Erosione costiera e cambiamenti climatici: i rischi per le spiagge sabbiose

Il dissesto idrogeologico è un potente modificatore del paesaggio (guarda ad esempio i dati Ispra relativi al consumo di suolo in Italia e alle conseguenze). Nella loro virulenta forma presente, fenomeni come le frane, le inondazioni, l’erosione costiera sono stati definiti come malattia della civilizzazione, perché è la stessa evoluzione umana o meglio ancora il progresso tecnologico che hanno accelerato il lento decorso dei fenomeni naturali in maniera travolgente e preoccupante.
Va comunque sottolineato che tali fenomeni sono antichi come la Terra, anche se in molti casi l’uomo, nel corso del tempo, ha trasformato il territorio rendendolo molto più vulnerabile al verificarsi di eventi naturali distruttivi.
In tale contesto va subito premesso che prima di progettare e realizzare interventi riparativi o ricostruttivi occorre eseguire un’analisi approfondita del territorio ai fini della previsione, prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico che tenga conto della biodiversità, della geodiversità e dei processi naturali in continua evoluzione, prevedendo anche gli effetti sul paesaggio conseguenti alle stesse opere che si intendono eseguire.
Nell’ultimo cinquantennio, purtroppo, la dissipazione di risorse primarie e il non corretto uso del suolo hanno dato luogo ad una situazione di diffuso degrado che contribuisce ad amplificare gli effetti dei fenomeni distruttivi di origine naturale quali alluvioni, frane ed erosione della costa.
In generale, le cause dell’incremento del degrado e dei conseguenti danni vanno rinvenute negli attuali modelli di sviluppo sociale ed economico che amplificano la vulnerabilità degli insediamenti caratterizzati da localizzazioni pericolose, forme insediative non idonee e disfunzioni organizzative.
L’erosione della costa è, pertanto, il risultato diretto ed indiretto delle alterazioni del ciclo dei sedimenti determinate da cause naturali e antropiche.
I fenomeni erosivi possono essere suddivisi in due categorie: l’erosione a breve termine, di tipo reversibile, prodotta in genere dal trasporto di sedimenti verso il largo, associata alle mareggiate (con periodicità stagionale), e l’erosione a lungo termine dovuta normalmente a squilibri nel bilancio sedimentario originati dal trasporto solido litoraneo.
I fattori naturali hanno un ruolo di gran lunga predominante, soprattutto nel lungo periodo, e quelli più importanti sono: i venti e le tempeste, le correnti vicine alle spiagge, l’innalzamento del livello del mare, la subsidenza del suolo e l’apporto liquido e solido dei fiumi al mare.
L’erosione costiera, come può essere definita l’azione distruttiva naturale operata dal mare, si esplica attraverso una serie di processi che comprendono: la degradazione operata dalle acque marine al contatto con le rocce e i sedimenti dei litorali, la presa in carico di detriti sciolti, l’azione meccanica legata all’urto dell’onda sulla costa e l’azione di abrasione esercitata dai detriti presi in carico dalle onde e trascinati sul fondo o scagliati contro la costa. L’azione dell’abrasione, oltre a contribuire all’erosione, ha anche l’effetto di ridurre progressivamente la dimensione dei clasti (rocce sedimentarie, cd. “ciottoli”) che vengono prodotti dall’erosione stessa o che vengono apportati al mare da altri agenti morfologici (fiumi o ghiacciai).
I fattori indotti dall’uomo (antropici) includono:
- l’intensa antropizzazione delle coste (con la costruzione di porti, abitazioni, strutture ed infrastrutture);
- l’impoverimento dell’apporto di materiale solido dei fiumi causato dalla massiccia estrazione di materiale dagli alvei e dagli interventi di regimazione dei corsi d’acqua;
- i lavori di manutenzione eseguiti sulle spiagge: gli interventi effettuati con mezzi meccanici che giungono in profondità incrementano l’erosione costiera sulle spiagge sabbiose in quanto la rottura degli aggregati di sabbia libera le singole particelle di sedimento. Tali particelle trasportate dal vento vengono disperse e non possono essere più accumulate sulla spiaggia. Tuttavia, tali particelle non vengono perse dal sistema spiaggia solo se vengono trattenute dalla vegetazione, dai tronchi, da barriere frangivento o, ove possibile, dalla presenza della vegetazione sulle dune. Inoltre, l’uso di tali veicoli determina la variazione dei caratteri morfo-topografici e l’usura della spiaggia tale da modificarne la granulometria. Infine, tali interventi di manutenzione modificano il naturale profilo morfologico della spiaggia rendendola più vulnerabile alle mareggiate;
- la rimozione dei materiali spiaggiati: i materiali (ad es foglie, rami, tronchi, canne, materiale sminuzzato e conchiglie) accumulati sulle spiagge rappresentano un importante elemento di ripascimento naturale dell’arenile. I tronchi spiaggiati, infatti, esercitano un’azione di sostegno per la sabbia in quanto ostacolano l’erosione eolica e marina;
- gli stessi interventi di difesa: e ciò perché, in fase di pianificazione e progettazione di un’opera di difesa costiera, sarebbe necessario tenere conto, non solo dell’efficacia della stessa opera nel contrastare l’erosione, ma anche degli effetti che la sua presenza può generare sull’ambiente emerso e sommerso circostante.
Il cambiamento climatico e il clima
I cambiamenti climatici possono essere definiti come una variazione all’interno del sistema ambientale. Tale variazione si verifica quando l’equilibrio alla base del sistema viene meno: quando l’energia in entrata non eguaglia più l’energia in uscita. Tale variazione, quindi, si traduce in un incremento medio della temperatura terrestre ad opera dei gas ad effetto serra.
La Convenzione Quadro sul Cambiamento Climatico delle Nazioni Unite (UNFCCC) definisce il cambiamento climatico come un cambiamento del clima che sia attribuibile direttamente o indirettamente ad attività umane, che alterino la composizione dell’atmosfera planetaria e che si sommino alla naturale variabilità climatica osservata su intervalli di tempo analoghi. Tale definizione racchiude al suo interno due concetti fondamentali: la naturale variabilità climatica connessa ai complessi processi naturali esterni (cicli del sole e dell’orbita terrestre) e interni al pianeta (interazioni tra le unità geofisiche dell’atmosfera, dell’idrosfera, della criosfera, della terra solida e della biosfera); l’alterazione di tale complessa variabilità naturale attribuibile alle attività umane (antroposfera).
La quantità di anidride carbonica in atmosfera è in incremento in quanto il livello attuale dell’anidride carbonica è di circa 414 parti per milione (ppm), un valore record mai raggiunto in 15 milioni di anni. Tali dati dimostrano che siamo giunti a livelli che in passato erano associati a temperature ed a livelli del mare significativamente più elevati rispetto ad oggi.
Si stima, infatti, che entro il 2025 la CO2 giungerà a 427 ppm (1), valore osservato durante l’epoca geologica del Miocene (2).
A scala globale il 2019 è stato il secondo anno più caldo della serie storica dopo il 2016 e il quarantatreesimo anno consecutivo in cui l’anomalia ha assunto un valore positivo sia per quanto concerne la serie di temperature sulla terraferma che di quella sugli oceani. Infatti, nei primi mesi dello scorso anno l’anomalia positiva delle temperature superficiali del mare sul Pacifico tropicale, che si è poi dissolta nella seconda metà dell’anno, ha determinato una minore capacità da parte degli oceani, rispetto alla norma, di assorbire il calore sviluppato in atmosfera.
Per quanto concerne le regioni geografiche più calde si rileva che i valori record di temperatura sulla terraferma mensile o annuale si sono registrati in Asia nord-orientale, in Alaska e zone limitrofe e in Europa centro-orientale. In Australia, in Brasile meridionale, in Africa sud-occidentale, in Madagascar, a Hong Kong e in Oceania le anomalie termiche sono state meno intense, ma presentano comunque dei valori massimi record rispetto alle osservazioni disponibili. Infine, le aree centrali del Nord America, il Pakistan e alcune isole dell’Indocina e l’Oceania sono state invece interessate da anomalie termiche negative.
Sugli oceani, invece, le anomalie positive più intense sono state registrate nel Pacifico settentrionale ed a Est della costa del Giappone, mentre quelle negative, più rilevanti, sono state osservate nella parte orientale del Pacifico meridionale, nelle aree settentrionali dell’Atlantico centrale e in varie aree dell’Oceano Antartico.
Per gli oceani, in particolare, si rileva (3) che si sono riscaldati progressivamente tra il 1955 e il 1986, mentre nel periodo tra il 1987 e il 2019 il processo è stato 4.5 volte maggiore rispetto alla fase precedente. Infatti, lo scorso anno per le temperature dei mari si è osservato un incremento di 0.075 gradi rispetto alla media del periodo 1981 – 2010. Tale variazione, seppur di minore entità, è rilevante in quanto indica che gli oceani hanno assorbito un’elevata quantità di calore presente nell’atmosfera terrestre.
Gli effetti del cambiamento climatico
Un aspetto cruciale da considerare è l’asimmetria degli effetti dei cambiamenti climatici: i paesi situati alle latitudini medio – basse che sono anche quelli più poveri e vulnerabili, risultano più esposti al cambiamento e con una minor capacità adattativa. Il cambiamento climatico, quindi, accentua ed incrementa il divario tra il nord e il sud del pianeta.
Il riscaldamento della Terra determina lo scioglimento della criosfera, l’innalzamento del livello dei mari, l’acidificazione degli oceani, la desertificazione, la perdita di biodiversità, il deterioramento della qualità dell’acqua, la progressiva carenza di risorse idriche, la diminuzione della precipitazione annua, la diminuzione del deflusso fluviale, l’incremento dei fenomeni di dissesto idrogeologici e degli incendi boschivi, la diminuzione delle rese colturali, il maggior numero di decessi per ondate di calore, l’incremento delle malattie legate allo spostamento su scala geografica di persone, animali e merci.
Per quanto riguarda gli oceani, il cambiamento climatico determina un doppio colpo poiché non solo riscalda l’oceano (4) assorbendo parte dell’aumento della temperatura atmosferica, ma assorbe anche circa un terzo dell’aumento di CO2, che reagisce con l’acqua per produrre acido carbonico. Gli oceani, quindi, aiutano a ridurre l’anidride carbonica atmosferica ed a rallentare il riscaldamento globale, ma con conseguenze negative importanti per la chimica e la biologia degli oceani.
L’innalzamento del livello del mare avrà un notevole impatto sulle zone costiere in quanto determinerà inondazioni intense, erosione costiera, mareggiate e l’incremento di intrusione salina. L’innalzamento del livello del mare minaccia oltre 12 mila chilometri di spiagge sabbiose. Le spiagge sabbiose rappresentano circa il 30% delle coste del pianeta e svolgono un’importante funzione in quanto forniscono importanti habitat per le specie e proteggono la costa e gli ecosistemi dalle onde e dalle inondazioni marine.
Se si considera un lasso di tempo superiore si rileva che al 2100 gli arenili sommersi o fortemente danneggiati dall’erosione costiera rappresenteranno il 13,6% delle coste dei 5 continenti, circa il 25,7% delle coste sabbiose e il 40% delle spiagge australi. Infine, la riduzione delle precipitazioni associata con l’aumento del livello del mare causerà una diminuzione del volume utilizzabile di acqua.
L’innalzamento di temperatura degli strati superficiali del mare determina un incremento della differenza termica rispetto agli strati profondi. La stratificazione verticale più marcata e profonda causa una ventilazione ridotta e l’instaurarsi di condizioni di anossia. La variazione del regime termico delle acque modifica le comunità ittiche: le specie ad affinità calda sono in espansione, mentre quelle fredde sono in netta contrazione. Sulla base dell’optimum termico delle specie e degli scenari di cambiamento della temperatura superficiale si prevede che gran parte dei pesci costieri sposteranno l’areale di distribuzione di circa 70 Km verso nord o in acque profonde.
L’innalzamento della temperatura, inoltre, determina il bleaching o lo sbiancamento della grande barriera corallina australiana, patrimonio mondiale dell’Unesco (5), che si estende per 2300 km al largo della costa nord-est dell’Australia. Tale fenomeno si verifica quando le alghe che vivono in simbiosi con i coralli (6) – responsabili dei loro colori sgargianti e della loro alimentazione – espellono le micro-alghe, cd. zooxantelle, a causa dello stress da calore prolungato.
L’allontanamento delle micro-alghe determina lo sbiancamento dei coralli e la perdita dei prodotti di scarto della fotosintesi, la loro principale fonte di cibo. Inoltre, tale processo può determinare tassi di crescita stagnanti, diminuzione della capacità riproduttiva, aumento della suscettibilità alle malattie, calo della diversità genetica e delle specie. I coralli hanno bisogno di almeno 10 anni per riprendersi da un evento di sbiancamento. Infatti, nel 2016 il 93% dei coralli della grande barriera corallina è stato soggetto a sbiancamento e il 22% è poi scomparso.
Il 2020 rappresenta il quarto anno (7) in cui si è verificato lo sbiancamento della barriera corallina a causa dell’incremento delle temperature del mare.
La difesa dei litorali contro l’erosione costiera: il tecnoreef e la barriera corallina
Per limitare l’erosione costiera esistono due fondamentali approcci: opere di tipo morbido e quelle di tipo rigido.
L’approccio con opere di tipo morbido prevede la stabilizzazione della linea di costa attraverso l’utilizzo di ripascimenti artificiali, che consistono nel versamento di materiale granulare, di caratteristiche compatibili con quelle del materiale nativo.
Fra gli interventi di tipo rigido possono annoverarsi: opere parallele alla linea di riva (longitudinali) e da questa distanziate, opere perpendicolari alla costa (pennelli), opere parallele ed aderenti alla riva (radenti), sistemi di difesa a T, muri di protezione e combinazioni dei tipi precedenti. Gli interventi rigidi e quelli morbidi rientrano nelle opere di difesa costiera convenzionali.
Esistono, inoltre, sistemi di difesa costiera non convenzionali, come, ad esempio, il sistema di drenaggio B.M.S (Beach Management System),i contenitori in geotessuto riempiti con sabbia prelevata in sito e gli Artificial Reef.
I pennelli: opere di difesa trasversali
I pennelli sono opere di difesa trasversali, ovvero di tipo attivo – rigido, con la funzione primaria di intercettare le correnti litoranee ed interrompere in toto o parzialmente il trasporto solido longitudinale. In sintesi, gli effetti che i pennelli possono produrre sulla dinamica costiera locale dipendono dalle caratteristiche geometriche e dal loro orientamento rispetto alla direzione media del moto ondoso. In particolare: l’interruzione o la discontinuità del trasporto solido litoraneo con trasferimento del fenomeno dell’erosione sottoflutto; la formazione di protendimenti nella zona sovraflutto e di arretramenti più o meno marcati nella zona sottoflutto (downdrift); la deformazione della linea di riva, che tende a orientarsi ortogonalmente alla direzione media del moto ondoso sottocosta; la modificazione del profilo di spiaggia sopraflutto, che tende a divenire sempre più ripido in prossimità della struttura per l’accumulo di detriti grossolani e del profilo di spiaggia sottoflutto in funzione dell’entità delle variazioni della granulometria dei sedimenti presenti e la formazione di correnti di ritorno (rip currents), aderenti al pennello e/o tra un pennello e l’altro, che possono compromettere la stabilità dell’opera e deviare le correnti litoranee, talora con perdite localizzate dei sedimenti trasportati verso il largo.
I frangiflutti
I frangiflutti sono, in genere, realizzati in gruppi di elementi di lunghezza modesta, separati da varchi aventi lo scopo di consentire lo scambio delle acque, l’ingresso dei sedimenti o il transito di piccoli natanti. A seconda della quota a cui è posta la sommità dei frangiflutti, essi si distinguono in emergenti o sommersi, anche se frangiflutti abitualmente emergenti, possono comunque essere efficaci in condizioni di alta marea sebbene con forte tracimazione, come pure, talvolta, quelli sommersi in bassa marea. Dette opere possono essere fisse, galleggianti o ancorate al fondo. La scelta è in funzione della profondità delle acque e dell’intensità delle maree. I frangiflutti dissipano l’energia dell’onda frangente originando sul lato terra una zona di bassa agitazione, cd. di ombra, dove tende a depositarsi il materiale trasportato lungo riva dall’azione combinata dell’onda e delle correnti. La formazione di tale accumulo, che in alcuni casi può diventare un vero e proprio tombolo realizzando la connessione tra la spiaggia e la barriera, ha l’effetto di impedire il transito lungo riva delle correnti litoranee e rende la barriera funzionalmente simile ad un pennello. In presenza di una forte deriva litoranea, il deposito a tergo della barriera induce un avanzamento della riva protetta, a cui fa riscontro un’erosione comparabile sulle spiagge adiacenti.
Tra i sistemi di difesa non convenzionali i reef rappresentano una soluzione ottimale per proteggere la costa, ridurre l’erosione ed incrementare la biodiversità. I reef possono essere artificiali (i.e. tecnoreef) e naturali (barriere coralline).
L’approccio al tecnoreef si basa su un’idea semplice: non fermare la forza del mare, bensì assorbirla. La struttura aperta permette all’onda di entrare all’interno dove, generando diverse turbolenze, ne esce sensibilmente indebolita (-50%). Infatti, il gradiente di permeabilità delle strutture, ovvero il rapporto fori – superficie, permette alla piramide di essere efficace ed efficiente allo stesso tempo senza diventare nel contempo un manufatto che opponga una resistenza rigida alla forza impattante.
Detta tecnologia scompone l’energia del moto ondoso e, al contempo, svolge la funzione di una vera e propria nursery area, ovvero una struttura in grado di proteggere le specie ittiche.
La struttura costituente il tecnoreef è sempre composta “su misura” e si adatta alle caratteristiche geomorfodinamiche del sito di applicazione.
I moduli posti alla base della struttura scaricano sul fondale le tensioni verticali indotte dal peso di un qualsiasi punto della struttura stessa e le loro pareti inclinate si ancorano sul fondo in modo stabile e definitivo. I moduli sono in grado di resistere alle spinte delle correnti e agli effetti di trascinamento delle reti. Allo stesso tempo, dato che la base della struttura è sempre, in qualsiasi composizione, più ampia del culmine, la forza scaricata su ogni singola piastra di base non è mai eccessiva, evitando così l’affondamento della struttura nel fondale. La presenza di fori a varie inclinazioni garantisce la presenza della luce solare all’interno della struttura e il conseguente sviluppo di biofouling, ovvero la colonizzazione da parte di organismi sessili animali e vegetali che, mediante le spore, larve e forme giovanili, entrano in contatto con le superfici dure e vi si insediano stabilmente. Le aperture devono essere di dimensioni proporzionate alle superfici delle strutture, in genere non inferiore al 50% delle superfici.
Il calcestruzzo adoperato è costituito solo da elementi naturali, come sabbia lavata e ghiaia spezzata. Per la posa delle strutture si può utilizzare qualsiasi tipo di imbarcazione, dal gommone al pontone, con o senza gru. la durata in servizio è ampiamente superiore ai 50 anni.
Il tecnoreef può essere impiegato per l’antierosione costiera, la rinaturalizzazione e riqualificazione dell’ambiente marino, l’impedimento meccanico della pesca a strascico, il contenimento della sabbia, il ripopolamento ittico, l’attecchimento corallino e la protezione e non alterazione della Poseidonia. Detta tecnologia permette di dissipare l’energia del moto ondoso, favorire la deposizione del sedimento tra barriera e spiaggia, garantire un buon ricambio delle acque nelle zone protette, accrescere la biodiversità del sistema, con l’introduzione di nicchie ecologiche diversificate in funzione della luce, della profondità e della temperatura, sviluppare, specialmente in acque eutrofiche, una biomassa, come ad esempio mitili, ostriche ed altri organismi sessili. I vantaggi nell’utilizzo del tecnoreef sono la rapidità di fornitura dei moduli (30 gg. lavorativi); la facilità economica del trasporto, assemblaggio ed immersione dei moduli; la stabilità elevata; la capacità autoancorante e l’antiaffondamento dei moduli; l’elevata resistenza all’azione del mare; la riduzione dei costi di posa in opera; l’elevata durata in servizio (50 anni); l’insediamento di forme larvali; il flusso continuo di acqua all’interno delle strutture con conseguente apporto di sostanze nutritive e sviluppo di organismi filtratori; l’impiego di calcestruzzo ecologico, cd. “sea – friendly”, e la possibilità di riposizionare e sollevare la struttura. L’opera non interferisce con eventuali interventi di ripascimento presenti o futuri. Infine, la morfologia dei fondali non subirà modificazioni.
Tra i reef si annoverano anche le barriere coralline. Infatti, tali formazioni, oltre ad essere preziosissime per le specie marine, proteggono la costa dagli effetti delle tempeste e dall’erosione. Le barriere coralline sono in grado di assorbire fino al 97% dell’energia del moto ondoso. Inoltre, la cresta della barriera è in grado da sola di dissipare già l’86% di tale energia. La conservazione, la protezione e il ripristino delle barriere coralline risulta essere più conveniente e efficiente rispetto alle opere di difesa tradizionali come, ad esempio, i frangiflutti. La protezione delle barriere coralline può essere realizzata effettuando il flusso genico assistito, ovvero realizzando degli incroci con coralli tolleranti al calore. Nel dettaglio, i coralli cresciuti in laboratorio vengono trapiantati in piattaforme artificiali costruite sul suolo marino. Successivamente tali coralli si sviluppano e si attaccano alle barriere coralline esistenti.
Erosione costiera: cosa devono sapere istituzioni e tecnici
Si ritiene utile e d’interesse, proporre qui di seguito taluni principi e considerazioni di carattere generale di cui dovrebbero tener conto le istituzioni, gli amministratori pubblici e privati, i tecnici e tutti i soggetti coinvolti nell’assumere le decisioni in materia.
- La difesa dei litorali va inserita all’interno di un contesto d’azione integrata a medio – lungo termine in cui devono essere considerati gli effetti indiretti, che riducono la resilienza delle spiagge, e quelli diretti causati dall’erosione costiera e dai cambiamenti climatici.
- Gli interventi di difesa devono essere integrati in un piano che deve includere criteri di sviluppo sostenibile e tutela ambientale in quanto la conservazione dei litorali sabbiosi ben sviluppati e il contrasto all’erosione costiera rappresentano, in genere, una strategia di difesa e di riduzione del rischio di inondazione dei territori costieri.
- Qualsiasi opera di difesa costruita sugli arenili o sommersa, in qualunque punto essa si trovi e indipendentemente dal tipo adottato, rappresenta sempre un ostacolo al libero movimento delle acque marine lungo il litorale, sia che tale movimento si manifesti sotto forma di corrente sia che esso sia dovuto al moto ondoso.
Le opere di difesa, quindi, devono essere conformate in modo che i suddetti movimenti delle acque possano superare l’opera e proseguire oltre, sia pure modificati e ridotti. - Nella progettazione di un opera di difesa occorre tenere nella debita considerazione e valutare opportunamente le caratteristiche dei movimenti migratori dei materiali litici, con attenzione al senso nel quale in prevalenza tali movimenti si verificano; la posizione, rispetto all’opera da costruire, delle fonti di rifornimento dei materiali e dalle ripartizione di essi lungo gli arenili dovuta alle caratteristiche del litorale; nonché ai movimenti delle acque marine in prossimità del litorale stesso; la composizione granulometrica dei materiali e la quantità degli stessi che mediamente persiste nella zona.
- Occorre pertanto evitare di contrastare eccessivamente i movimenti naturali delle acque marine, cercando di assecondarli il più possibile, favorire la normale tendenza del mare al ripascimento, nel senso di non impedire del tutto l’azione di trascinamento dei materiali sciolti lungo l’arenile ad opera delle correnti di riva e non ostacolare il raggiungimento dell’arenile stesso da parte dei materiali sciolti, nella zona dei frangenti, dal moto ondoso e da questo trascinati in sospensione verso la riva.
- Nella progettazione di una difesa è necessario esaminare attentamente l’opportunità o meno di prevedere la sua esecuzione in un’unica fase oppure in più fasi in relazione sia alla tendenza dell’opera a modificare i processi naturali che si verificano in quella zona del litorale sia all’entità delle difese stesse.
- Occorre introdurre il divieto di operare ampliamenti, anche stagionali, della superficie dell’arenile verso il mare abbassando la quota esistente, o stabilita, della spiaggia e quello di asportazione dei tronchi spiaggiati in modo che possano esercitare funzioni di contrasto all’azione del mare e del vento nonché di trappola per i sedimenti.
- Occorre introdurre una fascia di rispetto in zona costiera che ne garantisca la tutela attiva per contrastare la sempre crescente domanda di trasformazione del suolo.
- Occorre introdurre buone pratiche per la pulizia degli arenili poiché permettono di ridurre le perdite dal sistema spiaggia. A titolo di esempio, il veicolo pulisci spiaggia, cd. “Solarino” (8), a controllo remoto e a propulsione solare è in grado di ridurre al minimo sino quasi ad annullare qualsiasi impatto sul sistema spiaggia. Tale veicolo non determina l’usura e la compattazione della spiaggia. Tale veicolo è fondamentale in quanto tutela l’integrità funzionale dei sistemi mobili costieri adibiti ad uso turistico. È bene ricordare, infatti, che le spiagge sabbiose sono continuamente sottoposte all’azione del moto ondoso e del clima. Inoltre, la loro morfologia è dinamica e non statica.
Bibliografia
(1) Il team di ricercatori dell’Università di Southampton ha studiato i livelli di CO2 durante il Pliocene utilizzando i livelli di boro presenti in fossili di piccole dimensioni trovati nel Mar dei Caraibi.
(2) Durante il Miocene le temperature erano più elevate di 3-4 ºC rispetto a quelle attuali ed il livello del mare era alto 20 metri in più rispetto ad oggi.
(3) Fonte: rivista scientifica Advances in Atmospheric Sciences.
(4) Il carbonio è un elemento ubiquitario sulla terra ed è contenuto in differenti serbatoi, quali l’atmosfera, la pedosfera, la geosfera e l’idrosfera. Gli scambi di carbonio tra i diversi serbatoi sono indotti da una serie di meccanismi aventi scale temporali diverse. La maggior parte del carbonio della terra è immagazzinato nelle rocce, ma tale carbonio è inerte ed i tempi di migrazione tra serbatoi sono molto elevati (centinaio e migliaia di anni). I serbatoi attivi in grado di immagazzinare il carbonio in forme più facilmente scambiabili, invece, sono gli oceani, i suoli, l’atmosfera e la vegetazione. Nel dettaglio, il più grande serbatoio di carbonio è rappresentato dall’acqua profonda dell’oceano. I mari, infatti, contengono circa 36.000 miliardi di tonnellate di carbonio, in gran parte sotto forma di ione bicarbonato. Il carbonio è scambiato rapidamente tra l’atmosfera e l’oceano.
(5) Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura.
(6) La grande barriera corallina è costituita da più di 2.900 singole barriere coralline. Tali barriere sono composte da milioni di polipi. Alla base dei polipi si forma una dura struttura scheletrica che origina le forme dei coralli. Le barriere coralline sono costituite da più di 800 specie di coralli differenti che ospitano circa il 25% delle specie marine.
(7) La barriera corallina australiana ha subito gravi sbiancamenti nel 2002, 2016 e 2017.
(8) Rivista SIGEA n. 2/2020.