La messa in sicurezza post-sismica è restauro conservativo, non ristrutturazione
Il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 279 del 15 gennaio 2025, rimarca la differenza tra le nozioni di restauro conservativo e di ristrutturazione edilizia, pronunciandosi sulla domanda di annullamento del provvedimento che negava il permesso di costruire per la realizzazione di un intervento straordinario di demolizione e ricostruzione con incremento volumetrico.
La questione centrale da dirimere consisteva nel qualificare la corretta consistenza degli interventi eseguiti sull’immobile, cioè se gli interventi eseguiti sul fabbricato rientrassero nel concetto di “ristrutturazione” presupposto dall’art. 3, comma 1, lett. b), della legge regionale Campania n. 19/2009, come sostituito dall’articolo 1, comma 1, lettera o), della legge regionale n. 1 del 5 gennaio 2011. Dato che la citata legge regionale non reca un’apposita illustrazione del contenuto del termine “ristrutturazione”, tale nozione va ricavata da quella generale, contenuta nell’art. 3, comma 1, lett. d), del dpr n. 380 del 6 giugno 2001 (Testo Unico Edilizia), mentre gli interventi di “restauro e risanamento conservativo” sono definiti dall’art. 3, comma 1, lettera c), Tue.
La finalità di conservazione degli interventi di restauro
In base a tali norme, la finalità degli interventi di restauro e risanamento conservativo è quella di innovare l’organismo edilizio in modo sistematico e globale, nel rispetto dei suoi elementi essenziali tipologici, formali e strutturali, cioè mantenendo immutati:
- la qualificazione tipologica del manufatto preesistente, cioè dei caratteri architettonici e funzionali di esso che ne consentono la qualificazione in base alle tipologie edilizie;
- gli elementi formali (disposizione dei volumi, elementi architettonici) che distinguono in modo peculiare il manufatto, configurandone l’immagine caratteristica;
- gli elementi strutturali, ovvero inerenti alla materiale composizione della struttura dell’organismo edilizio.
La finalità di conservazione, caratteristica degli interventi di recupero e risanamento conservativo, postula, dunque, il mantenimento tipologico e strutturale del manufatto. Gli interventi edilizi che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l’originaria consistenza fisica di un immobile (e comportino, altresì, la modifica e ridistribuzione dei volumi) sono invece qualificabili come ‘ristrutturazione edilizia‘, ravvisabile nell’ordine in cui sono disposte le diverse porzioni dell’edificio anche per il solo fine di renderne più agevole la destinazione d’uso esistente.
Gli interventi di ristrutturazione edilizia comprendono l’esecuzione di lavori consistenti nel ripristino o nella sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, ovvero nella eliminazione, modificazione e inserimento di nuovi elementi ed impianti, e distinguibili dagli interventi di risanamento conservativo, caratterizzati invece dal mancato apporto di modifiche sostanziali all’assetto edilizio preesistente e senza aumenti di volumetria, alla luce di una valutazione compiuta tenendo conto della globalità dei lavori eseguiti e delle finalità con questi perseguite.
L’eccezione all’esclusione dal piano casa della Campania
Nel caso specifico, il ricorrente sosteneva che gli interventi per cui si chiedeva il permesso di costruire, potessero beneficiare delle suddette norme della Campania, laddove introducono una eccezione all’esclusione dal piano casa degli edifici collocati in zona A od assimilabili, in favore “degli edifici realizzati o ristrutturati negli ultimi cinquanta anni” (se non rientranti negli altri casi di esclusione); l’eccezione deve ritenersi estesa:
- agli edifici di costruzione relativamente recente (edifici realizzati);
- ai manufatti che abbiano formato oggetto di ristrutturazione in senso stretto (non interessati, pertanto, da meri interventi di restauro e di risanamento conservativo, ovvero di manutenzione straordinaria): interventi edilizi, quindi, aventi uno scopo non conservativo, ma di sostanziale alterazione innovativa.
L’eccezione si giustifica perché, laddove l’edificio abbia perduto le caratteristiche originali (gli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo storico) per effetto della ristrutturazione, il legislatore ha ritenuto insussistente quella esigenza di tutela di valori estetici e, più in generale, culturali, altrimenti ostativa all’esclusione dal piano casa degli edifici situati in zona A (cioè in parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale), anche quando non vincolati.
Restauro conservativo e ristrutturazione edilizia: i due diversi concetti
Al contrario, gli interventi di cui si tratta nella causa, eseguiti alla fine degli anni sessanta e negli anni ottanta del secolo scorso, consistenti nel rifacimento di una rampa scala e della struttura muraria in tufo della cassa scala e in lavori di messa in sicurezza dell’edificio a seguito degli eventi sismici del 1980, secondo il Consiglio di Stato, sulla base del parere del Verificatore, non hanno determinato una modifica dell’edificio riguardato nel suo complesso e non rientrano nel concetto di ristrutturazione edilizia, che si configura laddove, attraverso il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, si realizzi un’alterazione dell’originaria fisionomia e consistenza fisica dell’immobile, incompatibile con i concetti di manutenzione straordinaria e di restauro conservativo (che presuppongono, invece, la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell’edificio e la distribuzione interna della sua superficie).
I lavori eseguiti nell’immobile – funzionali alla necessità di conservare l’organismo edilizio e di assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere volte al consolidamento dell’edificio, al ripristino e al rinnovo di taluni elementi costitutivi dell’edificio, mediante l’inserimento di elementi accessori e tecnici richiesti dalle esigenze di sicurezza dell’uso – rivelano, piuttosto, una tipologia di interventi finalizzata alla (mera) conservazione dell’organismo edilizio nonché alla preservazione degli elementi tipologici, formali e strutturali dello stesso, coerentemente alle indicazioni per il risanamento conservativo contenute nel Tue.
Escluso che le opere poste in essere sul manufatto fossero qualificabili come ristrutturazione edilizia, non sussistevano i presupposti per l’applicazione, alla fattispecie, della normativa regionale campana. Pertanto, è legittimo il provvedimento dell’Amministrazione che ha negato l’istanza di permesso di costruire per carenza dei requisiti oggettivi.

