CURA è l’acronimo di Connected Units for Respiratory Ailments. È l’ultimo progetto sviluppato da
Carlo Ratti Associati con Italo Rota nato per aiutare nella risposta all’emergenza Coronavirus. Porta anche lo studio dell’ingegnere torinese a impegnarsi nel settore dell’emergenza. CRA ha seguito le orme di architetti come
Shigeru Ban, particolarmente attivo con le sue architetture di cartone nel post
terremoto, o dell’
Ikea Foundation, che aveva fornito all’UNHCR 30.000 unità di
Better Shelter per l’accoglienza dei rifiugiati.
CURA è il prototipo di un sistema di ospedale da campo che utilizza i container per ospitare unità di terapia intensiva per la cura delle malattie respiratorie infettive completamente attrezzate e subito pronte per l’uso.
Come funzionano il sistema e i nuovi ospedali da campo
Il principio guida della progettazione del sistema CURA è piuttosto semplice. Come i container di cui è costituito, nasce
prefabbricato e modulare. Unisce numeri variabili di unità indipendenti e autonome per il ricovero dei pazienti e per il lavoro più sicuro e protetto del personale sanitario.
Gli
spazi per il trattamento degli infettivi sono organizzati all’interno di volumi della lunghezza standard di 6 metri. I moduli possono essere utilizzati secondo le necessità e funzionano sia singolarmente che messi in serie, a formare ospedali da campo le cui parti sono collegate tra loro da strutture gonfiabili.
I container sono completamente allestiti in fabbrica e dotati di tutti i macchinari e le strumentazioni necessarie. Sfruttano i vantaggi della prefabbricazione, che li rende facilmente trasportabili nei luoghi in cui sono necessari. La loro messa in funzione è semplice e richiede poco personale e tempi brevi.
Un nuovo modello di ospedale da campo con unità di biocontenimento
La proposta del sistema CURA evolve le tradizionali risposte che oggi continuano a essere messe ampiamente in campo per le emergenze sanitarie, anche efficacemente. Unisce la progettazione, il montaggio e l’allestimento degli
ospedali da campo, normalmente costituiti da tende che vengono posizionate dove più occorre, al ricorso alle
unità di biocontenimento, già variamente disponibili sullo specifico mercato sotto forma di moduli prefabbricati.
Alcuni vantaggi
Rispetto a questi sistemi, CURA potrebbe offrire altri vantaggi particolarmente significativi in contesti sanitari ad alta infettività.
Il primo è la maggiore sicurezza per il personale sanitario derivante dal lavorare all’interno di un
ambiente delimitato da pareti solide che si presenta il più possibile simile agli spazi ospedalieri. Un reale
maggiore isolamento delle unità, fra di loro e rispetto all’esterno, è aspetto non secondario sia per il personale che per i pazienti. Ogni unità, fornita alla fonte di tutto il necessario per la cura e l’alloggiamento, consente inoltre di ospitare un numero limitato di pazienti contemporanei.
L’interno di simili container offre inoltre
spazi più puliti sia per le forme e che per le finiture di superfici con materiali non provvisori e più facilmente disinfettabili.
La
sanificazione dei locali, procedura oltremodo indispensabile quando ci si confronta con agenti patogeni a elevata trasmissibilità anche attraverso il contatto con le superfici, è ulteriormente favorita.
La prefabbricazione
La
prefabbricazione ne introduce molti altri. I moduli vengono assemblati in laboratorio all’interno di container che risultano facili da trasportare. E possono essere disposti a seconda delle necessità sia al di fuori degli ospedali che a questi collegati, ma anche dove gli ospedali non ci sono per dare un maggiore supporto sui territori.
Questo utilizzo potrebbe potrebbe portare l’ulteriore sviluppo anche di un sistema appena nato, perché
le emergenze sanitarie diffuse non devono essere combattute solo negli ospedali ma soprattutto dentro i territori, curando prima di ospedalizzare o quando ormai è troppo tardi.
Moduli a pressione negativa
Tutti i container del sistema CURA sono
unità a pressione negativa. Questo sistema di biocontenimento è già ampiamente presente anche negli ospedali per le quarantene.
Utilizza la differente pressione dei locali per limitare la diffusione di virus e agenti patogeni particolarmente pericolosi. Il locale da isolare ha una pressione interna minore rispetto a quelli che lo circondano. In questo modo aprendo porte o finestre l’aria esterna viene quasi naturalmente richiamata all’interno, dove risultano maggiormente contenuti anche i veicoli del contagio.
Un progetto open source
Nato per rispondere all’emergenza particolarmente severa oggi nel nord Italia, CURA vuole essere un progetto open source ed essere utilizzato dove più occorre. Gli è stato dedicato un
sito web in cui è già possibile trovare le informazioni sul progetto e sul suo funzionamento.
I supporti e il primo prototipo in realizzazione a Milano
Lo sviluppo di CURA ha subito trovato
importanti supporti, istituzionali e privati, interessati su vari piani a essere presenti alla realizzazione del progetto. È sostenuto dal
Gruppo Unicredit e dal
World Economic Forum. La fondazione con sede a Cologny (Ginevra), che ogni anno a Davos organizza l’incontro tra i leader del mondo, lo gestisce attraverso le sue piattaforme COVID-19 e “Cities, Infrastructure and Urban Services”.
La lista dei contributors sul fronte prettamente sanitario e di cura comprende l’
Istituto Clinico Humanitas, chiamato in causa per dare il suo contributo nell’ambito dell’ingegneria medica. Il
Policlinico di Milano e il dr.
Maurizio Lanfranco, anestesista rianimatore in forze all’Ospedale Cottolengo di Torino, sono invece consulenti medici.
L’emergenza che sta colpendo in modo durissimo soprattutto la Lombardia, sta portando CURA direttamente sul campo. La prima unità prefabbricata è infatti in corso di realizzazione a Milano.