l’altro, che in caso di interventi realizzati in violazione delle norme che prevedono il permesso di costruire “il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda” (comma 1).Il principio di prevenzione
Dal complesso degli artt. 871, 872 e 873 del codice civile, il Consiglio di Stato ricava, in via interpretativa, l’esistenza del cd. principio di prevenzione. Esso comporta che il confinante che costruisce per primo ha una triplice facoltà, potendo edificare:- rispettando una distanza dal confine pari alla metà di quella imposta dal codice civile;
- sul confine;
- a una distanza dal confine inferiore alla metà di quella prescritta.
Distanze minime, quando possono essere non rispettate
Nel caso in esame, l’art. 4.2. delle norme tecniche di attuazione, da un lato, impone a chi costruisce di rispettare la distanza minima di cinque metri dal confine, dall’altro, consente di derogare a tale prescrizione nei seguenti casi:- se preesiste parete in aderenza senza finestre;
- in base alla presentazione di progetto unitario per i fabbricati da realizzare in aderenza;
- in base ad un accordo con il confinante.

