La salvaguardia dell’accumulo nevoso stagionale avrebbe salvato il Ghiacciaio della Marmolada?
Rischio idrogeologico
La salvaguardia dell’accumulo nevoso stagionale avrebbe salvato il Ghiacciaio della Marmolada?
I cambiamenti climatici e le previsioni sul glacialismo alpino nel contesto del quadro complessivo degli apparati glaciali italiani. L'analisi tecnica dell'efficacia della salvaguardia dell’accumulo nevoso stagionale
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La forte ondata di caldo e le alte temperature che stanno interessando la penisola e in particolare il Nord Italia hanno provocato domenica 3 luglio il crollo di un’ampia porzione di ghiacciaio (seracco) della Marmolada, causando la morte di 7 alpinisti. Proponiamo l’articolo estratto dalla Rivista “Prodotti – Tecnologie – Procedure” n. 2/2021, allegato a “Ambiente & Sviluppo” n. 12/2021 – IPSOA – Wolters Kluwer, in cui gli autori, Mauro Varotto – Prof. associato, Dipartimento di Scienze Storiche Geografiche e dell’Antichità dell’Università di Padova, e Francesco Ferrarese – Tecnico di elaborazione dati, Dipartimento di Scienze Storiche Geografiche e dell’Antichità dell’Università di Padova, offrono un’analisi tecnica dell’efficacia della salvaguardia dell’accumulo nevoso stagionale tramite l’impiego di teli geotessili di protezione dall’irraggiamento.L’articolo dal titolo “Esperienze di contrasto e mitigazione dei cambiamenti climatici: il ghiacciaio della Marmolada” è disponibile in download gratuito dopo questa introduzione descrittiva.
Il ghiacciaio della Marmolada, per la sua posizione, la morfologia e l’estensione si candida felicemente sia come rappresentativo della situazione di molti dei 900 ghiacciai italiani sia come osservatorio e studio di uno degli elementi più sensibili alle variazioni climatiche. Una lunga serie di studi e misurazioni per ricostruire l’evoluzione della superficie e del volume del ghiacciaio nell’ultimo secolo permettono di delineare con buona accuratezza l’andamento della sua evoluzione, tanto da poter azzardare date di eventuale estinzione dell’apparato glaciale in 15-30 anni.
I ghiacciai in Italia e le tendenze evolutive generali
Le previsioni sul glacialismo alpino presentate nel recente dossier del Centro Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici (Spano et al., 2020), con la preannunciata scomparsa di larghissima parte dei ghiacciai alpini prima della fine di questo secolo, sono un dato allarmante che influenzerà la nostra vita in modo diretto. Il global warming sta colpendo infatti in maniera particolare l’arco alpino, con un aumento medio di temperatura di circa 2°C registrato nel corso dell’ultimo secolo rispetto a valori che si attestano attorno ad 1 °C nell’emisfero nord (Spano et al., 2020).
Il termometro più fedele e preciso nel restituirci quanto sta avvenendo ad alta quota a seguito del riscaldamento planetario è dato dagli apparati glaciali, che risultano in complessivo arretramento dalla seconda metà dell’Ottocento, ma con una fase di forte accelerazione soprattutto negli ultimi trent’anni, periodo in cui la temperatura è tornata a crescere ad un ritmo sostenuto, più ancora di quanto fosse accaduto nel periodo “caldo” precedente, tra 1920 e 1950.
Nel Nuovo Catasto dei Ghiacciai Italiani (Smiraglia e Diolaiuti, 2015) vengono descritti complessivamente 903 ghiacciai – dei 3.770 di tutto l’arco alpino- che occupano un’area di 368 km2 e rappresentano uno stock di 116 miliardi di metri cubi d’acqua dolce.
Si tratta, comunque, di ghiacciai di dimensione piuttosto ridotta (in media 0,4 km2 per apparato glaciale): i ghiacciai con area maggiore di 1 km2 sono il 9,4% del totale e coprono una superficie del 68%. Solo tre ghiacciai appartengono alla classe areale più estesa (oltre 10 km2 ): il Ghiacciaio dell’Adamello tra Lombardia e Trentino, il Ghiacciaio dei Forni in Lombardia, il Ghiacciaio del Miage sul Monte Bianco in Valle d’Aosta; questi coprono il 10,3% dell’intera superficie glacializzata nazionale (Smiraglia e Diolaiuti, 2015, p. 28).
Il confronto tra i dati attuali e quelli della rilevazione precedente ad opera del CNR e del Comitato Glaciologico Italiano (1959- 1962) registra una riduzione della copertura dei ghiacciai superiore al 30%, scendendo da 526 a 368 km2; la banca dati del World Glacier Inventory segnala per lo stesso periodo una riduzione areale del 27%, ciò che evidenzia
come sul versante italiano la riduzione del glacialismo sia leggermente più accentuata rispetto alla media dell’intera catena alpina.
La crescita di numero degli apparati glaciali in Italia (dagli 835 apparati del primo Catasto ai 903 attuali) è pura apparenza, poiché le 68 unità in più rivelano la frammentazione tipica delle fasi di deglaciazione, in cui la suddivisione di ghiacciai ampi e complessi genera più sottobacini separati.
Un ghiacciaio rappresentativo: la Marmolada
In questo quadro complessivo, il ghiacciaio della Marmolada, il più esteso delle Dolomiti e uno dei più studiati ghiacciai delle Alpi, è rappresentativo di una vulnerabilità generalizzabile a buona parte degli apparati glaciali delle Alpi, per due motivi:
i) le caratteristiche fisiche del ghiacciaio in questione;
ii) le importanti implicazioni sociali ed economiche che tale evoluzione è destinata a
produrre sul territorio circostante.
Scarica l’allegato qui sotto e continua a leggere l’articolo.
Gli autori:
Mauro Varotto – Prof. associato, Dipartimento di Scienze Storiche Geografiche e dell’Antichità dell’Università di PadovaFrancesco Ferrarese – Tecnico di elaborazione dati, Dipartimento di Scienze Storiche Geografiche e dell’Antichità dell’Università di Padova