Il Consiglio di Stato, nella
sentenza n. 3067 del 14 aprile 2021, trattando un ricorso contro il diniego di autorizzazione paesaggistica per
vincolo paesaggistico-archeologico, ha stabilito che:
“L’avvenuta edificazione di un’area o il suo degrado non costituiscono ragione sufficiente per escludere l’imposizione di un vincolo, e a maggiore ragione il giudizio di incompatibilità di un intervento con il vincolo esistente, che in sintesi va a limitare i danni ulteriori e a proteggere quanto rimasto dell’originario valore paesaggistico”.
Riclassificazione di area tutelata
Una società commerciale proprietaria di un lotto di terreno classificato dal Prg come zona E – di valorizzazione delle attività agricole e di tutela del paesaggio agrario, ove esercita da tempo un’attività di lavorazione del legno, aveva proposto istanza per ottenere la riclassificazione di questo terreno come “
zona D – sottozona D4.6 – per servizi privati di uso pubblico”, ovvero “zona per attrezzature di servizio sia a carattere generale che di quartiere con destinazione d’uso commerciale e/o direzionale, per essere autorizzata contestualmente a costruirvi un edificio costituito da un unico piano fuori terra con un porticato, negozi e uffici e magazzino, per complessivi 1.111,94 mq di superficie coperta.
Nell’ambito della conferenza di servizi, la
Soprintendenza aveva negato il proprio nulla osta, ritenendo “necessario preservare l’area – interessata dal
“bene lineare” corrispondente ad un tracciato viario di origine antica – da interventi che possano comprometterne il valore testimoniale di tipo archeologico”.
Diniego di autorizzazione paesaggistica, il ricorso della società
La società ricorreva in primo grado contro il diniego del nulla osta, sostenendo che l’area non è soggetta ad un vincolo di inedificabilità assoluta e l’intervento da lei progettato si sarebbe collocato “in un
contesto assolutamente urbanizzato e antropizzato … in stretta correlazione con altre attività commerciali esistenti immediatamente contigue e di notevoli dimensioni”; l’avere autorizzato questi interventi e non il proprio, che oltretutto si situerebbe in una depressione del terreno e sarebbe poco visibile, sarebbe in contraddizione con la dichiarata volontà di preservare il vincolo.
La Soprintendenza – sosteneva la ricorrente – avrebbe dovuto “chiaramente rilevare le caratteristiche delle costruzioni esistenti e di quelle autorizzate e il relativo impatto sul contesto di riferimento, operando poi un
confronto (motivato e circostanziato) tra l’immagine paesaggistica antecedente e quella successiva all’intervento richiesto”; non averlo fatto ha integrato “un evidente e grave difetto e grave contraddittorietà di motivazione” .
Il Tar accoglieva il ricorso stabilendo che
il parere negativo era immotivato, in quanto esso si limiterebbe “ad una mera descrizione del progetto ed all’assiomatica espressione di un giudizio di incompatibilità”, ma il Ministero impugnava la sentenza appellandosi al Consiglio di Stato, che ha ribaltato la decisione del Tar, respingendo il ricorso originario.
Zone di interesse archeologico e autorizzazione paesaggistica
La sentenza del Consiglio di Stato si basa sulla considerazione che il vincolo paesaggistico in esame è previsto dall’art. 142, comma 1, lettera m), del d. lgs. n. 42 del 22 gennaio 2004, per le “zone di interesse archeologico”, e risulta dal Piano territoriale paesistico regionale (Prpr) in base all’art. 13, comma 3, lettera a), della lr Lazio n. 24 del 6 luglio 1998, secondo il quale rientrano nelle aree di quel tipo “
le aree ed i beni puntuali e lineari nonché le relative fasce di rispetto individuati dai Ptp o dal Ptpr. Nello specifico, il vincolo riguarda un “tracciato viario di origine antica”, secondo logica da identificare con il tracciato della via Prenestina, notoriamente una strada di età imperiale romana.
Per i giudici del Consiglio di Stato – e per consolidata giurisprudenza – il provvedimento impugnato in primo grado è
espressione di un’ampia discrezionalità, sindacabile dal Giudice amministrativo di legittimità nei soli casi di esiti illogici ovvero abnormi; nel caso concreto, la finalità in esso dichiarata riguarda il mantenimento della testimonianza del passato, ovvero l’antico tracciato della via, che deve
rimanere percepibile nel paesaggio, mentre la nuova edificazione otterrebbe il risultato opposto, contribuendo a confondere il tracciato stesso allo sguardo dell’osservatore.
La nuova edificazione compromette il valore del tracciato
Infatti, sulla base delle fotografie satellitari, immediatamente a nord del tracciato della via Prenestina, in corrispondenza all’area interessata, si nota un’ampia zona di terreno ancora relativamente libera da costruzioni, che
lascia quindi percepire in modo distinto il tracciato stradale in linea con gli intenti della Soprintendenza. Inserire nel contesto stesso una nuova edificazione, estesa per oltre mille metri quadri di superficie coperta, compromette il valore testimoniale del tracciato. Tale conclusione certo
non è manifestamente illogica, priva quindi dei vizi che sarebbero sindacabili in appello. E ciò ha portato i giudici ad accogliere le argomentazioni del Ministero.
Inoltre, gli interventi rispetto ai quali è dedotta una disparità di trattamento sono di tipologia essenzialmente diversa da quella dell’intervento in causa, sì che il confronto sarebbe svolto comunque fra termini non omogenei.
Consiglio di Stato, sentenza n. 3067 del 14 aprile 2021