Architettura

L’Oculus di Santiago Calatrava: racconto di un’opera controversa

Lo scorso 4 marzo, New York ha inaugurato l’Oculus, commessa firmata dallo spagnolo Santiago Calatrava. Accolta tra le polemiche, conduciamo un’esamina architettonica dell’opera, tra concept e risultato formale
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L’Oculus di Santiago Calatrava: racconto di un’opera controversa
Scandito da una forma ellittica in pianta, così come, nell’elevato, da 2 archi la cui luce si approssima ai 106 metri, l’Oculus del WTC realizzato da Santiago Calatrava incornicia una fetta di cielo di New York sotto al quale desideri e attese convivono a partire dal gennaio 2004. Le luminose luci libere celebrano i 74.000 m2 di superficie interna, facilitando l’orientamento da parte dei fruitori e assicurando, al contempo, una maggiore percezione degli spazi scanditi dalla piena visuale del volume della rinnovata aula. Come scritto, la luce zenitale gioca un ruolo importante nella commessa, traendo ispirazione dall’originario oculo della cupola del Pantheon romano, cui rende omaggio nella riproposizione del nome, reinterpretata da una lama vetrata longitudinale in chiave alla volta.
1 - WTC transportation hub - courtesy of imagen subliminal

WTC transportation hub – courtesy of imagen subliminal

A partire da tale data, all’opera vennero tributati gli onori previsti dalla sua missione simbolica, officiante della riqualificazione dello spazio pubblico, quest’ultimo lacerato dal turpe ricordo dei fatti di inizio millennio. Herbert Muschamp, critico di architettura del “New York Times”, definì la stessa dotata di “una dimensione spirituale” per via del proprio “approccio metafisico”, in grado di contribuire attivamente al panorama culturale della metropoli, come ribadito da Michael Kimmelman a stretto giro di posta. Tuttavia, le prime critiche non tardarono a giungere, quantunque smorzate dal mantra della necessità strutturale che ricondusse all’ordine l’elegia iniziale del concept. Infatti, vennero incrementate nel numero le costolature metalliche a scapito dei campi vetrati, ora 114, guadagnando una certa espressività strutturale che lo avvicina maggiormente ad un arcaico dimetrodonte piuttosto che all’evocata delicatezza di un uccello.
Oculus railway station at World Trade Center

WTC transportation hub – courtesy of Johannes Schmitt-Tegge

In tale sorta di “captatio benevolentiae”, la cui forma retorica data dall’euforica accettazione dell’opera lascia sempre più il passo ad un compìto revisionismo di giudizio, l’iniziale vigore venne a perdersi anche per via di un’esponenziale crescita dei costi globali di costruzione dell’opera in fieri. Pare, infatti, che questa abbia quasi raddoppiato nei costi la stima iniziale, raggiungendo l’iperbolica cifra attuale di 3,9 miliardi di dollari. Steve Cuozzo, editorialista del New York Post, nel 2014, arrivò a condannare la stazione in fase di completamento quale “una mostruosità auto-indulgente”, acclarando, a proprio dire, “un orrendo spreco di denaro pubblico”. Contestualmente all’inaugurazione, si raggiunse il pieno capovolgimento degli entusiasmi iniziali in un’impietosa critica estetica all’opera, tratteggiando un paragone tra le linee ideate dall’architetto spagnolo alle pesanti forme proprie ad un “elefante bianco”. Appare chiaro come questi 12 anni abbiano sancito il pieno compimento di tale metamorfosi kafkiana, fatta di opinioni e umori, di promesse mancate e premesse evase, legate alla particolare natura emblematica dell’opera. Altri clamori, tuttavia, fecero da compagni di viaggio anche alla carnificazione dei percorsi pedonali e della scelta materica delle finiture interne, imputando loro difetti di progettazione. Le scale paiono essere troppo strette per accogliere le nutrite folle dei pendolari mattutini, al pari delle piattaforme di attesa dei convogli delle 11 diverse linee della metropolitana, che si gremiscono troppo rapidamente di passeggeri. Al marmo bianco, infine, additato come “luminoso e asettico” al contempo, venne imputata una condizione di pericolosità data dal possibile rischio di scivolìo in occasione di rovesci temporaleschi. Insomma, un’opera che sembra somigliare più ad un museo di sé stessa che piegarsi alle pragmatiche esigenze dettate dall’uso.
US-TRANSPORTATION-OCULUS

WTC transportation hub – courtesy of Timothy Clary

Muovendoci attraverso l’oggettività scandita dai fatti storici, la stazione metropolitana affonda le proprie origini ad inizio del secolo scorso. Inaugurata il 19 luglio 1909 con il nome di “Terminal Hudson”, venne successivamente demolita e ricostruita come “World Trade Center”, aprendosi alla comunità nel 1971. L’attuale progetto, del 2004, sostituisce il sistema ferroviario originale, noto come “Port Authority Trans-Hudson” (PATH), andato distrutto quale effetto collaterale degli attentati terroristici dell’11 settembre 2001. Questi ha riaperto, seppur in maniera ancora parziale, lo scorso 4 marzo 2016, ponendosi quale piattaforma logistica dei trasporti rispetto al complesso cittadino del “World Trade Center” (leggi l’articolo sul cantiere). La combinazione di luce naturale e della forma scultorea donano dignità e bellezza ai livelli ipogei dell’edificio, così come ai percorsi pedonali interrati. L’opera offre a New York City un differente modo di concepire lo spazio pubblico, che, nelle parole di Calatrava, guarda alla Galleria Vittorio Emanuele II a Milano come modello urbano, in cui il fruitore, protetto della volta in vetro, si sente parte del tessuto civile. Tuttavia, questa propensione alla qualificazione degli spazi unicamente tramite la grande distribuzione commerciale non soddisfa appieno l’opinione pubblica statunitense per via delle cospicue rimesse lì investite, muovendo apertamente l’accusa di essere solamente un altro “santuario commerciale”.

Photogallery

Crediti Luogo: Greenwich Street/Church Street, New York, U.S.A.; Committente: Port Authority of New York and New Jersey; Immobiliarista: Silverstein Properties Inc.; Progetto architettonico: Santiago Calatrava Architects & Engineers LCC; Impresa di costruzioni: Skanska; Carpenterie metalliche: Cimolai SpA.
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