Attività commerciale, ci vuole la regolarità edilizia dell’immobile
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 3182 dell’8 aprile 2024, interviene sul titolo abilitativo necessario per l’esercizio di un’attività commerciale e il pre-requisito della regolarità edilizia dell’immobile sotto il profilo urbanistico-edilizio.
Regolarità edilizia dell’immobile: il caso
Il caso trattato riguarda un locale seminterrato con annessa area cortilizia esterna, utilizzato prima come deposito, poi come circolo culturale e infine come negozio di vendita di bevande. Il titolare della ditta individuale, esercente l’attività, aveva presentato una Scia commerciale che però era stata annullata, a seguito dell’accertamento di varie irregolarità e “in virtù della situazione di conclamata illiceità urbanistico-edilizia, non potendo riconnettersi alcun affidamento tutelabile al perdurante mantenimento di una situazione di fatto abusiva e, pertanto, contra legem“. L’immobile, infatti, non aveva le caratteristiche strutturali per la funzione di vendita.
La carenza di conformità urbanistica e dei requisiti per l’esercizio dell’attività commerciale riguardava, in particolare, tre aspetti:
- l’altezza del locale, pari a 2,70 metri, non è conforme all’art. 67 del regolamento edilizio comunale, che prescrive per i locali adibiti a negozio l’altezza minima di 3,20 metri;
- la destinazione d’uso del locale non risulta assistita da idoneo titolo edilizio, essendo la risultante di un cambio di destinazione da deposito a negozio, e quindi tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, in assenza del prescritto permesso di costruire;
- il titolare dell’attività commerciale è privo di un valido titolo che legittimi il possesso dell’immobile.
L’appellante sosteneva che, per la sostanziale coincidenza tra le associazioni culturali che avevano ottenuto nel tempo i vari provvedimenti ampliativi della sfera giuridica, l’affidamento doveva essere riferito all’attività esercitata continuativamente nel locale, anziché ai soggetti giuridici.
Stato di legittimo affidamento non configurabile
Il giudice amministrativo è stato di diverso parere: gli invocati titoli ampliativi concernevano soggetti diversi (da ultimo, l’associazione culturale), succedutisi nella conduzione del locale in questione e nell’attività di somministrazione, con la conseguenza che tali titoli, esulando dal personale ambito di attribuzioni del ricorrente, non potevano considerarsi affatto ampliativi della sua sfera giuridica: il primo e unico titolo che ha riguardato in maniera diretta il ricorrente è, infatti, la Scia commerciale rimossa dal provvedimento inibitorio.
Nella fattispecie, è inconfigurabile il consolidamento di uno stato di legittimo affidamento, non solo perché la Scia non è risalente nel tempo, ma anche perché tale titolo è stato rimosso in virtù della situazione di conclamata illiceità urbanistico-edilizia (specie con riferimento all’altezza minima prescritta dal regolamento edilizio), non potendo riconnettersi alcun affidamento tutelabile al perdurante mantenimento di una situazione di fatto abusiva.
Come risulta dalla stessa relazione tecnica asseverata allegata alla Scia, l’attività di somministrazione svolta dall’associazione , riservata ai soci, era cessata definitivamente, mentre l’appellante avviava, in qualità di imprenditore individuale, un nuovo esercizio di somministrazione, questa volta aperto al pubblico.
Il rapporto tra regolarità edilizia dell’immobile e titolo abilitativo
Una Scia commerciale non assume rilievo, poiché l’eventuale decorso del tempo rispetto a una mera dichiarazione priva dei presupposti a fondamento non determina alcuna situazione giuridicamente tutelabile in capo al privato. La non conformità urbanistico-edilizia è infatti sufficiente a determinare la revoca-decadenza del titolo abilitativo per l’esercizio dell’attività di somministrazione e la conseguente cessazione di quest’ultima, inibendo l’esercizio di un’attività commerciale per inidoneità del locale in cui questa si svolge.
Infatti, tra i presupposti del legittimo svolgimento dell’attività commerciale bisogna senz’altro annoverare la regolarità edilizia dell’immobile in cui l’attività si svolge. Risponde infatti a un evidente principio di ragionevolezza escludere che si possa utilizzare uno spazio, con la presenza di utenti pubblici, in contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia.
Gli aspetti che non possono essere violati
Il legittimo esercizio di un’attività commerciale è dunque ancorato, sia in sede di rilascio del titolo abilitativo che per l’intera durata del suo svolgimento, all’iniziale e perdurante regolarità, sotto il profilo urbanistico-edilizio, dei locali in cui essa si espleta. Di conseguenza l’autorità amministrativa ha il potere-dovere di inibire l’attività esercitata in locali rispetto ai quali siano stati adottati, come nella specie, atti di accertamento e/o provvedimenti repressivi di abusi edilizi.
In particolare, la violazione dell’altezza del locale rispetto al vigente regolamento edilizio comunale, è una chiara e palese difformità edilizia la quale incide sulla necessaria conformità urbanistico edilizia dell’immobile. Inoltre, il punto 1.2.5. dell’allegato IV del d.lgs. n. 81/2008 (recante i requisiti dei luoghi di lavoro) prescrive, senza alcuna possibilità di deroga (prevista, invece, per gli immobili a destinazione industriale), che, per i locali delle “aziende commerciali”, i “limiti di altezza sono quelli individuati dalla normativa urbanistica vigente”.
Un locale terraneo a uso deposito non può essere destinato a locale commerciale adibito alla somministrazione di cibi e bevande, senza il titolo abilitativo espresso, trattandosi di categorie edilizie palesemente disomogenee. Nel caso specifico, bisognava applicare il dm 1444/1968, il quale individua la categoria sub C) quale commerciale, non rientrando la destinazione deposito tra quelle ivi contemplate. In conclusione, il passaggio, prima, da deposito a circolo culturale e, poi, a locale commerciale, necessitava di apposito titolo abilitativo.

