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Norme ambientali e buona fede: chi e come la invoca

Il perimetro davvero molto stretto entro il quale si può invocare con successo l’esonero dalla responsabilità per l’ignoranza sulle norme ambientali
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Norme ambientali e buona fede: chi e come la invoca
Norme ambientali sempre più frequenti ed oscure. Interpretazioni divergenti, dubbi sulle modalità operative, cambi di rotta ed incertezze applicative hanno fatto spesso compiere scelte sbagliate agli operatori del settore e ai cittadini. Ma quali sono i limiti alla quasi sempre invocata buona fede nell’assolvimento dei propri doveri in campo ambientale? Le difficoltà di conoscere appieno la norme ambientali I dubbi e gli interrogativi L’assoluta impossibilità di conoscere la norme ambientali …e la “probatio diabolica” L’ordinaria diligenza del cittadino versus il dovere di informazione degli operatori del settore La cautela e la fisiologica incertezza La necessità di un’interpretazione autentica può essere fatta valere?

Le difficoltà di conoscere appieno la norme ambientali

Orientarsi nei meandri del diritto ambientale è tutt’altro che un mestiere semplice. Fin dalle sue origini, infatti, il diritto dell’ambiente si è caratterizzato per la sua perenne precarietà. I motivi sono molteplici:
  • le infinite emergenze ambientali da tamponare, di volta in volta, con provvedimenti ad hoc, del tutto privi di visione sistematica e unitaria;
  • l’infantile politica ambientale perseguita dai governi che si sono succeduti, che non ha brillato per chiarezza, lungimiranza, coerenza, sistematicità,
  • la difficoltà di definire con precisione alcuni concetti chiave, e di mantenere in equilibrio i diversi interessi che gravitano intorno all’ambiente;
  • le continue innovazioni tecnologiche, che hanno costretto (e costringeranno) spesso i legislatori a rivedere i concetti posti alla base delle normative ambientali, che anche sulla presenza di quelle tecnologie basavano la loro costruzione amministrativo-burocratico-sanzionatoria.
E queste solo per citarne alcuni.

I dubbi e gli interrogativi

In questo desolante e desolato scenario viene naturale fare qualche considerazione, e porsi qualche domanda. Dal momento che la normativa in materia ambientale è complessa, e spesso di difficile interpretazione, quali sono i limiti entro i quali può essere ragionevolmente applicata, senza il timore di incorrere in sanzioni? O meglio, quando le sanzioni, inevitabili in caso di violazioni, possono essere “ritenute eccessive e/o almeno spropositate”, in funzione di tale complessità normativa? Esiste un “contrappeso” – che faccia leva sulla “buona fede” – che sia possibile invocare, o la legge (“dura lex, sed lex”) deve essere comunque applicata?

L’assoluta impossibilità di conoscere le norme ambientali

Solo una situazione di assoluta impossibilità nel conoscere la norma penale ambientale – un’ignoranza inevitabile della stessa – può comportare un’esclusione della colpevolezza. Questo – in estrema sintesi – è quanto sintetizzato di recente dalla Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi su una questione attinente ad uno dei dubbi, cui abbiamo fatto riferimento. Corollario di questa impostazione interpretativa è che il mero dubbio sulle modalità di applicazione di una legge non può essere valutato ai fini di un esonero da responsabilità ma deve, al contrario, rendere più cauto il comportamento dell’agente. Come a dire che quest’ultimo, perdurando quell’incertezza, deve semplicemente astenersi dal compimento di qualsivoglia attività, in attesa di indicazioni certe e affidabili, provenienti da organi qualificati, circa le modalità operative della normativa. Tuttavia, nel tracciare questa linea di demarcazione – ragionevole, in termini teorici – la Suprema Corte non ha chiarito in che cosa consista “l’impossibilità assoluta di conoscere la norma ambientale”.
L’impossibilità assoluta: qualche indizio
Dalla lettura di diverse pronunce giurisprudenziali sembra potersi affermare che questa condizione ricorra solo ed esclusivamente in caso di:
  • oscurità del testo legislativo;
  • atteggiamento interpretativo degli organi giudiziari o amministrativi gravemente caotico;
  • comportamento positivo degli organi amministrativi, o complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale che inducano a ritenere lecita una determinata azione (buona fede).
Il tutto andrebbe peraltro valutato anche rispetto al momento in cui si agisce:
  • si era verificata un’oggettiva impossibilità di procrastinare l’azione?
  • l’azione in questione poteva essere rimandata, in attesa di avere delucidazioni dagli organi competenti sul comportamento da assumere?

…e la “probatio diabolica”

È evidente che provare l’oscurità del testo legislativo, o la caoticità interpretativa, o ancora la buona fede, è impresa assai ardua, perché a circoscrivere tale possibilità intervengono almeno altrettanti “precetti di buon senso”:
  • la necessaria cautela che dovrebbe improntare la condotta dell’agente (in caso di dubbio, astieniti);
  • il dovere di informazione (da intendersi più stringente in caso di normative ambientali correlate alla propria attività professionale);
  • l’ordinaria diligenza del comune cittadino.

L’ordinaria diligenza del cittadino versus il dovere di informazione degli operatori del settore

A proposito dei limiti di tale inevitabilità, occorre in ogni caso distinguere la posizione
  • del “comune cittadino”, per il quale tale condizione è sussistente ogni qualvolta abbia assolto, con il criterio dell’ordinaria diligenza, al cosiddetto “dovere di informazione”, attraverso l’espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia;
  • da quella del professionista del settore, per il quale il dovere di informazione è particolarmente rigoroso (costoro, infatti, rispondono dell’illecito anche in virtù di una “culpa levis” nello svolgimento dell’indagine giuridica. Detto in altri termini, per l’affermazione della scusabilità dell’ignoranza, occorre che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto).

La cautela e la fisiologica incertezza

In ogni caso, sullo sfondo aleggia la considerazione che l’incertezza e il dubbio, derivanti da contrastanti orientamenti giurisprudenziali nell’interpretazione e nell’applicazione di una norma, non bastano da soli ad invocare la condizione soggettiva d’ignoranza inevitabile della legge penale. Al contrario, proprio il dubbio sulla liceità o meno deve indurre il soggetto ad un comportamento “più attento”, che si deve spingere fino all’astensione dall’azione se, nonostante tutte le informazioni assunte, permane l’incertezza operativa: il dubbio, infatti, non essendo equiparabile allo stato d’inevitabile ed invincibile ignoranza, è inidoneo ad escludere la consapevolezza dell’illiceità. Senza contare che a volte, dietro al “paravento” dell’assoluta inconoscibilità”, altro non c’è che una fisiologica condizione di incertezza interpretativa legata, per esempio, alla recente introduzione di precetti normativi prima di allora non conosciuti né conoscibili, che di per se stessi dovrebbero indurre a tenere un comportamento necessariamente guardingo.

I criteri oggettivi sui quali commisurare l’inevitabilità dell’errore secondo la Corte Costituzionale

Criteri c.d. “oggettivi puri”: l’errore sul precetto è inevitabile nei casi d’impossibilità di conoscenza della legge penale da parte d’ogni consociato. Tali casi attengono, per lo più:
  • alla (oggettiva) mancanza di riconoscibilità della disposizione normativa (ad es. assoluta oscurità del testo legislativo) oppure
  • ad un gravemente caotico (la misura di tale gravità va apprezzata anche in relazione ai diversi tipi di reato) atteggiamento interpretativo degli organi giudiziari ecc.
La spersonalizzazione che un giudizio formulato alla stregua di criteri oggettivi puri necessariamente comporta va, tuttavia, compensata dall’esame di eventuali, particolari conoscenze ed abilità possedute dal singolo agente, che consentendo all’autore del reato di cogliere i contenuti ed il significato determinativo della legge penale escludono che l’ignoranza della legge penale vada qualificata come inevitabile.
Corollario: “in evitabile, rimproverabile ignoranza della legge penale versa chi, professionalmente inserito in un determinato campo d’attività, non s’informa sulle leggi penali disciplinanti lo stesso campo”.

La necessità di un’interpretazione autentica può essere fatta valere?

La risposta è semplice: no! Né il carattere di frammentarietà di una disciplina normativa, né il fatto che sull’applicazione della stessa si siano formati diversi orientamenti, tanto da giustificare l’emanazione di una norma di interpretazione autentica, possono essere invocati a causa di ignoranza incolpevole della legge penale, o comunque della legge integratrice del precetto penale, facendo venir meno l’elemento soggettivo del reato, quando il soggetto che svolga professionalmente una specifica attività non abbia dimostrato di aver fatto tutto il possibile per richiedere alle autorità competenti i chiarimenti necessari e per informarsi in proprio, ricorrendo ad esperti giuridici, con ciò adempiendo allo stringente dovere di informazione sullo stesso gravante.
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