Va rimosso il dehors del bar che aderisce alla proprietà altrui anche con un solo spigolo. In materia di distanze legali il giudice deve inoltre applicare le norme edilizie locali acquisendone conoscenza attraverso richiesta di informazioni al Comune
È quanto emerge dalla ordinanza della Corte di Cassazionen. 7466 del 15 marzo 2023, che ha annullato con rinvio la sentenza della corte d’appello.
Il fatto
Una condomina, insieme ad altri proprietari del complesso condominiale, citava in giudizio l’esercente di un bar, paninoteca e birreria chiedendone la condanna alla demolizione o all’arretramento di un dehors realizzato in violazione delle distanze legali. Il convenuto si opponeva alla richiesta e proponeva, anzi, domanda riconvenzionale per ottenere l’adeguamento di un pozzo nero di raccolta delle acque posto nella proprietà degli attori, l’accertamento delle intollerabili immissioni di miasmi e la condanna al risarcimento dei danni.
In primo grado, il tribunale ha accolto la domanda della proprietaria condannando l’esercente alla demolizione del dehors e al risarcimento del danno. In appello, però, i giudici hanno ribaltato il verdetto accertando la legittimità del dehors e condannando l’originaria ricorrente a risarcire il danno al bar per le immissioni maleodoranti che nel frattempo erano state eliminate.
La Corte d’appello, in particolare, ha negato che il dehors fosse costruito in aderenza alla proprietà degli attori, in quanto il manufatto aderiva “soltanto con uno spigolo”. Ha inoltre evidenziato che le due costruzioni non erano frontistanti, per cui non poteva trovare applicazione l’art. 873 c.c., anche in considerazione del fatto che nella parete del fabbricato dell’attrice, volta verso il dehors, non si aprivano finestre, ma esistevano soltanto due piccole aperture lucifere, decentrate rispetto al dehors.
Si arriva quindi davanti alla Cassazione, dove la proprietaria contesta entrambi i capi della sentenza della Corte d’appello. Con specifico riferimento alla questione delle distanze legali, sostiene che la sentenza è errata perché i giudici non hanno applicato, ignorandole, le norne del piano regolatore comunale.
Dehors, distanze legali e regolamenti comunali
La Cassazione ha accolto il ricorso della proprietaria.
La suprema Corte ricorda anzitutto che in materia di distanze tra costruzioni il giudice deve applicare le norme locali indipendentemente da ogni attività assertiva o probatoria delle parti, acquisendone conoscenza anche attraverso la sua scienza personale, la collaborazione delle parti o la richiesta di informazioni ai Comuni (Cass. civ. 2661/2020).
Ciò premesso, nel caso di specie, dome detto, la corte d’appello ha considerato come costruzione il dehors realizzato “a ridosso della proprietà degli attori” e ne ha escluso la illegittimità con riguardo all’art. 873 c.c. ed all’art. 9 D.M. 1444/1968, in quanto esso “aderisce soltanto con uno spigolo”, sicché le due costruzioni non sono frontistanti; inoltre nella parete del fabbricato degli attori, rivolta verso il dehors, non si aprono finestre.
Distanze diverse da quelle indicate dal codice civile
Tuttavia, nel caso di specie le norme di attuazione del Piano Regolatore comunale stabiliscono, per la zone in cui è sito il fabbricato, una distanza dai fabbricati esistenti di 10 metri. Tali disposizioni non sono stati valutate dalla corte d’appello per escludere la violazione delle distanze legali. Pertanto, la sentenza impugnata deve ritenersi in contrasto con le disposizioni di legge regolatrici della fattispecie.
A conferma di quanto detto, la Cassazione sottolinea che “ai fini dell’osservanza delle norme sulle distanze legali stabilite dall’art. 873 c.c., dettate allo scopo di evitare intercapedini dannose, occorre che i fondi, anche se non confinanti, ma solo finitimi, si fronteggino almeno in parte”.
È perciò possibile – si legge nella sentenza – “costruire su di essi edifici che, da bande opposte rispetto alla linea di confine, presentino le rispettive facciate frontistanti almeno per un segmento, di guisa che, supponendo di farle avanzare in linea retta, si incontrino almeno in quel segmento, sia pure limitatissimo; parimenti, l’art. 9 del D.M. 2 arile 1968 n. 1444 regola le distanze soltanto tra le pareti che si fronteggiano degli edifici antistanti, di cui almeno una sia finestrata”.
Tutela dell’assetto urbanistico
Ai fini, invece, del rispetto delle norme dei regolamenti edilizi che impongono distanze tra le costruzioni maggiori rispetto a quelle previste dal codice civile o stabiliscono un determinano distacco tra le costruzioni e il confine, rileva la distanza in sé, a prescindere dal fatto che gli edifici si fronteggino, essendo le stesse volte non solo a regolare i rapporti di vicinato, ma anche a soddisfare esigenze di carattere generale, come quella della tutela dell’assetto urbanistico (Cass. civ. 22054/2018).
Da qui la decisione della Cassazione di annullare la sentenza con rinvio del giudizio alla corte d’appello, che dovrà rivalutare la questione, accertando se la costruzione in questione fosse soggetta al rispetto della indicata prescrizione contenuta nelle norme comunali che impongono distanze tra le costruzioni maggiori di quelle stabilite dal codice civile, trovando eventualmente essa applicazione anche se gli edifici non si fronteggiano.
L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 7466 del 15 marzo 2023 è disponibile qui di seguito in free download.