Permesso di costruire: quando l’annullamento giurisdizionale consente la sanatoria?
Il Consiglio di Stato, con Ordinanza n. 1735 dell’11 marzo 2020, ha interpellato l’Adunanza Plenaria affinché chiarisca quali vizi del titolo edilizio annullato in sede giurisdizionale possono consentire la sanatoria dell’intervento edilizio realizzato tramite applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria il cui pagamento produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria (fiscalizzazione dell’abuso).
La questione riguarda l’articolo 38 del Dpr 380/2001, commi 1 e 2, che stabilisce che “in caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite.”
L’integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’articolo 36 (sanatoria degli interventi abusivi realizzati senza titolo, ma conformi alle norme urbanistico edilizie).
Il fatto: spostamento e ristrutturazione di fabbricato rurale tipico
Il Consiglio di Stato doveva pronunciarsi su un doppio ricorso per l’annullamento ovvero la riforma di una sentenza del Tar Lombardia. Che a sua volta annullava il permesso di costruire per lo spostamento di un fabbricato rurale, con successivo intervento di ristrutturazione edilizia architettonica interna della struttura, trasformazione d’uso in civile abitazione.
I ricorrenti avevano ottenuto dal Comune un permesso di costruire per spostare il fabbricato e rilocalizzarlo più a valle, ristrutturarlo e trasformarlo in abitazione. Realizzando anche alcuni vani accessori interrati e un ampliamento, qualificato come ricostruzione di presunte parti crollate dell’edificio originario.
Eseguito l’intervento, il permesso di costruire in questione era stato impugnato da una vicina, il Tar Lombardia ne aveva accolto il ricorso e e annullato il permesso di costruire stesso.
Comune: sanzione pecuniaria e demolizione dell’ampliamento
A seguito di tale annullamento giurisdizionale, il Comune interessato ha avviato e chiuso un procedimento amministrativo volto all’applicazione ai proprietari titolari del permesso di costruire annullato di una sanzione pecuniaria. Oltre alla demolizione della porzione oggetto di ampliamento e del volume interrato ad essa sottostante.
Il Comune ha motivato il provvedimento considerando impossibile eliminare i vizi della procedura e rilasciare un nuovo titolo, in quanto nella zona in questione non si possono assentire interventi eccedenti il restauro conservativo, nella specie non configurabile. Altrettanto impossibile la rimessione in pristino, ovvero, la ricollocazione del fabbricato nel sedime originario, che si trovava all’interno della fascia di rispetto inedificabile del torrente a rischio di esondazione e nella zona terminale di una frana attiva. Inoltre, il fabbricato ha mantenuto la sua identità di edificio storico tipico, con interesse dell’amministrazione a conservarla nella posizione attuale, tra l’altro maggiormente idonea all’accesso di mezzi di soccorso in caso di necessità.
Demolizione dell’intero manufatto?
Il provvedimento conclude affermando che quanto esposto vale per il manufatto preesistente e per l’interrato realizzato al di sotto, che non si potrebbe demolire senza pregiudizio di quello soprastante. Non vale invece per l’ampliamento, dato che la pronuncia di annullamento ha escluso che lo si potesse ritenere ricostruzione di una preesistenza. Pertanto, il provvedimento conclude per la fiscalizzazione dell’abuso in quanto fabbricato originario, e per la demolizione del resto.
Ricorrevano contro il provvedimento sia la vicina, sostenendo che la corretta esecuzione del giudicato comporterebbe l’integrale demolizione di tutto quanto realizzato; sia i proprietari e originari intestatari del permesso annullato, sostenendo la possibilità di conservarlo contro pagamento di una sanzione ulteriore.
Il Tar Lombardia ha riunito i ricorsi, dichiarato la nullità del provvedimento del Comune, ordinato la demolizione dell’intero manufatto, ritenendo che la sanatoria non è possibile nel caso di vizi della procedura non emendabili. Ricorrevano al Consiglio di Stato sia i proprietari dell’immobile, contro la demolizione del fabbricato, sia il Comune, allo scopo di conservare il provvedimento nel suo assetto originario.
L’ordinanza: i tre orientamenti giurisprudenziali
Il Consiglio di Stato, nell’affrontare il caso, richiama i tre diversi orientamenti giurisprudenziali sulla norma citata:
- interpretazione ampia: anche in presenza di vizi sostanziali del titolo annullato che non possono essere eliminati il Comune, prima di ordinare la rimessione in pristino, dovrebbe verificare l’impossibilità a demolire, e ove la ritenesse, dovrebbe limitarsi ad applicare la sanzione pecuniaria, considerando rilevante non solo il caso di vera e propria impossibilità o grave difficoltà tecnica, ma anche quello in cui riconoscesse ragioni di equità o al limite anche di opportunità (Cons. Stato. sez. VI n.5089 del 19 luglio 2019, Cons. Stato. sez. VI n.6753 del 28 novembre 2018 e n.2398 del 12 maggio 2014);
- interpretazione intermedia: è possibile l’applicazione della sanzione oltre che nei casi di vizio formale, anche nei casi di vizio sostanziale purché quest’ultimo eliminabile. In tal caso non ci sarebbe la sanatoria di un abuso, perché esso verrebbe in concreto eliminato con le opportune modifiche del progetto prima del rilascio della sanatoria stessa (Cons. Stato. sez. VI n.4221 del 10 settembre 2015, sez. VI n.2355 dell’8 maggio 2014, sez. IV n.4923 del 17 settembre 2012);
- interpretazione restrittiva: l’applicazione della sanzione è possibile soltanto nel caso di vizi formali o procedurali non eliminabili, mentre in ogni altro caso l’amministrazione dovrebbe senz’altro procedere a ordinare la rimessione in pristino; in altri termini, é consentito superare i soli vizi non sostanziali della costruzione, e quindi non si può parlare di un “effetto condono” (Corte costituzionale, sentenza n.209 dell’11 giugno 2010, Cons. Stato sez. VI n.1861 del 9 maggio 2016 e sez. IV n.1535 del 16 marzo 2010).
Premesse teoriche comuni
Tutti e tre gli orientamenti muovono da premesse teoriche comuni:
- la posizione dell’originario controinteressato, che ha realizzato l’opera sulla base del titolo annullato in sede giurisdizionale, non si differenzia da quella di chi avesse realizzato l’opera abusivamente senza titolo alcuno:
- l’annullamento giurisdizionale del titolo edilizio determina un giudicato, che in linea di principio tutti i soggetti dell’ordinamento, anche il legislatore ordinario, debbono rispettare.
Secondo il Collegio, l’art. 38 Tu rappresenta, dal punto di vista del legislatore, la creazione di un “potere nuovo” rispetto a quello che consente di emettere il titolo edilizio, che contempera l’esigenza di rispettare il giudicato con quella di realizzare “un assetto della fattispecie diversificato” rispetto a quello scaturente dal giudicato stesso, ma non in contrasto con quest’ultimo.
Interpretazione intermedia in attesa della pronuncia dell’Adunanza Plenaria
In attesa della pronuncia dell’Adunanza Plenaria, il Consiglio di Stato, considerando che la repressione degli abusi edilizi, cioè le costruzioni effettivamente in contrasto con l’assetto del territorio disegnato dagli strumenti urbanistici, ha un valore che l’ordinamento persegue con particolare rigore, propende per l’orientamento intermedio, che amplia la sanabilità dell’abuso, e protegge quindi l’affidamento di chi ha ottenuto il rilascio del titolo poi annullato, sino al limite massimo consentito dalla contrapposta tutela del terzo.

