Se si aumenta il volume complessivo dell’immobile, ci vuole il permesso di costruire

Il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 4038 del 3 maggio 2024, ha respinto il ricorso per l’annullamento dell’ordinanza di rimessa in pristino di interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, ritenuti abusivi in considerazione della dimostrata differenza tra l’altezza originaria media dell’immobile oggetto dell’ordinanza di messa in pristino (pari a 3,30 mt.) e quella riscontrata in sede di sopralluogo (di 3,80 mt.). La maggior altezza emerge anche dalla presenza di gradini discendenti. Di conseguenza, in caso di aumento del volume complessivo dell’immobile, serve il permesso di costruire.
Aumento volume dell’immobile: il caso
In particolare, nella zona living dell’immobile si era realizzata una partizione orizzontale in metallo e legno, poggiata a terra e realizzata a ridosso della pareti, costituente il 20,8% della superficie utile dell’immobile, con altezza utile massima di circa 1,83 m ed altezza dal pavimento di circa 2,04 accessibile tramite una scala del medesimo materiale, e dislivello pari all’altezza della partizione.
Inoltre erano stati realizzati dei gradini discendenti all’ingresso per un dislivello di circa 33 cm, mentre l’altezza misurava nell’area living, nel corso del sopralluogo, da un massimo di 3.95 m ad un minimo 3,52 m. Tenendo conto dello stato dell’immobile e degli orizzontamenti a volta, e dei criteri riportati nella relazione tecnica, si è calcolato un incremento volumetrico di 5,78 mc (+10%). Era stato anche effettuato un mutamento di destinazione d’uso dalla storica destinazione C/4 “Fabbricati e locali per servizi sportivi” all’attuale destinazione A/4, abitativa.
La carenza di istruttoria e motivazione
Secondo il Tar Campania, l’intervento risultava eseguito in violazione dell’art. 22 del dpr 380/2001 e della normativa antisismica, ed effettuato in assenza dei permessi previsti e dei relativi pareri degli enti sovracomunali. La ricorrente sosteneva che l’ordinanza impugnata era illegittima per evidente carenza di istruttoria e di motivazione nonché per palese contraddittorietà, ma per il Consiglio di Stato, l’assenza di qualsivoglia titolo edilizio abilitante pregiudica inesorabilmente le ragioni dell’appellante.
Infatti in materia edilizia sono da considerarsi interventi di manutenzione straordinaria, così come disciplinati dalla normativa di cui all’art. 3, dpr n. 380 del 2001, le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle destinazioni di uso.
La disciplina del permesso di costruire
Nel caso di specie c’è stato l’aumento di volumetria, per cui l’art. 3 del dpr n. 380 del 2001 non trova applicazione. Viceversa, a norma dell’art. 10, comma 1, lettera c) dello stesso dpr, sono soggetti alla disciplina del permesso di costruire gli interventi di ristrutturazione edilizia che comportano modifiche alla volumetria complessiva degli edifici. Pertanto l’intervento in discussione non è assistito da alcun titolo edilizio, non potendosi attribuire rilevanza alla Cila, posto che l’intervento si rivela difforme da quello comunicato in ragione dell’aumento volumetrico. L’atto concessorio di tipo urbanistico è necessario allorché la morfologia del territorio sia alterata in conseguenza di opere di scavo.
L’appellante non ha provato la corrispondenza volumetrica dei luoghi e non ha documentato la sussistenza di un titolo abilitativo dell’incremento volumetrico contestato, perciò il Consiglio di Stato ha confermato la legittimità del provvedimento di demolizione dell’abuso edilizio, il quale, essendo un atto vincolato, non necessita di essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento né necessita di una motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse che impongono la rimozione dell’abuso, neppure nel caso in cui l’ordine di demolizione dell’immobile intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso.