Rischio chimico

Sostanze chimiche preoccupanti: la CGUE ribadisce i criteri per l’inclusione nell’elenco delle SVHC

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Le conclusioni dell’avvocato generale della Corte di Giustizia europea nella causa C-323/15 P ribadiscono i criteri per l’inclusione di sostanze chimiche preoccupanti nell’elenco delle SVHC, con particolare riferimento alle proprietà di sensibilizzazione.

I presupposti

Com’è noto, da qualche anno l’Unione europea ha rinnovato e potenziato il sistema di gestione dei rischi da sostanze chimiche attraverso i regolamenti REACh e CLP ed i provvedimenti derivati.

Uno strumento di particolare importanza nell’attuale sistema è costituito dall’individuazione delle “sostanze di particolare preoccupazione” (SVHC) ovvero sostanze che presentano intrinseche proprietà pericolose o di livello elevato o per cui non sia possibile individuare una dose-soglia espositiva in grado di tutelare con ragionevole certezza la salute di chi viene esposto, come nel caso delle sostanze che agiscono con meccanismo di tipo probabilistico.

Le sostanze individuate come SVHC rispondono a diversi criteri, individuati all’art. 57 di REACh:

– cancerogeni certi (Carc. 1A) o probabili (Carc. 1B) in base ai criteri di classificazione;

– mutageni certi (Muta. 1A) o probabili (Muta. 1B) in base ai criteri di classificazione;

– reprotossici certi (Repr. 1A) o probabili (Repr. 1B) in base ai criteri di classificazione;

– sostanze PBT ovvero persistenti e bioaccumulanti in base ai criteri definiti dall’allegato XIII di REACh ed inoltre tossiche in base ai criteri di classificazione;

– sostanze vPvB ovvero molto persistenti e molto bioaccumulanti in base ai criteri definiti dall’allegato XIII di REACh

– sostanze che pur non rientrando nei precedenti punti possono dare adito ad un livello di preoccupazione elevato ed equivalente a quello di sostanze CMR, come ad esempio i perturbatori endocrini (EDC, per i quali la Commissione Ue deve ancora individuare precisi criteri di identificazione) o i sensibilizzanti per le vie respiratorie (Resp. Sens. 1 in base ai criteri di classificazione).

L’ultimo punto può risultare controverso, dal momento che l’analisi viene effettuata caso per caso dall’Agenzia europea in base a segnalazioni giunte dai programmi di sorveglianza degli Stati membri o dal programma europeo CoRAp per la valutazione approfondita dei rischi chimici prioritari. Tuttavia al momento della proposta di inclusione viene sempre aperta una consultazione pubblica on-line, aperta al contributo di tutte le parti interessate in particolar modo con lo scopo di considerare ulteriori informazioni sugli utilizzi specifici rispetto a quelle in possesso di ECHA – che giungono essenzialmente dalla registrazione REACh – e di acquisire dall’industria osservazioni su specificità tecniche, possibili alternative di prodotto o di processo, tempistiche di attuazione dei provvedimenti di autorizzazione e richieste di esenzione rispetto a particolari utilizzi ritenuti a minor impatto o privi di ragionevoli alternative.

L’inclusione di una sostanza nella lista delle SVHC rappresenta, potenzialmente, il primo passaggio verso provvedimenti più restrittivi ed in modo particolare l’autorizzazione all’uso, oltre a porre precisi adempimenti a carico dei produttori/importatori di articoli che dovessero contenere quella data sostanza.

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L’oggetto del contendere

Nel 2012, su proposta dei Paesi Bassi successivamente vagliata dai comitati scientifici di ECHA, le sostanze HHPA (anidride trans-cicloesan-1,2-dicarbossilica, CAS 14166-21-3) e MHHPA (anidride esaidro-3-metilftalica, CAS 57110-29-9) sono state incluse con provvedimento ED/169/2012 nella lista delle SVHC in base al criterio del “livello di preoccupazione equivalente” grazie alle loro comprovate proprietà di forte sensibilizzazione respiratoria e cutanea.

In seguito, nel 2015, ECHA ne ha raccomandato l’avvio all’autorizzazione con priorità elevata.

Si tratta di due sostanze ampiamente utilizzate nell’industria chimica, come intermedi di sintesi e nella manifattura di resine poliestere ed alchiliche; plasticizzanti ed adiuvanti di polimerizzazione nella produzione di polimeri termoplastici; indurenti per resine epossidiche; inibitori di corrosione; nella fabbricazione di materiali compositi per le industrie elettrica ed aerospaziale e nella produzione di repellenti per insetti.

Due società chimiche europee hanno contestato la decisione di inclusione delle due anidridi nell’elenco SVHC, presentando istanza al Tribunale dell’Unione europea per un annullamento parziale; essendo l’istanza stata respinta, le stesse società sono state condannate a pagare le spese processuali ed hanno dunque presentato un successivo ricorso alla Corte di Giustizia europea (procedimenti C-323/15 P e C-324/15 P).

Le conclusioni dell’Avvocato generale incaricato dalla Corte nel procedimento C-324/15 P sono state rese disponibili il 28 settembre 2016 e rigettano nuovamente le argomentazioni apportate dalle industrie.

Molto interessanti risultano le argomentazioni del documento, perché chiarificano una volta di più non solo i criteri di individuazione delle SVHC, ma anche le differenze tecniche e metodologiche tra i diversi passaggi di REACh – i cui innovativi contenuti, probabilmente, non sono stati tutt’ora pienamente appresi da tutti i soggetti coinvolti: infatti si deve constatare, purtroppo, che tutte le motivazioni addotte dalle due aziende presentanti ricorso nascano da interpretazioni errate del testo del regolamento.

Risulta esemplare, ad esempio, un passaggio in cui la Corte delinea la fondamentale differenza che esiste tra “individuare i pericoli” e “valutare i rischi”: un punto metodologico il cui significato sarebbe da tempo dovuto entrare nel modus operandi di ogni realtà industriale, dal momento che non è certo stato introdotto tramite REACh ma quantomeno dai tempi della valutazione dei rischi.

Questa differenziazione viene chiaramente definita non solo nella direttiva madre sulla VdR, ma anche in diverse norme tecniche che, come noto, costituiscono lo standard tecnico-scientifico a cui riferirsi nell’applicazione della legislazione: ad esempio, nella norma UNI EN ISO 12100-1 si trovano le seguenti definizioni:

Pericolo: fonte di possibili lesioni o danni alla salute;

Rischio: combinazione di probabilità e di gravità di possibili lesioni o danni alla salute in una situazione pericolosa;

Valutazione del rischio: valutazione globale della probabilità e della gravità di possibili lesioni in una situazione pericolosa, al fine di scegliere le adeguate misure di sicurezza.

L’individuazione dei pericoli è quindi distinta e preliminare alla valutazione dei rischi; i due diversi procedimenti compaiono anche in diversi ambiti della metodologia di gestione definita dal REACh, dove, relativamente alle SVHC:

– l’individuazione dei pericoli coincide col procedimento che, per una data sostanza, esamina le evidenze di pericolosità di elevato livello verso la salute o l’ambiente scaturite nella fase di registrazione delle sostanze chimiche e permette di definirne o meno l’inclusione nell’elenco; l’approccio tecnico adottato è sì orientato al rischio – in quanto viene considerata anche la diffusione di utilizzo e se il processo sia o meno dispersivo, consentendo di individuare una gerarchia di intervento rivolta alle sostanze preoccupanti – ma è cosa diversa dalla specifica valutazione del livello di rischio che richiede di essere svolta caso per caso;

– la valutazione dei rischi dovrà invece individuare il potenziale di magnitudo e probabilità dell’evento dannoso associato alla presenza di un dato pericolo, in base alle modalità operative ed alle misure di gestione adottate; si tratta dunque del passaggio necessario a richiedere l’autorizzazione all’uso una volta che una SVHC sia stata inclusa nell’allegato XIV di REACh ed occorra dunque dimostrare caso per caso che il livello di rischio nel proprio utilizzo sia contenuto entro un livello di accettabilità, definito dai valori-limite di riferimento DNEL per l’esposizione dell’uomo e PNEC per quella nei confronti dell’ambiente.

Le aziende ricorrenti avevano invece contestato la decisione di ECHA di includere le due sostanze nelle SVHC in base alla considerazione che ECHA avrebbe dovuto considerare che il livello di rischio nei processi tipici di utilizzo delle stesse fosse adeguatamente controllato grazie all’utilizzo del ciclo chiuso: passaggio che invece nell’impianto normativo di REACh spetta all’industria.

Risulta evidente nelle motivazioni delle ricorrenti, la confusione di procedure e finalità dei due distinti passaggi del percorso e inoltre la mancata comprensione che l’individuazione delle SVHC rappresenta il passaggio preliminare alla messa a punto su scala europea di appropriati provvedimenti per la gestione del rischio derivante.

Causa C-323/15 P – Conclusioni Avvocato generale 28 settembre 2016

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