Edilizia

Decreto Salva Casa e cambio di destinazione d’uso: il caso dell’affittacamere

Per alcune categorie di intervento, come quelle che implicano cambi di destinazione d’uso rilevanti o situazioni particolari come i centri storici, è ancora richiesto il permesso di costruire
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Decreto Salva Casa e cambio di destinazione d’uso: il caso dell’affittacamere

Con il Decreto Salva Casa non tutte le modifiche sono state semplificate, e per alcune categorie di intervento, come quelle che implicano un cambio di destinazione d’uso rilevanti o situazioni particolari (come i centri storici), è ancora richiesto il permesso di costruire.

Il cambio di destinazione d’uso è un intervento edilizio che comporta la modifica della funzione di un immobile, trasformandone la destinazione originaria in un’altra compatibile con la normativa urbanistica vigente. Questo tipo di intervento è disciplinato dal Testo Unico dell’Edilizia (D.P.R. 380/2001), che stabilisce le modalità e i titoli abilitativi necessari per realizzarlo, a seconda della rilevanza e delle opere connesse al cambio.

Decreto Salva Casa e cambio di destinazione d’uso

Con l’introduzione del Decreto Legge n. 69/2024, noto come Decreto Salva Casa, sono state introdotte modifiche significative che hanno semplificato alcune procedure, rendendo più flessibile il cambio di destinazione d’uso anche tra categorie non omogenee. In particolare, il Decreto ha previsto che, per determinate operazioni, sia sufficiente la presentazione di una SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività), se le opere necessarie sono di tipo ordinario e compatibili con la CILA (Comunicazione Inizio Lavori Asseverata). Tuttavia, non tutte le modifiche sono state semplificate, e per alcune categorie di intervento, come quelle che implicano cambi di destinazione d’uso rilevanti o situazioni particolari (come i centri storici), è ancora richiesto il permesso di costruire.

L’introduzione di queste nuove regole ha avuto un impatto significativo sulla gestione edilizia e urbanistica, soprattutto per le attività ricettive e le trasformazioni funzionali degli immobili, aprendo la possibilità di una più facile conversione degli spazi, ma al contempo mantenendo rigide garanzie per la sicurezza e il rispetto delle normative urbanistiche e ambientali.

Detto ciò, le prime sentenze dopo il Salva Casa non si fanno aspettare anche se, a onore del vero, la vicenda in esame è sottratta ratione temporis alla nuova normativa, seppur non ci sarebbe stata in ogni caso una diversa sorte poiché riguarda norme non oggetto di modifica legislativa.

La sentenza in esame è stata emessa dalla terza sezione penale della Cassazione che, con la pronuncia numero 42369 del 19 novembre 2024, affronta il tema del cambio di destinazione d’uso da residenziale ad affittacamere.

Decreto Salva Casa e non solo: cosa implica il cambio di destinazione d’uso per l’affittacamere?

Il cambio di destinazione d’uso di un immobile consiste nell’alterazione della sua funzione o scopo d’impiego. Ad esempio, si può trasformare un immobile precedentemente destinato a ufficio (categoria catastale A10) in una abitazione (categoria catastale A3).

Le destinazioni d’uso rilevanti, come stabilito dall’art. 23-ter del Testo Unico dell’Edilizia, sono suddivise in cinque principali categorie:

a) residenziale (abitazioni, studi professionali, affittacamere);

b) turistico-ricettiva (alberghi e strutture con finalità ricettiva predominante);

c) produttiva e direzionale (laboratori artigianali, industrie, magazzini, imprese edili, officine);

d) commerciale (bar, pub, negozi, ristoranti);

e) agricola (immobili destinati alla produzione agricola, allevamenti, forestazione, campi coltivati, vivai, boschi, pascoli, abitazioni rurali, agriturismi).

Il caso analizzato

La sentenza in esame affronta, come detto, il tema del cambio di destinazione d’uso da residenziale a struttura ricettiva (affittacamere o casa-vacanze) in un immobile situato in centro storico. La vicenda coinvolge il conduttore di un immobile sito nel centro storico della città di Napoli, condannato in primo e secondo grado per aver realizzato lavori senza il permesso di costruire. Nello specifico, i lavori sono consistiti nella realizzazione di quattro camere da letto, con annessi vani WC, ampio ingresso, lavanderia ed eliminazione della cucina. Tali opere, per pacifica ammissione dello stesso conduttore, erano funzionali per la realizzazione dell’attività di affittacamere o casa-vacanze. Ulteriore circostanza rilevante ai fini della condanna era che le opere erano state eseguite in un immobile sito nel centro storico nonché in zona sismica, senza adeguata documentazione depositata presso il Genio civile competente.

La vicenda giunge sino in Cassazione dove, però, l’epilogo non è quello sperato dal reo con condanna alle spese del giudizio e conferma della sentenza.

Come già rilevato dai giudici di primo e secondo grado, la destinazione di un immobile da uso abitativo ad attività di affittacamere determina un mutamento di destinazione d’uso, ai sensi dell’art. 23-ter, comma 1, del D.P.R. n. 380 del 2001, perché tale disposizione distingue fra destinazione residenziale (lettera a) e destinazione turistico-ricettiva (lettera a-bis), così prevedendo due distinte categorie funzionali.

Il permesso di costruire serve sempre

Secondo la Cassazione, il cambio di destinazione d’uso con opere edilizie, come nel caso specifico, richiede sempre il permesso di costruire, in quanto comporta un mutamento della categoria urbanistica dell’immobile. Questo principio non è stato alterato dal Decreto Salva Casa (D.L. n. 69/2024), che non ha modificato la disciplina riguardante le opere che implicano un cambio di destinazione d’uso. La Corte respinge la tesi del ricorrente, che riteneva sufficiente una CILA (Comunicazione Inizio Lavori Asseverata) per il cambio di destinazione d’uso, in quanto tale intervento non richiedeva un permesso di costruire né il deposito della documentazione progettuale per la zona sismica.

Per i giudici, il cambiamento della destinazione d’uso da residenza a struttura ricettiva implica quindi sempre il rilascio del permesso di costruire, e tale obbligo vale anche per le modifiche all’interno di categorie omogenee nei centri storici.

Il Supremo Collegio quindi, nel condannare il conduttore per il reato previsto dal TUE all’art. 44, comma 1, lettera b), ribadisce il principio, richiamato anche dai giudici di merito, secondo cui: “in tema di reati edilizi, il mutamento di destinazione d’uso mediante opere richiede il permesso di costruire per le modifiche che comportano il passaggio di categoria urbanistica dell’immobile e, se il cambio d’uso è eseguito nei centri storici, per quelle all’interno di una medesima categoria omogenea (ex plurimis, Sez. 3, n. 11303 del 04/02/2022”.

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