Cambio di destinazione con aumento del carico urbanistico: ci vuole il permesso di costruire
Il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 10112 del 17 novembre 2022, chiarisce che qualora il cambio di destinazione d’uso comporti un aumento del carico urbanistico, è necessario il permesso di costruire. E’ il caso del cambio di destinazione d’uso di un immobile da deposito ad abitativo: comportando un aumento del carico urbanistico, il cambiamento configura un intervento di ristrutturazione edilizia, specialmente se sono state realizzate opere che modificano radicalmente l’assetto della costruzione.
La sentenza conferma il giudizio di primo grado che sanzionava alcuni abusi edilizi accertati su un edificio rurale – per i quali era stato ingiunto un ordine di demolizione – tra cui il cambio di destinazione d’uso dei locali ad uso sgombero esistenti al piano terreno e al primo piano in locali abitativi; la realizzazione di un nuovo balcone e di tramezzature interne con creazione di nuovi locali; la modifica di alcune aperture esterne con realizzazione di porte finestra e vetrate.
Intervenendo sul ricorso contro l’oblazione fissata dal Comune per accogliere l’istanza di sanatoria, il Tar aveva stabilito che l’intervento edilizio integrava una ristrutturazione edilizia poiché determinava la creazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, data la trasformazione in funzione abitativa della quasi totalità del fabbricato, con conseguente impatto sul carico urbanistico, a nulla rilevando che i singoli interventi atomisticamente considerati fossero assentitili mediante Dia. La tipologia di abuso giustificava quindi l’applicazione della sanzione.
Cambio di destinazione d’uso
Accertato che il mutamento di destinazione dei locali precedentemente adibiti a sgombero era avvenuto tramite la posa di tramezzature che avevano creato ulteriori locali (cucina, soggiorno ed una nuova camera) e il fabbricato era stato interessato da interventi incidenti sul prospetto, con la realizzazione di un balcone prima inesistente e modificando alcune aperture esterne ricavandone porte finestre e vetrate mediante demolizioni di muratura, il Consiglio di Stato ha confermato la pronuncia del Tar e respinto il ricordo, facendo riferimento all’art. 23 ter del Testo Unico dell’Edilizia (Tue) secondo cui “salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d’uso ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall’esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale”.
Nel caso in esame, l’intervento non può essere considerato “manutenzione straordinaria“, né “restauro e risanamento conservativo“, in quanto, nella prima ipotesi il mutamento di destinazione d’uso determinato è urbanisticamente rilevante; nella seconda, l’intervento non si limitava ad interventi conservativi dell’esistente ma determinava la creazione di superfici residenziali ulteriori a quelle originariamente assentite (incidenti sul carico urbanistico complessivo). In pratica, in virtù del mutamento di destinazione, si è realizzato “un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente» con “inserimento di nuovi elementi ed impianti”.
Un aumento del carico urbanistico non si verifica solo in caso di modifica della destinazione funzionale dell’immobile, ma anche nei casi in cui sebbene la destinazione non venga mutata, le opere si prestino a rendere la struttura un polo di attrazione per un maggior numero di persone con conseguente necessità di più intenso utilizzo delle urbanizzazioni esistenti. L’incremento delle superfici adibite ad uso residenziale/abitativo, comportando una modifica della destinazione d’uso fra categorie non omogenee delle superfici interessate, ha indubbiamente determinato un aumento del carico urbanistico.
Così qualificato l’intervento, esso necessita del permesso di costruire. In caso di interventi realizzati senza tale titolo edilizio, o in difformità da esso, la disciplina edilizia prevede, per ottenerlo in sanatoria, la sanzione indicata nell’art. 36 Tue: il pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia, ovvero, in caso di gratuità a norma di legge, in misura pari al contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, con i criteri stabiliti dall’art. 16 Tue. Nell’ipotesi di intervento realizzato in parziale difformità, l’oblazione è calcolata con riferimento alla parte di opera difforme dal permesso.

