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Nucleare di quarta generazione, in cosa consiste questa tecnologia?

Dici nucleare e scatta la polemica. Ma vale la pena capire di cosa di tratta realmente quando si parla di reattori di IV generazione, una tecnologia ancora sperimentale
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Nucleare di quarta generazione, in cosa consiste questa tecnologia?
Recentemente, alcune affermazioni del ministro per la transizione energetica Roberto Cingolani, a proposito della possibilità di produrre energia attraverso reattori nucleari di quarta generazione, hanno riacceso l’attenzione attorno al tema dell’energia nucleare, che nel nostro Paese, dall’epoca dello sciagurato incidente al reattore di Cernobyl, è un vero e proprio tabù valido per tutte le suscettibilità. Cos’è la tecnologia di cui parla Cingolani? Le dichiarazioni ruvide del Ministro della Transizione Ecologica Apriti cielo! Di cosa stiamo parlando? Il nucleare di quarta generazione Generation IV Cingolani atto secondo La fortuna di avere qualcuno con una visione di ampio respiro Esiste la sostenibilità desiderabile?

Le dichiarazioni ruvide del Ministro della Transizione Ecologica

Durante un suo recente intervento, il ministro della Transizione Ecologica Cingolani, fra le altre cose, ha fatto alcune dichiarazioni a proposito dell’energia nucleare, dibattito mai sopito in Italia all’indomani del referendum, e oggi più che mai aperto, nell’ipotizzare le modalità attraverso le quali portare a compimento la transizione ecologica. La dichiarazione, forse un po’ ruvida nei modi, ma comunque strumentalizzata, è stata indirizzata – cito testualmente – agli “ambientalisti radical chic […] ambientalisti oltranzisti, ideologici, peggiori della catastrofe climatica verso la quale andiamo sparati, se non facciamo qualcosa di sensato”. Infatti, ha proseguito il Ministro, “si stanno affacciando tecnologie di quarta generazione, senza uranio arricchito e acqua pesante. Se a un certo momento si verifica che i chili di rifiuto radioattivo sono pochissimi, la sicurezza elevata e il costo basso è da folli non considerare questa tecnologia”, ha sottolineato Cingolani. Che ha concluso evidenziando che “nell’interesse dei nostri figli, è vietato ideologizzare qualsiasi tipo di tecnologia. Stiamo ai numeri, quando saranno disponibili prenderemo le decisioni”.

Apriti cielo!

Non l’avesse mai detto! Ma per fortuna l’ha fatto… Veniamo alla prima parte: non l’avesse mai detto! A seguito di queste parole si è agitato tutto il mondo politico, a partire dai partiti a “matrice ambientalista”, che si sono sentiti punti sul vivo. Le accuse rivolte al titolare del MiTE sono svariate, e riguardano:
  • la (presunta) frenata sulle auto elettriche e sulle energie rinnovabili;
  • i mancati investimenti sul trasporto pubblico;
  • le nuove autorizzazioni a “bucare” il mar Adriatico;
  • la (dichiarata? Quando? Dove? Come?) guerra al piano Verde dell’UE e, appunto,
  • l’apertura al nucleare da fissione, “dopo che due referendum popolari lo hanno bocciato”.
Nel contrastare vivamente quest’ultimo, è stato sottolineato che “i lavori per costruzione della centrale nucleare di terza generazione plus di Flammanville in Francia sono iniziati nel 2007 e i lavori ancora non sono stati ultimati; si ipotizza che finiscano nel 2022, mentre nel frattempo i costi sono passati da 3,5 miliardi di euro a 11 miliardi di euro […] Con l’obiettivo 100% rinnovabile al 2050 il costo dell’energia in Italia diminuirebbe di 1,7 cent €/kWh con un risparmio pro-capite di 6.484 €, considerando anche i minori costi sanitari legati all’inquinamento e a quelli climatici secondo lo studio dell’Università di Stanford, Berkeley, Berlino e Arhus”. Morale: abbiamo bisogno di “un ministro che creda nella conversione ecologica e non crei, come irresponsabilmente sta facendo, una campagna di terrore, definendo la transizione ecologica un bagno di sangue che produrrà disoccupazione, mentre in altri paesi europei i suoi colleghi ministri la pensano diversamente e pianificano di creare milioni di posti di lavoro dalle politiche sul clima”. Di qui, secondo questa logica, l’ovvia conseguenza che il ministro in persona dovrebbe trarre: “l’Italia ha bisogno di un nuovo ministro che governi la transizione ecologica che sappia renderla socialmente desiderabile e quindi giusta e che non costruisca la paura sulle politiche sul clima perché ciò che ci deve fare paura sono le conseguenze del cambiamento climatico”.

Di cosa stiamo parlando? Il nucleare di quarta generazione

Occorre fare opera di contestualizzazione, come sempre dovrebbe essere fatto. Non per trarne delle conclusioni adesso: sarebbe comunque affrettato. Ma per aprire le porte ad un dialogo: serrato, polemico, politico, ma pur sempre un dialogo. Il nucleare, per come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi, presenta tre innegabili criticità principali:
  • la sicurezza;
  • la produzione di scorie a lento decadimento;
  • i costi elevati.
Il nucleare di quarta generazione invece…. Invece cosa? Occorre procedere, appunto, con la contestualizzazione. Sul punto si è “scomodata” anche la Treccani, che ha cercato di spiegare in termini più o meno semplici cos’è il nucleare di quarta generazione: parole che si sovrappongono a quelle dell’AIN, l’Associazione Nazionale Nucleare, secondo la quale “si tratta di reattori di piccola taglia (Small Modular Reactors) che possono essere impiegati in vari ambiti: produzione di calore, elettricità o di entrambe. Una importante caratteristica che li contraddistingue dalla generazione precedente è il sistema di raffreddamento che non è più ad acqua ma a piombo liquido. Oppure a sodio, elio o sali fusi”.

Generation IV

Un’idea – si sottolinea – che “non è nuova”, dal momento che i piccoli reattori vengono già impiegati nelle imbarcazioni a propulsione nucleare (rompighiaccio russe nel Mar glaciale Artico), e si tratta di una tecnologia che potrebbe essere replicata su scala industriale: con tutte le difficoltà (non solo) tecniche del caso, ma che potrebbe essere replicata. Per il momento si tratta soltanto di ipotesi: tant’è che il Dipartimento per l’energia statunitense ha predisposto un complesso programma, denominato “Generation IV”, che definisce e pianifica le attività di ricerca e sviluppo tecnologico di sistemi nucleari innovativi e di impianti per il ciclo del combustibile, dall’estrazione del minerale agli impianti per lo smaltimento finale dei rifiuti. I numerosi obiettivi del programma possono essere così riassunti:
  • competitività ed economicità dei sistemi e dell’energia prodotta (che significa bassi rischi finanziari; innovazioni e semplificazioni progettuali per aumentare il ciclo di vita degli impianti; riduzione delle dimensioni; taglio dei costi di esercizio e del combustibile; meno incertezze e rischi economici, grazie allo sviluppo di impianti modulari);
  • sicurezza ed affidabilità (che implica una progettazione, per minimizzare la gestione e le conseguenze incidentali);
  • resistenza alla proliferazione e protezione fisica (interventi progettuali innovativi, misure e mezzi per controllare e gestire in sicurezza il materiale nucleare, per prevenirne il potenziale uso bellico e proteggere gli impianti da atti di sabotaggio o terrorismo) e, infine, a far da collante,
  • sostenibilità, intesa come capacità di soddisfare le esigenze attuali, rafforzando nel contempo la capacità di approvvigionamento delle future generazioni.

Cingolani atto secondo

Non è questa la sede per dilungarci ulteriormente, dal punto di vista tecnico, sul nucleare di IV generazione: il focus vuole essere piuttosto sulle capacità politico-manageriali di affrontare il problema. E sulle affermazioni del Ministro. Con toni sicuramente meno ruvidi e più didattici, ma con la stessa sostanza, il Ministro della Transizione Ecologica è ritornato sull’argomento, incalzato, in una puntata di un noto talk show del giovedì sera, dal giornalista che gli chiedeva se avrebbe detto le stesse cose, di lì a qualche minuto…. La risposta non poteva che essere affermativa. Nello spiegare il termine “radical chic”, Cingolani ha dovuto spiegare un’ovvietà: il mondo è pieno di “ambientalisti NIMBY”, che non vogliono che nel loro giardino si faccia non dico il nucleare, ma neanche l’energia rinnovabile. Facile, così: ma di NIMBY in NIMBY non si va da nessuna parte.
Le problematiche sociali Passare alle rinnovabili significa, certo, andare nella direzione green e sostenibile, ma occorre tener presente, solo a titolo di esempio, che dal punto di vista sociale questo non potrà non avere delle ripercussioni. La nostra manifattura – ha evidenziato il Ministro – è specializzata nei motori a scoppio, e ci vorrà del tempo per una riconversione, con tutto quello che ciò comporta. Problematiche che si vanno ad aggiungere a quelle che ben conosciamo (delocalizzazioni, licenziamenti, ..) figlie di un capitalismo che, allora, si percepiva solo nella sua dimensione ideologica.

Transizione ecologica uguale rinunce?

Nella transizione ecologica – che come ogni storia avrà vincitori e vinti – ognuno di noi (ogni categoria, ogni corporazione, ogni gruppo di interessi, …tutti) dovrà rinunciare a qualcosa. Si deve accelerare sulle rinnovabili, che peraltro – come ha in più di un’occasione sottolineato il Ministro – rappresentano la strada che abbiamo intrapreso: accelerare sulle rinnovabili, gestendo tutte le problematiche che si portano dietro (economiche, tecniche, sociali), e senza nasconderci dietro un dito. L’obiettivo finale, infatti, è quello di utilizzare auto elettriche che si ricaricano con energia prodotta da centrali green ad impatto (atmosferico) zero, ma nel frattempo è utile – per cristallizzare la situazione climatica: per tornare indietro occorrono molti decenni, se non secoli – adottare una strategia concentrica, che preveda anche la sostituzione dei veicoli più inquinanti con veicoli a combustione di ultima generazione, e l’utilizzo del gas, soprattutto per il settore industriale, che non può vivere di solo elettrico, per motivi “energivori”, tecnici, logistici.

Non esistono risposte semplici a situazioni complesse

La morale è che non esistono risposte semplici a situazioni complesse: diversamente, le avremmo già trovate ed applicate. Ci vuole tempo, e occorre prendere in considerazione, oltre agli aspetti sociali, tecnici ed economici, anche aspetti geografici, culturali, geopolitici. Ci vuole tempo, e proprio per questo, il Governo si è dato il target di nove anni per raggiungere i primi obiettivi degli accordi di Parigi, un termine sufficientemente lungo, ma da un certo punto di vista incompatibile con le aspettative …politiche. La transizione ecologica, fra l’altro, assume connotati differenti a seconda delle latitudini: sono i “motivi geografici” di cui bisogna necessariamente tener conto (la transizione ecologica, infatti, non può avere la stessa “importanza” nei Paesi industrializzati e in quelli emergenti, o peggio ancora in quelli poveri). I costi delle materie prime e le decisioni politiche influenzano la velocità (e in parte le modalità) di esecuzione della transizione: basti pensare alle difficoltà di reperire i materiali critici o al fatto che la Cina ha deciso, meritoriamente, di abbandonare il carbone per convertirsi al gas (gli effetti della inevitabilmente diversa distribuzione del gas a livello planetario si sta già riverberando sulle nostre bollette di gas e luce…). Ci vuole continuità, in un processo che non sappiamo, non possiamo sapere quanto durerà: dipenderà da quanto saremo bravi ad implementare le rinnovabili. Cingolani dixit.

La fortuna di avere qualcuno con una visione di ampio respiro

E il nucleare? La direzione è tracciata, il nucleare è fuori discussione, ha detto senza ombra di dubbio Cingolani (basterebbe leggere attentamente le parole in grassetto, pronunciate nel corso del primo intervento…) Ma. Ma in altri Paesi (USA, Inghilterra, Francia e Giappone) stanno studiano il nucleare di quarta generazione, che adesso non è maturo, ma che al momento opportuno potrà darci molte informazioni: ed allora dovremo prendere in considerazione l’eventuale opzione, basata su evidenze scientifiche. Dovremo semplicemente sfruttare il vantaggio di vedere i risultati di ricerche che oggi altri stanno compiendo, e valutare eventualmente il da farsi: è un percorso che, nella migliore delle ipotesi, durerà trent’anni. Ci possiamo prendere il lusso – dice testualmente Cingolani – di dire che mentre prendiamo la strada delle rinnovabili, è necessario vedere cosa succede, cosa ci dirà la tecnologia, fra qualche decennio, e programmare sulla base di quelle risposte la sostenibilità successiva?

Esiste la sostenibilità desiderabile?

La sostenibilità non deve essere “desiderabile” (chi lo ha detto, poi, che qualcosa di desiderabile è tout court “giusto”?): la sostenibilità è un dovere di tutti noi, ivi compresi quelli che la vogliono ma solo se è a spese degli altri. La sostenibilità non è fatta di emozioni, ma si basa sui numeri. Non solo quelli di chi vive in questo mondo oggi, ma anche su quelli dei nostri figli. Questo ha detto il Ministro, con una visione di ampio respiro che però, nell’era delle suscettibilità, viene scambiata (o fatta passare) per terrorismo psicologico.
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