Edifici abbandonati, in Lombardia incentivi per il recupero
Recuperare il costruito e gli edifici abbandonati in una logica virtuosa di recupero e riuso del patrimonio immobiliare. Il Consiglio regionale della Lombardia ha approvato a maggioranza la Legge regionale n. 18 del 26 novembre 2019, recante “Misure di semplificazione e incentivazione per la rigenerazione urbana e territoriale, nonché per il recupero del patrimonio edilizio esistente”.
La legge prevede incentivi e meccanismi di semplificazione. L’obiettivo è favorire il recupero di edifici abbandonati e per prevenire il degrado urbano, modifica e integra la Lr n.12 dell’11 marzo 2005, (Legge per il governo del territorio) e altre leggi regionali, ed è pubblicata sul Supplemento al Burl n. 48 del 29 novembre 2019.
Edifici abbandonati e non solo: finalità della legge
La legge n. 18/2019 riconosce gli interventi finalizzati alla rigenerazione urbana e territoriale, riguardanti ambiti, aree o edifici abbandonati, quali azioni prioritarie per:
- ridurre il consumo di suolo,
- migliorare la qualità funzionale,
- ambientale e paesaggistica dei territori e degli insediamenti.
Ma anche per migliorare le condizioni socio-economiche della popolazione. Mediante lo sviluppo di una filiera industriale integrata dalla fase di progettazione a quella di realizzazione e gestione dell’intervento.
Edifici abbandonati e rigenerazione urbana e territoriale
La rigenerazione urbana è l’insieme coordinato di interventi urbanistico-edilizi e di iniziative sociali che possono includere:
- la sostituzione,
- il riuso,
- la riqualificazione dell’ambiente costruito,
- la riorganizzazione dell’assetto urbano.
Questo attraverso il recupero delle aree degradate, sottoutilizzate o anche dismesse, nonché attraverso la realizzazione e gestione di attrezzature, infrastrutture, spazi verdi e servizi e il recupero o il potenziamento di quelli esistenti. L’ottica è quella di sostenibilità e di resilienza ambientale e sociale, di innovazione tecnologica e di incremento della biodiversità dell’ambiente urbano.
La rigenerazione territoriale è invece l’insieme coordinato di azioni, generalmente con ricadute sovralocali, finalizzate alla risoluzione di situazioni di:
- degrado urbanistico,
- infrastrutturale,
- ambientale,
- paesaggistico,
- sociale.
L’obiettivo è salvaguardare e ripristinare il suolo e le sue funzioni ecosistemiche e a migliorare la qualità paesaggistica ed ecologica del territorio. Nonché dei manufatti agrari rurali tradizionali. Questo per prevenire conseguenze negative per la salute umana, gli ecosistemi e le risorse naturali.
Il Piano territoriale regionale (Ptr) è il piano di riferimento per la coerenza delle politiche regionali e dei piani e programmi di settore con ricadute territoriali, nonché degli strumenti della pianificazione urbanistica e territoriale ai vari livelli. Attraverso il Ptr vengono definiti specifici criteri riguardanti, in particolare:
- le caratteristiche delle aree della rigenerazione,
- le strategie, gli strumenti e le modalità di attuazione alle diverse scale regionale, d’area vasta e comunale.
Gli ambiti di intervento
I comuni, con deliberazione consiliare, anche sulla base di segnalazioni motivate e documentate, devono individuare entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge regionale, gli immobili di qualsiasi destinazione d’uso, dismessi da oltre cinque anni, che causano criticità per uno o più dei seguenti aspetti: salute, sicurezza idraulica, problemi strutturali che ne pregiudicano la sicurezza, inquinamento, degrado ambientale e urbanistico-edilizio.
La legge si applica, anche senza la deliberazione, agli immobili già individuati dai comuni come degradati e abbandonati, e agli immobili non individuati dall’ammnistrazione, per i quali il proprietario, con perizia asseverata giurata, certifichi, oltre alla cessazione dell’attività, documentata anche mediante dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà a cura della proprietà o del legale rappresentante, anche uno o più degli aspetti critici, mediante prova documentale e/o fotografica.
Agli interventi connessi con le politiche di rigenerazione urbana previste nei Pgt, è riconosciuta una premialità nella concessione dei finanziamenti regionali di settore, anche a valere sui fondi della programmazione comunitaria.
La Carta del consumo di suolo
Le questioni degli edifici abbandonati e del consumo di suolo sono intimamente connesse. In Lombardia ciascuna amministrazione comunale individua e quantifica, con la Carta del consumo di suolo, la superficie agricola, ivi compreso il grado di utilizzo agricolo dei suoli e le loro peculiarità pedologiche, naturalistiche e paesaggistiche, le aree dismesse, contaminate, soggette a interventi di bonifica ambientale e bonificate, degradate, inutilizzate e sottoutilizzate, i lotti liberi, le superfici oggetto di progetti di recupero o di rigenerazione urbana; tale elaborato costituisce parte integrante di ogni variante del Pgt che prevede consumo di suolo o anche un nuovo documento di piano.
L’approvazione della Carta del consumo di suolo costituisce presupposto necessario e vincolante per la realizzazione di interventi edificatori, sia pubblici sia privati, sia residenziali, sia di servizi sia di attività produttive, comportanti, anche solo parzialmente, consumo di suolo.
Gli incentivi per il recupero degli edifici abbandonati
Gli interventi sugli immobili abbandonati usufruiscono di un incremento del 20 per cento dei diritti edificatori derivanti dall’applicazione dell’indice di edificabilità massimo previsto o, se maggiore di quest’ultimo, della superficie lorda esistente e sono inoltre esentati dall’eventuale obbligo di reperimento di aree per servizi e attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale, a eccezione di quelle aree da reperire all’interno dei comparti edificatori o degli immobili oggetto dell’intervento, già individuate all’interno degli strumenti urbanistici. Nei casi di demolizione, l’incremento dei diritti edificatori del 20 per cento si applica per un periodo massimo di dieci anni dalla data di individuazione dell’immobile quale dismesso.
E’ riconosciuto un ulteriore incremento dell’indice di edificabilità massimo previsto dal Pgt o rispetto alla superficie lorda (SL) esistente del 5 per cento per interventi che assicurino una superficie deimpermeabilizzata e destinata a verde non inferiore all’incremento di SL realizzato, nonché per interventi che conseguano una diminuzione dell’impronta al suolo pari ad almeno il 10 per cento. A tal fine possono essere utilizzate anche le superfici situate al di fuori del lotto di intervento, nonché quelle destinate a giardino pensile.
Procedura
La richiesta di piano attuativo, la richiesta di permesso di costruire, la segnalazione certificata di inizio attività, la comunicazione di inizio lavori asseverata o l’istanza di istruttoria preliminare funzionale all’ottenimento dei medesimi titoli edilizi devono essere presentati entro tre anni dalla notifica del comune al proprietario dell’immobile individuato come dismesso con criticità.
Se il proprietario non provvede entro tale termine, non può più accedere ai benefici e il comune lo invita a presentare una proposta di riutilizzo, assegnando un termine da definire in ragione della complessità della situazione riscontrata, e comunque non inferiore a quattro mesi e non superiore a dodici mesi. Decorso il termine senza presentazione delle richieste o dei titoli, il comune ingiunge al proprietario la demolizione dell’edificio o degli edifici interessati o, in alternativa, i necessari interventi di recupero e/o messa in sicurezza degli immobili, da effettuarsi entro un anno.
La demolizione effettuata dalla proprietà determina il diritto ad un quantitativo di diritti edificatori pari alla superficie lorda dell’edificio demolito fino all’indice di edificabilità previsto per l’area. I diritti edificatori generati dalla demolizione edilizia possono sempre essere perequati e confluiscono nel registro delle cessioni dei diritti edificatori. Decorso infruttuosamente il termine, il comune provvede in via sostitutiva, con obbligo di rimborso delle relative spese a carico della proprietà, cui è riconosciuta la SL esistente fino all’indice di edificabilità previsto dallo strumento urbanistico.
Deroghe e esclusioni
Tutti gli interventi di rigenerazione degli immobili sono realizzati in deroga alle norme quantitative, morfologiche, sulle tipologie di intervento, sulle distanze previste dagli strumenti urbanistici comunali vigenti e adottati e ai regolamenti edilizi, fatte salve le norme statali e quelle sui requisiti igienico-sanitari.
Dagli incentivi sono esclusi:
a) gli immobili eseguiti in assenza di titolo abilitativo o in totale difformità rispetto allo stesso titolo, a esclusione di quelli per i quali siano stati rilasciati titoli edilizi in sanatoria;
b) gli immobili situati in aree soggette a vincoli di inedificabilità assoluta;
c) i recuperi finalizzati alle grandi strutture di vendita, alle attività di logistica e autotrasporto incidenti su una superficie territoriale superiore ai 5mila metri quadrati;
d) le attività insalubri.
Un regolamento regionale stabilirà i criteri di riferimento per attribuire ai Comuni la possibilità di modulare gli incrementi volumetrici per interventi sul patrimonio edilizio esistente, tenendo conto di specifiche situazioni territoriali. I Comuni con popolazione inferiore ai 20mila abitanti potranno con delibera di Consiglio comunale, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, individuare gli ambiti e le aree del territorio alle quali non si applicano gli incentivi.
Il recupero degli edifici rurali dismessi
Gli edifici abbandonati o gli edifici rurali dismessi dall’uso agricolo ed esistenti alla data di entrata in vigore della legge regionale:
- individuati nei Pgt o mediante perizia che asseveri lo stato di dismissione o abbandono da almeno tre anni, presentata al comune dall’avente titolo unitamente all’istanza di intervento edilizio,
possono essere oggetto di recupero e di uso anche diverso da quello agricolo, nel rispetto dei caratteri dell’architettura e del paesaggio rurale. Requisito importante è che non siano stati realizzati in assenza di titolo abilitativo, se prescritto dalla legislazione o regolamentazione allora vigente. E non siano collocati in aree comprese in ambiti non soggetti a trasformazione urbanistica. L’intervento di recupero non deve costituire interferenza con l’attività agricola in essere.
Una deliberazione del Consiglio comunale determina, con esclusione della nuova costruzione:
- la qualificazione edilizia dell’intervento,
- la sua entità con il limite, per gli ampliamenti, del 20 per cento della superficie lorda esistente,
- la destinazione d’uso con esclusione di quelle produttivo-industriali e commerciali, a eccezione degli esercizi di vicinato, e le relative dotazioni urbanistiche.
Tale deliberazione attesta, altresì, la compatibilità del recupero con il contesto agricolo dei luoghi.
Riduzione o maggiorazione del contributo di costruzione
Negli ambiti della rigenerazione in cui vengano previsti interventi di ristrutturazione urbanistica, il contributo di costruzione è ridotto del 50 per cento. I comuni possono prevedere ulteriori riduzioni per gli interventi sul patrimonio edilizio esistente che perseguano una o più delle seguenti finalità:
a) promozione dell’efficientamento energetico;
b) aumento della sicurezza delle costruzioni relativamente al rischio sismico e riduzione della vulnerabilità rispetto alle esondazioni;
c) demolizione o delocalizzazione di edifici in aree a rischio idraulico e idrogeologico, anche comportanti la riqualificazione degli ambiti fluviali;
d) rispetto del principio di invarianza idraulica e idrologica, gestione sostenibile delle acque meteoriche, risparmio idrico, conseguimento del drenaggio urbano sostenibile;
e) riqualificazione ambientale e paesaggistica, utilizzo di coperture a verde, interconnessione tra verde e costruito per la realizzazione di un ecosistema urbano sostenibile, anche in attuazione della Rete Verde e della Rete Ecologica;
f) tutela e restauro degli immobili di interesse storico-artistico;
g) demolizione di opere edilizie incongrue, identificate nel Pgt;
h) realizzazione di interventi destinati alla mobilità collettiva, all’interscambio modale, alla ciclabilità e alle relative opere di accessibilità, nonché di riqualificazione della rete infrastrutturale per la mobilità;
i) conferimento di rifiuti, derivanti da demolizione selettiva, a impianti di recupero e utilizzo di materiali derivanti da operazioni di recupero di rifiuti;
j) bonifica degli edifici e dei suoli contaminati, in alternativa allo scomputo, nel caso in cui gli interventi di decontaminazione vengano effettuati dal soggetto non responsabile della contaminazione;
k) utilizzo, anche relativamente alle eventuali operazioni di bonifica, di metodiche, protocolli e tecnologie innovative per il tracciamento dei rifiuti e dei sottoprodotti di cantiere, nonché l’assunzione di sistemi interni di valutazione dei subappaltatori e meccanismi di sicurezza sul lavoro.
All’opposto, è prevista una maggiorazione percentuale del contributo relativo al costo di costruzione:
a) entro un minimo del trenta ed un massimo del quaranta per cento, determinata dai comuni, per gli interventi che consumano suolo agricolo nello stato di fatto non ricompresi nel tessuto urbano consolidato;
b) pari al venti per cento, per gli interventi che consumano suolo agricolo nello stato di fatto all’interno del tessuto urbano consolidato;
c) pari al cinquanta per cento per gli interventi di logistica o autotrasporto non incidenti sulle aree di rigenerazione;
Gli importi della maggiorazione saranno destinati alla realizzazione di misure compensative di riqualificazione urbana e territoriale; tali interventi possono essere realizzati anche dall’operatore, in accordo con il comune.
Finanziamenti
È assegnata una dotazione finanziaria di 1 milione di euro per il 2020 e altrettanti per il 2021 al fondo regionale “Incentivi per la rigenerazione urbana”. È destinato a enti locali e a loro forme associative o organizzazioni rappresentative per:
- realizzazione di interventi pubblici, anche mediante contribuzione in conto capitale nell’ambito di contratti di partenariato pubblico-privato funzionali all’avvio di processi di rigenerazione urbana. E per la redazione dei relativi studi di fattibilità urbanistica ed economico-finanziaria;
- spese di demolizione o messa in sicurezza sostenute per il recupero del patrimonio edilizio dismesso a elevata criticità. Questo qualora il comune abbia attivato l’intervento in via sostitutiva.
Per promuovere il coinvolgimento di soggetti privati negli interventi di rigenerazione urbana, la Regione potrà:
- istituire o partecipare a uno o più fondi immobiliari;
- istituire un fondo di garanzia per favorire l’accesso al credito per il finanziamento degli interventi, anche avvalendosi del supporto della propria società finanziaria;
- ricorrere al cofinanziamento di finanziamenti bancari.
Le aree dismesse e i siti da bonificare in Lombardia
Secondo i dati 2019 del Dipartimento di Architettura e Studi urbani del Politecnico di Milano, in Lombardia esistono 3.393 aree dismesse. Occupano una superficie di 4.984 ettari e sono distribuite in 650 Comuni.
Il 33% della superficie dismessa è localizzata nella Città metropolitana di Milano, con 988 aree coinvolte; segue Brescia con il 14% e 276 aree, quindi Mantova con il 10% e 201 aree. Troviamo poi con il 9% Pavia (299 aree) e Varese (246 aree), con l’8% Bergamo (237 aree), il 5% a Monza e Brianza con 489 aree prevalentemente di piccole dimensioni, il 4% a Lecco (289 aree) e a Cremona (95 aree), il 2% a Como con 153 aree. Infine solo l’1% della superficie regionale dismessa interessa rispettivamente i territori di Sondrio (88 aree) e Lodi (32 aree).
In Lombardia ci sono anche 914 siti da bonificare ricchi non solo di edifici abbandonati. La metà di questi siti (ben 425) si trova nella Città metropolitana di Milano e a questi si aggiungono i 188 del capoluogo milanese. A seguire Varese con 86 siti da bonificare, Bergamo con 85, Brescia con 76, Monza e Brianza con 49, Pavia con 46, Mantova con 42, Como con 36, Lodi con 34, Lecco con 24, Cremona con 8 e Sondrio con 3.
