Dichiarazione di interesse culturale di un immobile, occorre un’adeguata valutazione
                                Il Consiglio di Stato, sezione VI, nella sentenza n. 1245 7 febbraio 2024, in tema di beni culturali, stabilisce che è illegittima la dichiarazione di interesse culturale di un bene immobile adottata senza un previo sopralluogo e non sorretta da un’adeguata valutazione dello stato attuale del bene stesso e del contesto in cui si colloca.
Dichiarazione di interesse culturale di un immobile: il caso
Il caso trattato riguarda, in appello, un ricorso contro la dichiarazione di interesse culturale ex art. 10, comma 3, lett. a) e d), d.lgs. 42/2004, rigettato da un decreto della Direzione generale archeologia, belle arti e paesaggio, adottata in relazione all’edificio centrale (“A”) di un complesso di proprietà delle ricorrenti.
La sentenza ricorda che le valutazioni di un interesse culturale particolarmente importante di un immobile, che siano tali da giustificare l’apposizione del vincolo e del conseguente regime ex art. 10, comma, d.lgs. n. 42/2004, rappresentano l’esplicazione di un potere di apprezzamento tecnico, proprio dell’amministrazione dei beni culturali nell’esercizio della funzione di tutela del patrimonio; tali valutazioni possono essere sindacabili in sede giurisdizionale soltanto in presenza di oggettivi aspetti di incongruenza, travisamento di fatti e illogicità.
Le valutazioni del giudice
Il giudice deve vagliare le valutazioni dei fatti complessi richiedenti particolari competenze (cd. “discrezionalità tecnica”) con riguardo alla loro specifica “attendibilità” tecnico-scientifica. Il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici e specialistici dell’amministrazione può svolgersi non in base al mero controllo formale ed estrinseco dell’iter logico seguito dall’autorità amministrativa, bensì alla verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro coerenza e correttezza, quanto a criterio tecnico ed a procedimento applicativo.
L’interesse pubblico alla tutela della cosa che attenga direttamente o indirettamente alla storia, all’arte o alla cultura è direttamente collegato con una valutazione in termini di particolare interesse della cosa per i propri pregi intrinseci o per il riferimento della medesima alle vicende della storia dell’arte o della cultura.
L’interessato può contestare la valutazione, con l’onere di metterne seriamente in discussione l’attendibilità tecnico-scientifica. Se tale onere non viene assolto e si fronteggiano soltanto opinioni divergenti, e il giudice deve dare prevalenza alla posizione espressa dall’organo istituzionalmente investito (dalle fonti del diritto e, quindi, nelle forme democratiche) della competenza ad adottare decisioni collettive, rispetto alla prospettazione individuale dell’interessato.
Dichiarazione di interesse culturale: i presupposti
D’altra parte, il potere ministeriale di vincolo richiede, quale presupposto, una valutazione basata su riflessioni di natura artistica, storica e filosofica, spesso strettamente legate al contesto culturale e territoriale di riferimento, per loro stessa natura in continua evoluzione, anche solo per il notorio dato che trattasi di materie soggette a continuo studio e ricerca, nel perseguimento di analoghi interessi pubblici culturali, di istruzione e di crescita individuale e collettiva.
Sulla base di tali principi, il Consiglio di Stato rileva che il decreto di rigetto del ricorso da parte della Direzione generale archeologia, belle arti e paesaggio non risulta accompagnato da una adeguata istruttoria da cui trarre la sussistenza dei presupposti della meritevolezza dell’impronta storico-architettonica che si vorrebbe posseduta dall’immobile; anzi, la mancanza di sopralluogo e la mancata adeguata valutazione di elementi di fatto relativi allo stato attuale del contesto e dell’immobile evidenziano il dedotto profilo di eccesso di potere.
Gli oneri dell’Amministrazione
Lo stato di abbandono di un bene di per sé non osta alla dichiarazione di interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico, tuttavia è onere dell’Amministrazione dei beni culturali prendere in considerazione le puntuali obiezioni sollevate dalla parte interessata circa la realistica possibilità di conservazione e valorizzazione dell’immobile. Diversamente, è concreto il rischio che si persegua una concezione del tutto astratta (e quindi vuota) del bene che si vorrebbe tutelare.
A parere del Consiglio di Stato, la relazione della Direzione generale archeologia, belle arti e paesaggio contiene una serie di affermazioni stereotipate, in cui non è possibile rintracciare le ragioni che attestano la singolarità del bene che si assume avere valore di testimonianza, ovvero la mera descrizione dei luoghi, neppure precisa come evidenziato dagli elementi prodotti da parte appellante.
La mera e generica circostanza tipologica che un fabbricato rappresenti una testimonianza di un tipo di costruzione di un particolare periodo storico non è di per sé elemento sufficiente a giustificare l’adozione di un provvedimento individuale e concreto, quale quello in questione: qualsiasi fabbricato è di per sé testimonianza di un tipo di costruzione del proprio periodo nella zona in cui si trova. Non si può prescindere da un elemento valutativo concreto, incentrato sul pregio distinto, selettivo e irripetibile della singola cosa e dunque sul riferimento specifico agli elementi che questo pregio.
La relazione storico-artistica prima della dichiarazione di interesse culturale
Il difetto di istruttoria emerge anche dalla manifesta illogicità e sproporzione rilevata laddove si dichiara di voler arrestare una possibile crescita del sistema insediativo del contesto, un obiettivo diverso dalla tutela culturale del singolo bene: un conto è la verifica culturale del bene, collocato nel contesto di riferimento, un altro conto è la critica ad un sistema edilizio posto al di fuori delle competenze dell’amministrazione.
Il Consiglio di Stato sottolinea la carenza istruttoria evidenziata dalla incomprensibile assenza di un sopralluogo, correttamente invocato anche in sede procedimentale dalla parte privata; infatti, proprio la peculiarità del contesto rappresentato dalla parte privata avrebbe imposto un accertamento diretto dei luoghi, anche in relazione alla consistenza ed allo stato reale dell’immobile.
La relazione storico-artistica contiene solo un passaggio relativo all’effettiva valenza culturale rilevata: “Esempio di ‘archeologia industriale‘ ottocentesca, in cui alla ricerca di funzionalità organica delle strutture si associano soluzioni distributive e tipologiche razionali tipiche delle architetture produttive dell’epoca, costituisce un unicum nel suo genere per destinazione (cantina per la lavorazione del vino) e per impiego di tecniche costruttive con uso di materiali locali (conglomerato glaciale locale), di cui non esiste altro riscontro”. Per il Consiglio di Stato, la definizione di ‘archeologia industriale’ non appare precisa, in merito ad una azienda vinicola, e quindi in prevalenza agricola; anche la valutazione come unicum appare priva di effettivo riscontro pratico.
In definitiva, Il Consiglio di Stato riconosce, nel caso di specie, che la deduzione di parte appellante evidenzia le carenze istruttorie della valutazione dell’amministrazione e, di conseguenza, motivazionali, legate al reale contesto e stato dell’immobile, nonché alla effettiva sussistenza dei pregi culturali posti a base della relazione storico-artistica, pertanto accoglie i motivi dell’appello e quindi, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado, assegnando all’amministrazione soccombente il pagamento delle spese processuali.
                                    
